I prelevamenti ingiustificati non sono automatica evasione fino 1.000 euro giornalieri e/o 5.000 mensili

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In tema di accertamenti basati sulle indagini finanziarie, il DL 193/2016 pone paletti e limiti quantitativi sull'uso dei dati emergenti dalle stesse.

Riguardo a questo delicato tema, ripetutamente interessato da molteplici interventi sia del legislatore che della Corte Costituzionale e della Cassazione, è ben noto da molti anni che il Fisco può accertare maggiori ricavi occulti sulla base di versamenti e di prelevamenti bancari non giustificati.

In altri termini, se una movimentazione bancaria non trova riscontro nelle scritture contabili, o comunque non è oggetto di prova contraria in ordine alla provenienza (o beneficiario) delle somme non giustificate, scatta una presunzione legale che può trasformare il versamento/prelievo non giustificato in ricavo e, quindi, in reddito evaso.

Con una sintetica ricostruzione storica, utile per comprendere meglio le ragioni dell'odierno intervento di modifica, va anche ricordato che fu la L. 311/2004, modificando l’art. 32 del DPR 600/73, ad affermare che la presunzione sui prelievi non giustificati avrebbe operato non solo per gli imprenditori, ma anche per i professionisti e per tutti i possessori di reddito di lavoro autonomo.

Successivamente, invece, fu la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 228 del 2014, a dichiarare incostituzionale detta norma in quanto la presunzione “prelievo non giustificato = compenso non dichiarato” non avrebbe avuto senso logico, prima ancora che giuridico, per i possessori di reddito di lavoro autonomo, non essendo infatti ragionevole ipotizzare che un avvocato od un dottore commercialista compri merce in nero per rivenderla in nero.

Se, quindi, dopo la sentenza della Consulta n. 228/2014, per i possessori di reddito di lavoro autonomo era stata già espunta dall'ordinamento la presunzione legale relativa derivante dai prelievi, rimaneva, tuttavia, integralmente confermata quella sui versamenti non giustificati e questo per tutti (ovvero sia imprenditori, che professionisti).

A questo punto, la scorsa estate, con un arresto giurisprudenziale di non facile comprensibilità, la Cassazione si adeguava al pronunciamento della Consulta in tema di prelevamenti non accertabili su base presuntiva legale, ma, con la pronuncia n. 16440 del 2016, la Suprema Corte si spingeva addirittura ad affermare che non esistesse più la presunzione, per i professionisti, nemmeno per i versamenti.

A fronte, quindi, di questa confusione giurisprudenziale, il legislatore ha oggi avvertito l'esigenza, in sede di conversione del DL 193/2016, di chiarire ed agire sul DPR 600/73, ma, come è bene precisare per sgomberare il campo dagli equivoci insorti anche dopo recenti polemiche politico-giornalistiche, egli non interviene minimamente sull’effetto presuntivo legale derivante dai versamenti non giustificati, che, quindi, rimane confermato sia per i possessori di reddito di impresa sia per gli autonomi.

Si agisce, invece, sull’art. 32 del DPR 600/73, eliminando il riferimento ai prelevamenti=compensi e quindi, di fatto, banalmente recependo il dettato della sentenza n. 228/2014. Se infatti è vero, come è vero, che le sentenze di incostituzionalità del Giudice delle leggi cancellano ogni disposizione dichiarata contraria alla Costituzione, l’intervento odierno non ha altro effetto concreto se non quello di rendere esplicita una ovvietà, in quanto, in ragione della citata pronuncia, anche senza modifica normativa i prelievi non giustificati, per i possessori di reddito di lavoro autonomo, erano ormai non accertabili per presunzione legale.

La vera novità è, invece, l'introduzione di un limite quantitativo di 1.000 euro giornalieri, e comunque di 5.000 euro mensili, al di sotto del quale la presunzione legale in fase di accertamento sui prelevamenti non può più operare e questa modifica verrà salutata con favore da varie categorie di contribuenti, in particolare dai quei titolari di reddito di impresa che non di rado si sono trovati nella necessità di dover giustificare al Fisco anche prelievi esigui da c/c, con buona pace della CM 32/E/2006 che invitava a valutare la questione con ragionevoli approcci accertativi.

La novità, peraltro, alleggerisce gli oneri dimostrativi anche di alcuni "imprenditori senza impresa", quali l’agente di commercio o il procacciatore di affari che, essendo tecnicamente titolari di reddito d’impresa, hanno subito fino ad oggi la presunzione “prelievo non giustificato = ricavo non dichiarato”, pur risultando da sempre chiaro che, tanto quanto i professionisti, anche gli intermediari del commercio e finanziari, per ragionamento logico, certamente non comprano merce per rivenderla e, quindi, da un loro prelevamento finanziario non giustificato appare alquanto irragionevole ipotizzare una vendita/prestazione in nero.

In ogni caso, dall'entrata in vigore della novella normativa, per tutti gli imprenditori e, quindi, anche per detti contribuenti, i prelievi non avranno alcun valore ai fini della loro accertabilità presuntiva fino ai limiti quantitativi indicati, mentre, è bene ribadirlo, nulla cambierà sul fronte dei versamenti, che, a prescindere dall’importo, continueranno a trasformarsi in ricavi o compensi non dichiarati se non saranno giustificati.

Dal punto di vista tecnico, appare infine appena il caso di rilevare che non viene toccato l’art. 51 del DPR 633/72, per una ragione tecnica banale. Infatti, tale norma non ha mai fatto alcun riferimento ai prelievi e, quindi, l'effetto presuntivo legale degli stessi ai fini IVA non è stato mai previsto dalla norma, ma solo alimentato dal fatto che negli accertamenti il recupero di maggiori ricavi accertabili da prelevamenti non giustificati è stato a volte esteso indebitamente dagli Uffici all’imposta sul valore aggiunto, ma ciò senza alcuna previsione normativa. Ovviamente, quindi, il legislatore non può oggi limitare quantitativamente gli effetti di una presunzione legale IVA inesistente nell'art. 51 del DPR 633/72. Forse, da ora in poi questo sarà definitivamente più chiaro anche a qualche Ufficio che ignorava la questione, evitandosi così in futuro di veder notificati accertamenti IVA basati su una presunzione legale non prevista dall'ordinamento tributario.

 

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