“A me nun me sta bene che no” ! L’interpretazione irretroattiva della Cassazione sul “nuovo” art. 20 del Tur non mi piace

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Se la questione in argomento affrontata dalla Cassazione non fosse una cosa che interferisce con la vita dei contribuenti, risulterebbe anche divertente. Dopo l'entrata in vigore della Legge di bilancio 2019 e con il perentorio chiarimento in ordine alla natura di norma di interpretazione autentica della modifica dell'articolo 20 del Dpr n. 131/1986, fissata nella Legge di Bilancio dell’anno precedente, sembrava tutto definitivamente chiaro.
Infatti, con l'articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di Bilancio 2018) il legislatore aveva deciso di porre argine alla prassi accertatrice dell'Amministrazione finanziaria che, attribuendo all'articolo 20 del Dpr 131/1986 funzione antielusiva, da sempre riteneva di poter riqualificare gli atti presentati alla registrazione sulla base del loro effetto economico finale.
Da ciò, nel corso degli anni, ne è scaturito un enorme numero di avvisi di liquidazione con i quali il Fisco richiedeva l'applicazione dell'imposta di registro in misura proporzionale, in quanto riteneva di poter riqualificare come operazione, di fatto, unitaria la combinazione di più atti portati alla registrazione da parte del contribuente, a prescindere, dunque, dal contenuto negoziale del singolo atto.
Ad esempio, per anni sono state riqualificate operazioni di conferimento d'azienda, seguite dalla cessione della partecipazione della conferitaria, in operazioni di cessione diretta e, in quanto tale, soggetta ad imposta proporzionale. Diversamente, nella versione introdotta dalla legge di Bilancio 2018 e attualmente vigente, l'articolo 20 del Dpr 131/1986 prescrive che l'imposta deve essere determinata solo sulla base degli elementi desumibili dal singolo atto portato alla registrazione, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti ad esso collegati.
Nessun dubbio, quindi, si può più porre sul fatto che il Legislatore voglia espressamente chiarire che il potere di riqualificazione degli atti da parte dell'Agenzia delle entrate sia limitato al singolo atto che viene presentato per la registrazione e deve basarsi sulla valutazione dei soli effetti giuridici dell'atto medesimo.
Parallelamente, peraltro, all’articolo 53-bis è stato poi aggiunto il rinvio espresso all'articolo 10-bis della legge n. 212/2000 secondo cui l'Amministrazione conserva il potere di valutare anche i negozi giuridici collegati e altri elementi extra-testuali solo nell'ambito del proprio controllo su fattispecie di abuso del diritto disciplinate dallo Statuto del contribuente.
Tuttavia, appena un attimo dopo l’entrata in vigore del novellato articolo 20, cominciò immediatamente il dibattito se le modifiche apportate dalla Legge di Bilancio 2018 avessero efficacia retroattiva, oppure se risultassero applicabili solo con riferimento agli atti registrati a decorrere dal 1° gennaio 2018.
A quel punto, con la consueta capacità di chi da tempo si sente investito del ruolo di supporter dell’ufficio per proseguire la lotta all’evasione fiscale con altri mezzi, su tale  punto prontamente interveniva la Corte di Cassazione che, negando l'attribuzione alla modifica legislativa della natura di norma di interpretazione autentica, ne ha  ripetutamente affermato l'inapplicabilità agli atti emessi antecedentemente alla sua entrata in vigore (Cass., ord. 26 gennaio 2018, n. 2007; id. 23 febbraio 2018, n. 4407; Id. 28 febbraio 2018, nn. 4589-4590; Id., 9 marzo 2018, n. 5784; Id. 28 marzo 2018, n. 7637; Id. 8 giugno 2018, n. 14999).
Per tributare forse anche piena riconoscenza alla Suprema Corte, espostasi per salvare tanti avvisi di liquidazione (che, diversamente, sarebbero finiti nel trita-documenti), la tesi degli Ermellini veniva ben presto confermata anche dall'Agenzia delle Entrate in occasione del Telefisco 2018.
