Accertamento con Adesione : domandare è lecito, rispondere è solo cortesia

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L’Agenzia delle Entrate, qualora ritenga che non vi siano margini di rimodulazione della pretesa tributaria accertata, non è tenuta ad invitare il contribuente che avesse richiesto di poter conciliare una controversia. Pertanto, il contribuente che facesse affidamento sul predetto invito dell’Ufficio, dopo una mera presentazione di istanza di accertamento con adesione, potrebbe avere una sgradita sorpresa. Se, infatti, egli immaginasse che la stessa abbia un effetto certo sul decorso dei termini processuali e con ciò facesse scadere il termine originario dei 60 giorni per ricorrere (confidando nella dilatazione di 90 giorni come termine ultimo per la presentazione del ricorso) rischia di diventare un pendolare fiscale che ha perso il treno. E’, infatti, ormai consolidato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità nell’affermare che la convocazione del contribuente da parte dell’Ufficio per l’instaurazione del contraddittorio non è un obbligo, ma soltanto una mera facoltà, oggetto di valutazione discrezionale da parte del medesimo Ufficio (cfr. Cass. nn. 28051/2009 e 21991/2014). Cosicché, l’omissione dell’invito al contraddittorio non comporta la nullità dell’avviso di accertamento relativo alla procedura di adesione non andata a buon fine, atteso che tale sanzione di nullità non è prevista dalla legge (Cass. SS.UU. n. 3676/2010). Di converso, come statuì (e non isolatamente) la famigerata sentenza della Commissione tributaria regionale di Venezia (sentenza 154/22/2011), non è mai sufficiente che il contribuente presenti una istanza solo formalmente denominata “istanza di accertamento con adesione”, per vedersi attribuita dalla legge una sospensione dei termini di 90 giorni dei termini processuali per la proposizione del ricorso (articolo 6, comma 3, Dlgs 218/1997), perché occorre invece che il contribuente stesso dia contenuto concreto, reale ed effettivo alla istanza, dimostrando con comportamento fattivo di avere una reale volontà di attivare un dialogo con il Fisco.

E’ proprio questa, cari lettori, l’asimmetrica visione giurisprudenziale del rapporto tra Fisco (maiuscolo) e contribuente (minuscolo). Se, infatti, il contribuente chiede il contraddittorio ed è il Fisco a rimanere silente, non vi è per la parte pubblica alcun pregiudizio per detta omissione di convocazione (in quanto esso non avrebbe specifici obblighi da rispettare), se, invece, è il contribuente ad essere silente o, comunque, a parere del Fisco non credibilmente loquace dopo aver chiesto di essere ascoltato, egli potrebbe perdere il diritto alla dilazione dei predetti 90 giorni del termine per l’impugnazione. Solo in quest’ultimo comportamento, infatti, la giurisprudenza ha deciso di individuare un aperto contrasto con la regola sancita dal legislatore nell’articolo 10 della legge 212/2000, che vuole i rapporti tra contribuente (minuscolo) e Fisco (maiuscolo) improntati al principio della collaborazione e della buona fede. In altri termini, il Fisco in sede di accertamento con adesione può considerare il confronto anche un optional della procedura amministrativa. Diversamente, per il contribuente che intenda definire una controversia in fase amministrativa (post-accertamento) non solo non vi è alcun diritto consacrato dalla legge per ottenere di essere ascoltato, ma egli, in ogni caso, deve essere anche particolarmente rigoroso nel curare non solo gli aspetti formali dell’iter di attivazione del contraddittorio, ma anche gli aspetti sostanziali dello stesso. Incombe, infatti sul contribuente anche l’eventuale onere di dimostrare davanti ad un giudice che la procedura di adesione che aveva promosso era seriamente finalizzata a raggiungere un accordo con l’Ufficio, ovvero che la sua richiesta non aveva avuto intenti meramente dilatori del termine processuale per ricorrere. Dall’avvantaggiarsi, infatti, in maniera indebita delle disposizioni relative all’istituto dell’accertamento con adesione, può originarsi in contenzioso un rischio di imbattersi in una pronuncia di inammissibilità (ex articolo 21, Dlgs 546/1992) per tardiva presentazione del ricorso. Questione, peraltro, recentemente tornata alla ribalta perché, come noto, per effetto della recente eliminazione delle differenze sanzionatorie tra acquiescenza ed atto di adesione (parità di sanzioni ridotte a un terzo), si è reso sempre più frequente il tentativo di conseguire una riduzione di maggiore imponibile contestato in sede di accertamento con adesione e vi è, quindi, una tendenza generalizzata ad opporre di default al Fisco le istanze a ciò finalizzate anche quando la speranza è al lumicino. Obbiettivo minimo : ottenere la dilazione del termine per ricorrere e nel contempo, a fronte dell’eventuale indisponibilità del Fisco a ridurre la pretesa, posticipare nel tempo senza oneri aggiuntivi la valutazione dell’eventuale acquiescenza.

Tuttavia, se domandare una conciliazione al Fisco rimane lecito, ma per esso rispondere è solo atto di  cortesia non dovuta, se il contraddittorio non dovesse attivarsi per inerzia d’Ufficio o per qualsivoglia ragione, sarà interesse del contribuente (o del suo professionista) recarsi comunque all’Agenzia delle Entrate per “pretendere” prudentemente che venga verbalizzata non solo l’instaurazione effettiva del contraddittorio, ma anche l’esistenza di un’attività difensiva sul merito della controversia.  Onde così evitare che una successiva maliziosa difesa degli interessi erariali non vada a sostenere in giudizio che, non risultando in atti manifestazioni di intenzioni serie di pervenire ad un accordo in adesione con il Fisco, debba ritenersi inammissibile, per tardività, un eventuale ricorso introduttivo del giudizio di primo grado di chi, confidando nel termine di 150 giorni per ricorrere, avesse prodotto un ricorso oltre il 60° giorno previsto dal termine processuale ordinario per la proposizione del medesimo. E quando nel processo tributario un pendolare perde il treno, non gli rimane che andare al bar della stazione ad affogare il dispiacere perché un treno successivo non passerà più, se non dimostrando la malafede di Trenitalia, ma questa è un'altra storia...

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