Associazione in partecipazione – guadagno commisurato al fatturato

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Il contratto di associazione in partecipazione, previsto dall’art. 2549 del cod. civ., attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa (quindi non è realizzabile tra lavoratori autonomi) o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.

Si tratta di un istituto dalle rilevanti potenzialità economiche perché coniuga in un unicum, sinergie tra soggetti che si completano tra loro, impegno reciproco per il raggiungimento del risultato, motivazione negli obiettivi.

La remunerazione collegata ai ricavi – la giurisprudenza contraria

È stata controversa (ci si esprime al passato poiché nel tempo la giurisprudenza sembra si si è consolidata) la possibilità che la remunerazione dell’associato sia stabilita in una percentuale dei ricavi e non in una percentuale degli utili.

Nella oramai datata sentenza 4 febbraio 2002, n. 1420 la Cassazione ha negato la legittimità di clausole che fissano la partecipazione agli utili dell'impresa commisurandola ai ricavi. In particolare, nella predetta sentenza si afferma che "nel contratto di associazione in partecipazione, che mira, nel quadro di un rapporto sinallagmatico con elementi di aleatorietà, al perseguimento di finalità in parte analoghe a quelle dei contratti societari, è elemento costitutivo essenziale, come si evince chiaramente dall’articolo 2549 c.c., la pattuizione a favore dell’associato di una prestazione correlata agli utili dell’impresa, e non ai ricavi, i quali ultimi rappresentano in se stessi un dato non significativo circa il risultato economico effettivo dell’attività dell’impresa.”.

La predetta sentenza si pone nella scia di quella parte della giurisprudenza di legittimità la quale ritiene che una simile pattuizione indicherebbe in modo inequivocabile la volontà delle parti di regolare i propri interessi in modo diverso da quanto previsto all’art. 2549 cod. civ. (Cass. 4 febbraio 2002, n. 1420; Cass. 23 gennaio 1999, n. 655, cit.).

La remunerazione collegata ai ricavi – la giurisprudenza a favore

Più recentemente tuttavia, la cassazione, Sez. Lavoro, 18/2/2009 n. 3894, ha stabilito che si è in presenza di associazione in partecipazione anche quando il guadagno dell'associato è collegato al solo fatturato. In particolare, la Corte ha chiarito che “In tema di associazione in partecipazione, la partecipazione ai ricavi e non alle perdite, il rispetto di un orario di lavoro in assenza però di direttive riguardo allo stesso e la garanzia di un guadagno minimo non valgono ad escludere un rapporto di tipo associativo.

Le parti sono libere di determinare la partecipazione economica dell’associato che può ben essere commisurata ai soli ricavi, perché anche in tal caso l’associato, da un lato, corre sicuramente il rischio di impresa e, dall’altro, non viene meno quella omogeneità di interessi tra le parti contraenti che contraddistingue e differenzia l’associazione dal rapporto di lavoro subordinato.

Non vi è dubbio, infatti, che anche con la partecipazione ai ricavi sussiste pur sempre un diretto coinvolgimento dell’associato nelle fortune dell’impresa, atteso che l’associato che lavora in un’impresa con risultati negativi e comunque soggetto in senso lato a un rischio economico.

Dunque, nel contratto di associazione di cui all'art. 2549 c.c., non ostandovi alcuna incompatibilità con il tipo negoziale, la partecipazione agli utili e alle perdite da parte dell'associato può tradursi, per quanto attiene ai primi, anche solo nella partecipazione ai globali introiti economici dell'impresa o a quelli di singoli affari, sicché sotto tale versante non assume alcun rilievo ai fini qualificatori il riferimento delle parti contrattuali agli utili dell'impresa o viceversa ai ricavi per singoli affari.

Peraltro, con riferimento alla liceità della previsione di stabilire una remunerazione sui in base alla percentuale di utili bensì in base alla percentuale di ricavi, non è precluso stabilire un corrispettivo volto a prevedere, oltre alla cointeressenza negli utili anche una quota fissa (da riconoscersi in ogni caso all'associato), di entità non compensativa della prestazione lavorativa e, comunque, non adeguata rispetto ai criteri parametrici di cui all'art. 36 Cost. (Cass. 18/4/2007 n. 9264)

Ancora, la Cassazione Corte di Cassazione con la sentenza n. 26522 del 27 novembre 2013 ha affrontato il problema della distinzione tra associazione in partecipazione e lavoro subordinato facendo presente che ben è possibile:

  1. ) stabilire che l’associato non partecipi alle perdite. Infatti, limitare la divisione ai soli utili non comporta la perdita del carattere aleatorio del contratto, dal momento che, in caso di mancanza di utili, l’apporto lavorativo dell’associato è destinato a rimanere senza compenso;
  2. ) che le parti leghino la partecipazione dell’associato ai ricavi d’impresa anziché agli utili. Poiché le parti sono libere di determinare la partecipazione economica dell’associato, questa può ben essere commisurata ai soli ricavi, perché anche in tale caso, non v’è dubbio che sussiste pur sempre un diretto coinvolgimento dell’associato nelle fortune dell’impresa.

Dunque, si va consolidando sulla base delle pronunce della suprema Corte, l’orientamento che ritiene possibile che la remunerazione dell’associato sia commisurata ai ricavi e non all’utile dell’affare.

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