Plusvalenza da lease back – Tassazione ripartita lungo il contratto

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Dopo decisioni opposte nell’ambito delle commissioni tributarie di merito, la Cassazione dà ragione all’impresa che ha ripartito la plusvalenza derivante da un lease back su un immobile, sia dal punto di vista contabile sia dal punto di vista fiscale, in modo omogeneo lungo la durata del contratto di locazione finanziario, respingendo la richiesta dell’agenzia delle entrate che pretendeva l’integrale tassazione della plusvalenza nel periodo d’imposta del realizzo.

Il contratto di lease back

Il contratto di compravendita con successiva locazione finanziaria al venditore è un contratto di impresa meglio conosciuto come "sale and lease back", in forza del quale un'impresa vende un bene strumentale a una società finanziaria, la quale ne paga il prezzo concordato e contestualmente lo concede in locazione finanziaria alla stessa impresa venditrice verso il pagamento di un canone e con possibilità di riacquisto del bene al termine del contratto per il corrispettivo stabilito nel contratto, normalmente molto inferiore al suo valore. L'operazione in linea generale è posta in essere per soddisfare esigenze di liquidità d'impresa.

Il trattamento contabile della plusvalenza da lease back

Secondo quanto prevede l'art. 2425-bis, ultimo comma, del codice civile, le plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione. La relativa plusvalenza, dunque, deve essere ripartita per la durata del contratto mediante la tecnica dei risconti.

Il trattamento fiscale della plusvalenza da lease back

Il Tuir non prevede espressamente nulla al riguardo. La disciplina relativa alle plusvalenze patrimoniali da cessione di beni d'impresa di cui all’art. 87 del Tuir  - in base alla quale le plusvalenze dei beni relativi all'impresa concorrono a formare il reddito se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso per l'intero ammontare nell'esercizio in cui sono state realizzate – secondo l’Agenzia delle entrate è applicabile anche alle plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore, non prevedendo il citato articolo 87 del predetto Tuir, disposizioni specifiche per il lease back.

In particolare, con la Circolare n. 38 del 23 giugno 2010, l’Agenzia, riprendendo quanto già affermato nella circolare del 30 novembre 2000, n. 218/E, ha ritenuto che nel contratto di sale and lease back sussistono, dal punto di vista fiscale, due distinte operazioni che in realtà avvengono simultaneamente:

  1. la cessione del bene;
  2. la locazione finanziaria dello stesso.

Ciò comporta che, in relazione alla cessione del bene, la plusvalenza concorre integralmente alla formazione del reddito imponibile o per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è realizzata o, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio in cui è realizzata e nei successivi ma non oltre il quarto, se il bene è stato posseduto dal contribuente per almeno tre anni. Pertanto, la riconciliazione fra la normativa civilistica e quella fiscale deve avvenire in sede di dichiarazione dei redditi, apportando le dovute variazioni in aumento o diminuzione del reddito complessivo.

La giurisprudenza di merito

Sul punto la giurisprudenza di merito ha fornito soluzioni discordanti.

  • la CTP Modena, II Sezione, sentenza 12 gennaio 2011, n. 5 ha deciso per la ripartizione della plusvalenza lungo la durata del contratto, affermando che il negozio di sale and lease back è un negozio unitario, con causa di finanziamento, diversa dunque dalle cause dei distinti segmenti negoziali che lo compongono; pertanto tale contratto, ai fini fiscali, non deve essere scomposto in due negozi (vendita e retrolocazione del bene) e la plusvalenza, generata da tale operazione unitaria, deve essere tassata, in maniera graduale, secondo la ripartizione temporale di cui all’art. 2425 bis, comma 4, c.c., alla quale non deroga l’art. 86, comma 4, del testo unico delle imposte sul reddito.
  • la CTP Roma, sentenza 12 maggio 2011, n. 266, in senso opposto ha concluso per l’impossibilità di ripartizione della plusvalenza lungo la durata del contratto, dal momento che pur condividendo quanto sostenuto dalla ricorrente in ordine alla natura del contratto ha rilevato che in ambito tributario esiste una norma specifica (art. 86 del Tuir) il quale prevede che le plusvalenze patrimoniali concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi ma non oltre il quarto, mentre l’articolo 109 del medesimo TU dispone che i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti alla data della stipulazione dell’atto per gli immobili. Pertanto deve ritenersi che la fattispecie in esame sia direttamente disciplinata dalla normativa tributaria, che in quanto speciale prevale sulla normativa civilistica, rilevando peraltro da una parte che quest’ultima ha effetti limitati al diritto societario, ed in particolare è diretta a disciplinare la formazione del bilancio a fini civilistici e dall’altra che il contratto in esame, pur avendo una finalità di finanziamento, pur tuttavia realizza, comunque una cessione disciplinata ai fini tributari dal T.U.I.R.

Le conclusioni della Cassazione

La suprema Corte con la sentenza n. 35294 del 23/8/16 ha sottolineato, in conformità con quanto ebbe a sostenere la Commissione tributaria provinciale di Modena che ha accolto la tesi del contribuente, che il contratto di "sale and lease back" ha una causa diversa dal contratto di vendita puro e semplice; si tratta, infatti, rileva la Corte, di un contratto unico, complesso, con causa finanziaria non scomponibile nei suoi elementi. È proprio la causa finanziaria del contratto che impedisce di assimilare, ai fini fiscali, la somma ricevuta al corrispettivo versato dall'acquirente.

Il criterio civilistico di imputazione dettato dall’art. 2425-bis, ultimo comma, c.c. – il quale prevede che “le plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria il venditore sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione”, nel silenzio del legislatore fiscale ed in assenza di una specifica norma tributaria derogatoria dei principi generali di derivazione e di imputazione per competenza – è, pertanto, l'unico espressamente previsto e può essere utilizzato anche ai fini fiscali.

Tuttavia, la possibilità concessa al contribuente, di “diluire” negli anni la plusvalenza ottenuta dalla cessione di beni costituisce una deroga al criterio di competenza di cui all'art. 109, del Tuir; dovrà, pertanto, prosegue la Cassazione, ai sensi dell’art. 86, co. 4 del Tuir, evidenziarsi tale scelta nella dichiarazione dei redditi.

Ebbene, nel prendere atto della decisione della Corte, occorre tuttavia osservare che nel modello Unico non si rinviene alcuna casella ove sia possibile evidenziare tale scelta e la Sezione deputata ad evidenziare l’opzione per la ripartizione della plusvalenza derivante dalla vendita di un bene strumentale in un minimo di 2 anni e in un massimo di 5 anni, non consente altra scelta se non quella compresa nell’intervallo dei predetti due valori, scelta peraltro che consente poi di operare le apposite variazioni in diminuzione del reddito (nell’anno di realizzo) e aumento (negli anni successivi). Nella plusvalenza da lease back non ci sono variazioni fiscali poiché ciò che è imputato a conto economico corrisponde esattamente a ciò che deve rilevare a livello reddituale.

Nei prossimi modelli di dichiarazione l’Agenzia dovrebbe inserire un apposito campo dove fornire la notizia che si è realizzato una plusvalenza da lease back per accontentare l’illuminata ma capricciosa Suprema Corte.

C’è da dubitarne.

 

 

 

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