DA LUGLIO SI RIDUCE LA SOGLIA DI UTILIZZO DEL DENARO CONTANTE: MA E’ COSA BUONA E GIUSTA?

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Tra qualche giorno entreranno in vigore le modifiche previste dall’art. 18, comma 1, lett. a) del DL 124/2019 (art. 49 comma 3-bis del DLgs. 231/2007. Dal prossimo 1° luglio, infatti, il limite all’utilizzo del denaro contante si abbasserà dagli attuali 2.999,99 euro a 1.999,99 euro e tale limite resterà operativo fino alla fine del 2021. Invece, dal 1° gennaio 2022 il limite diventerà di 999,99 euro: in breve, da luglio scatterà una sanzione se verrà effettuato un pagamento in contanti di 2.000 euro.

Come noto, il divieto di utilizzare importi pari o superiori ai ricordati limiti riguarda il trasferimento di denaro contante (e di titoli al portatore) effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi (persone fisiche o giuridiche) e l’infrazione legale si concretizza anche quando il trasferimento sia effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiono artificiosamente frazionati, ovvero operazioni unitarie sotto il profilo economico poste in essere attraverso più operazioni singolarmente inferiori ai predetti limiti, ma effettuate in momenti diversi entro 7 giorni, oppure ogniqualvolta ricorrano elementi per ritenerla tale.

Ovviamente, su questo tema si assiste sempre ad un acceso dibattito circa l'utilità dell’abbassamento della soglia ed il confronto vede sostanzialmente due correnti contrapposte: coloro che sostengono l'efficacia di queste limitazioni sulla base del fatto che tali misure, incentivando i pagamenti tracciabili, ridurrebbero l'area dell'evasione e del sommerso e coloro che, al contrario, negano a simili provvedimenti qualsiasi tipo di efficacia anti-evasione.

Su questo tema di politica fiscale, senza timore di smentite, chi scrive da tempo sostiene  che i limiti ai pagamenti in contanti non sono in alcun modo efficaci nel contrastare l'evasione fiscale.

Infatti, le restrizioni ai pagamenti in contanti, pur utili in ambito antiriciclaggio, danno uno scarso contributo al contrasto all’evasione fiscale per una evidente ragione.

Le frodi tributarie rilevanti non sono certamente perpetrate tramite l'uso di contanti, ma con operazioni e strutture giuridiche complesse spesso a livello internazionale: tant'è vero che, ad esempio, in Austria il livello di fraudolenza fiscale è basso, pur essendo ivi elevato l’utilizzo del contante.

Laddove invece l’evasione fiscale si basa sui contanti, esse riguardano generalmente operazioni di importo contenuto (ad esempio, somministrazioni di alimenti e bevande, bar, ristoranti, parrucchieri, ecc.).

In sostanza, a meno che la soglia non fosse fissata a un livello tendente allo zero, in tali attività non provoca nessuna interferenza qualsivoglia riduzione di soglia.

Al contrario, si trascura che l'esistenza di restrizioni divergenti a livello UE potrebbe avere un considerevole impatto negativo sul mercato interno, distorsivo della concorrenza e generatore di condizioni di disparità tra imprese, atteso il fatto che una presenza di limiti ai pagamenti in contanti, diversi da Stato a Stato, incide su un possibile sviamento di fatturato da un Paese ad un altro, il che ha conseguenze negative sul mercato interno: in altri termini, si rischia di favorire i sistemi economici dei Paesi limitrofi a discapito di quello nazionale, senza benefici in termini di recupero di gettito, atteso il fatto che, da luglio, il contribuente meneghino (infedele al Fisco) comprerà il gioiello per la moglie, di costo superiore a 1.999,99 euro, non più a Milano ma a Lugano.

Inutile, a questo punto, anche chiedersi dove il contribuente meneghino (infedele alla moglie) andrà a comprare il collier per l’amante.

I limiti ai pagamenti in contanti si rivelano invece senz’altro utili contro il riciclaggio di denaro, ma diversi studi dimostrano che il riciclaggio tramite l'utilizzo del contante avviene attraverso l'acquisto di beni o servizi di valore elevato, per cui è solo da un rafforzamento delle previsioni degli obblighi di raccolta di dati ai fini antiriciclaggio in capo a tutti i rivenditori di beni e servizi di rilevante importo, che (forse) potrebbe generarsi maggiore efficacia per il contrasto al riciclaggio.

In definitiva, le riduzioni dei limiti ai pagamenti in contanti rischiano di diventare la risposta sbagliata ad un problema reale (l'evasione fiscale) ed appare finanche superfluo continuare ad evidenziare una funzione solo ideologica e simbolica di queste misure, stante la loro scarsa attitudine a contrastare la reale evasione.

Opportuno, peraltro, sottolineare come per larghe fasce di popolazione la possibilità di pagare in contanti rimane importante per ragioni del tutto lecite, atteso il fatto che solo il cash favorisce l'accesso al sistema economico dell'intera popolazione.

Al riguardo, pure la BCE in passato ritenne "sproporzionati" tentativi di riduzioni dei limiti di proposti dalla Spagna, perché da un lato si rischiava di compromettere il corso legale delle banconote e delle monete in euro (e l'intero sistema dei pagamenti) e, dall'altro lato, perché i pagamenti mediante mezzi elettronici dipendono da infrastrutture tecniche che, al momento degli acquisti, potrebbero essere momentaneamente non disponibili per guasti.

Se, allora, si intendesse incidere sul sistema dei pagamenti per combattere davvero l'evasione fiscale, non occorrerebbe introdurre limiti, ma solo incentivi all'utilizzo dei pagamenti elettronici.

Demonizzare, invece, il contante in un momento storico come questo rischierà non solo di non portare apprezzabili benefici in termini di gettito, ma deprimerebbe i consumi interni.

E provocare un loro ulteriore calo non sembrerebbe proprio un’idea geniale per il sistema economico italiano alle prese con la grave crisi prodotta dalla pandemia: ma purtroppo, come questo ennesimo passaggio dimostra, essa viene affrontata con evidente mediocrità di visione politica.

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