A quel punto, però, si alzarono forti critiche da parte di quella dottrina meno prona alla legge del più forte che, in maniera metaforicamente simile ad un espressione resa recentemente famosa da un ragazzino della periferia romana, affermavano a chiare lettere : “A me nun me sta bene che no...”.
Certamente non solo per quello, ma in ogni caso assai opportunamente, lo stesso Legislatore decideva di opporsi alla visione della Cassazione e di risolvere l’interferenza giudiziaria avversa alla volontà legislativa, determinandosi ad intervenire, in via definitiva, con la legge di Bilancio 2019.
Cosicché, l'articolo 1 comma 1084, della Legge 30 dicembre 2018, n. 145, chiariva quello che alcuni togati avevano negato, ovvero che la legge di Bilancio 2018 aveva natura di norma di interpretazione autentica dell'articolo 20 del Dpr 131/1986 e che, conseguentemente, le modifiche dovevano risultare applicabili anche agli atti portati alla registrazione prima del 1° gennaio 2018.
Ma ecco, allora, profilarsi una vicenda ad un tempo inquietante e divertente ma che, ovviamente, è suscettibile di diventare insopportabile per chi l’ha materialmente subita: l’ordinanza n. 362/2019 della Suprema Corte.
Esaminando, infatti, una fattispecie di "classica" operazione di riorganizzazione aziendale realizzata con la costituzione di una newco mediante un conferimento di ramo d'azienda comprendente anche beni immobili e la successiva cessione frazionata dell'intera partecipazione detenuta dalla conferente ad un soggetto terzo, l'Agenzia delle entrate, previa riqualificazione dell'intera operazione in una cessione diretta del ramo azienda, aveva rilevato come nel caso di specie non fosse dovuta l'imposta di registro in misura fissa sulle singole operazioni, secondo quanto previsto dal "nuovo" articolo 20 del Dpr 131/1986, bensì l'imposta proporzionale, calcolata sull'intera operazione qualificata come cessione diretta di ramo d'azienda.
Per sostenere il proprio accertamento, l'Agenzia invocava esattamente la superata formulazione della norma, senza però tener in alcun modo conto della portata retroattiva della novella normativa, sancita dall'articolo 1, comma 1084, della legge di Bilancio 2019.
Chiamati a pronunciarsi su tale vicenda, incredibilmente anche i giudici di legittimità hanno confermato l'impostazione accertatrice del Fisco, limitandosi a ribadire l'irretroattività dell'articolo 20.
Sì, avete letto proprio bene, nel decidere a favore del Fisco i giudici di legittimità non hanno fatto alcun riferimento all'articolo 1, comma 1084, della legge di bilancio 2019, con conseguente accoglimento del ricorso dell'Agenzia delle entrate e cassazione con rinvio della sentenza impugnata.
A questo punto, però, all’interprete rigoroso non restava che indagare sui misteriosi motivi di tale strana omissione, individuandosi così che la deliberazione della sentenza è avvenuta il 10 ottobre 2018, ovvero antecedentemente all'entrata in vigore legge di Bilancio 2019,
ma all’interprete altrettanto attento non è sfuggito che il deposito della sentenza è avvenuto successivamente all'intervento dello ius superveniens.
La domanda, allora, sorge spontanea: perché il Collegio, prima del deposito, non si è convocato nuovamente per proseguire la camera di consiglio e per applicare la novella normativa ?
È stata una scelta consapevole o un mero errore ?
Purtroppo, però, sia nell’uno che nell’altro caso non saranno certamente i giudici, ma il contribuente, a subire ingiustamente le conseguenze di tale superficialità o di un errore giudiziario ed egli non potrà che provare a far valere il diritto sopravvenuto nel giudizio di rinvio.
Ovviamente, però, per far valere diritti sopravvenuti, sopravverranno anche altri costi, con conseguente e parallelo nervosismo superveniens.

Morale: quando un cittadino perde fiducia nella giustizia c’è sempre da domandarsi se egli non l'abbia smarrita per essere stato a volte giudicato da giudici che non sono stati in grado di assicurare giustizia fino in fondo e che, forse, sottovalutano quanto male possa provocare alla fiducia dei contribuenti nell'ordinamento una vicenda come quella qui descritta.

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