FASE 2, REGOLE OPERATIVE: UN PO’ DI CHIAREZZA E’ D’OBBLIGO

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Che la normativa italiana sia complicata non è certo una gran scoperta. L'emergenza sanitaria di questi mesi ha però dato la possibilità al nostro legislatore, a qualsiasi livello, di superare se stesso nonché i livelli di "astrusità normativa" già raggiunti in passato.
Nell'arco di poche settimane ai vari DPCM (?!?) si sono succeduti una marea di provvedimenti e ordinanze regionali e comunali spesso con specifiche territoriali diverse dalle linee generali emanate dal Governo. Per non parlare delle famose FAQ, che, chissà, magari potrebbero presto entrare a far parte delle fonti del diritto.
A tutto questo si è aggiunta poi una strategia comunicativa a dir poco improvvisata che ha solo creato ulteriori complicazioni, lasciando con mille questioni irrisolte (ndr: ecco spiegato il significato dei punti di domanda!) cittadini, professionisti e imprese.
Il classico esempio di quella che viene chiamata burocràzia (ndr: l'accento sulla terza sillaba è voluto!).

La gestione della Fase 2
Fatte queste doverose considerazioni, il problema di fondo, e non certo marginale, è come deve essere gestita la riapertura delle attività.
Indipendentemente dalla Fase in cui ci troviamo, - ora la 2, ma già si parla di una Fase 3 (o 2 bis) -, l'emergenza sanitaria è probabilmente destinata a durare ancora a lungo, per cui le misure di cui diremo tra poco dovranno diventare la quotidinità.

Cerchiamo di fare un po' di chiarezza.
Il DPCM del 26 aprile 2020, che ha avviato dal 4 maggio 2020 la Fase 2, contiene un nuovo Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro (sottoscritto il 24/04/2020 fra il Governo e le parti sociali).
La mancata attuazione di tale protocollo determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.
Per evitare tale conseguenza estrema, è opportuno/necessario che ogni attività, qualunque essa sia, adotti alcune misure e iniziative finalizzate anche a monitorare costantemente la situazione.
Tra queste, in particolare, si segnalano:
-   l'informativa da condividere con tutti dipendenti, contenente la sintesi (rispetto alle fonti normative di cui sopra) degli obblighi e delle buone prassi che tutti i lavoratori devono rispettare;
-   l'istituzione di un Comitato Interno che monitori le azioni intraprese per la Fase 2, assicurandosi le condizioni che consentano la riapertura dell’attività.
Inoltre, è consigliabile che ogni azienda compili internamente una scheda di autovalutazione, da utilizzare come strumento operativo per verificare la rispondenza di ciascuna realtà al Protocollo di cui sopra.

Profili di responsabilità per i datori di lavoro
Il momento che stiamo vivendo è senza alcun dubbio eccezionale, così come è eccezionale, oltre che "estemporanea", tutta la normativa sopra richiamata.
Ciò nonostante, in tempi non sospetti, il nostro ordinamento ha previsto alcuni principi generali che è necessario tenere presente per analizzare anche il periodo attuale.
In particolare, in materia di responsabilità del datore di lavoro l'art. 2087 c.c. stabilisce che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Questo articolo si traduce, in sostanza,
i) nell’obbligo da parte del datore di lavoro di adottare tutte le misure che nel caso concreto e con riferimento alla specifica lavorazione risultino idonee (ex multis Cass. Pen. sez. III, n. 50000/2018) per la salute e sicurezza dei lavoratori, e
ii) nella irrilevanza della colpa concorrente del lavoratore (detto in altri termini, nell'esclusione di ogni addebito al datore di lavoro unicamente nell'ipotesi di comportamento “abnorme” del lavoratore).

Tutto questo significa, in sostanza, che qualora, per la mancata adozione di misure di sicurezza (e, quindi, per la violazione dell’art. 2087 c.c.), un lavoratore subisca lesioni personali gravi o gravissime (superiori a 40 gg di prognosi) o il decesso, al datore di lavoro, ai preposti alla sicurezza e, ove nominato, al RSPP possono essere contestati i reati di cui agli artt. 590 co. 3 e 589 co. 2 cod. pen.
In più, vi è il rischio che all’ente vengano applicate le sanzioni amministrative previste dall’art. 25-septies del D.Lgs. 231/2001 (ossia confisca o misure pecuniarie e interdittive da 3 mesi a 2 anni).
Tornando al Covid-19, nel caso in cui un dipendente venisse contagiato dal virus e si ammalasse, è concreta la possibilità che vengano contestati tali reati, anche in considerazione del fatto che essi hanno un "margine di azione" estremamente ampio (che prende in considerazione tutte le norme, i provvedimenti, gli atti, le ordinanze, le raccomandazioni, le linee guida e le best practice applicabili ai casi concreti... le faq?).
Per evitare di incorrere in tali situazioni, ogni impresa/attività deve dunque adottare nel concreto, modulandole alla propria specifica realtà, tutte le misure per tutelare i dipendenti da possibili esposizioni al Coronavirus correlate allo svolgimento delle mansioni.

Quanto sin qui scritto non vuole essere certo uno spot a favore della burocràzia di cui sopra, solo l'ennesima raccomandazione...

P.S.: non abbiamo ancora pubblicato l'articolo che già i rumors parlano di probabili nuove aperture, nuove ordinanze, Decreto Rilancio in dirittura d'arrivo, ecc ecc...

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