Atto di recupero – tutela ad ampio raggio per la Cassazione

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La Cassazione è tornata ad occuparsi della tutela del contribuente avverso gli atti di recupero, derivanti dall’utilizzo di crediti inesistenti, emanati dall’Agenzia delle Entrate. In particolare, in due recenti pronunce la Suprema Corte ha stabilito una sostanziale equiparazione tra tali atti e quelli di accertamento; assimilazione da cui, come vedremo, discendono importanti conseguenze in punto di tutela del contribuente oggetto di controllo fiscale.

La disciplina di contrasto all’utilizzo di crediti inesistenti

Come noto, l’articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 17 dicembre 1997, n. 471, prevede una definizione espressa di credito inesistente, in forza della quale con tale locuzione deve intendersi il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte:

L’omesso versamento di tributi tramite compensazione di crediti inesistenti è soggetto ad una disciplina sanzionatoria ad hoc, sia sotto il profilo dell’entità della sanzione che su quello, non meno importante, dell’accertamento dell’illecito.

Invero:

  • da un lato, la citata disposizione prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria dal 100 al 200% del tributo non versato;
  • dall’altro, l’articolo 27, comma 16, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, stabilisce un termine decadenziale dell’azione di recupero esteso al 31 dicembre dell’8° anno successivo a quello in cui è stata posta in essere la compensazione illecita.

Ciò posto, il legislatore non ha chiarito se possa riconoscersi a tale atto una piena natura accertativa e, per mezzo di essa, applicare ad esso il regime generale, previsto per i provvedimenti di accertamento dalla legislazione tributaria.

Così, ad esempio, dubbia appare l’applicabilità della normativa di garanzia a favore del contribuente posta dallo statuto dei diritti del contribuente, come quella in materia di termine dilatorio per l’emanazione dell’atto di accertamento post verifica, o quella afferente alla riscossione frazionata delle maggiori imposte contestate.

La Cassazione certifica la natura accertativa dell’atto di recupero

Sono proprio questi, infatti, gli aspetti sui quali la Suprema Corte si è espressa, facendo propria la tesi della equivalenza fiscale tra atti di recupero e atti di accertamento.

In particolare, nell’ordinanza n. 23223 del 25 luglio 2022, avente ad oggetto un atto di recupero di un credito d’imposta, non spettante in ragione della collocazione territoriale dell’investimento, era stata rilevata da parte del contribuente la violazione dell’articolo 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in quanto l’atto di recupero era stato notificato prima dello spirare del termine dilatorio di 60 giorni, previsto dalla citata disposizione per la presentazione di osservazioni difensive da parte del contribuente.

Ebbene, i giudici di legittimità hanno chiaramente affermato che la mancanza di ogni riferimento nella lettera della legge agli atti di recupero (tesi sostenuta dall’Amministrazione finanziaria) è irrilevante ai fini della determinazione dell’ambito oggettivo di applicabilità della norma, poiché tale atti sono del tutto equiparabili, a livello funzionale, a quelli di accertamento e, in forza di tale assimilazione, soggiacciono al medesimo regime tributario.

Stessa regole nella riscossione provvisoria

Nell’ordinanza n. 23289 del 26 luglio 2022, poi, la Suprema Corte ha concentrato la propria attenzione sulla fase di riscossione dell’atto di recupero, emanato dall’Agenzia delle Entrate e successivamente impugnato dal contribuente. In una tale eventualità, infatti, l’Amministrazione finanziaria non ha riconosciuto l’applicabilità della disciplina in materia di riscossione frazionata, prevista dall’articolo 15, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, procedendo quindi all’iscrizione a ruolo dell’intero importo contestato.

Anche sotto tale aspetto, tuttavia, la Cassazione ha valorizzato un’interpretazione di carattere sostanziale, enfatizzando il dato funzionale secondo cui gli avvisi di recupero, al pari di quelli di accertamento, rappresentano manifestazioni della volontà impositiva dello Stato. Tutto ciò, in quanto tali provvedimenti svolgono una duplice funzione:

  • quella di revoca dell’agevolazione;
  • quella, contestuale, di liquidazione degli importi indebitamenti incamerati dal soggetto passivo.

Corollario di questo inquadramento teorico è quello in forza del quale, anche in tali ipotesi, va riconosciuta l’applicabilità del regime fiscale di stampo garantistico che prevede, nel caso di accertamenti non definitivi, una riscossione parziale, attualmente pari ad un terzo del maggior importo dovuto.

Normativa

Art. 27, comma 16, decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185.

Art. 13, comma 5, decreto legislativo 17 dicembre 1997, n. 471.

Art. 15, comma 1, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

Art. 12, comma 7, legge 27 luglio 2000, n. 212.

Giurisprudenza

Cassazione, Sez. VI, 26 luglio 2022, ord. n. 23289.

Cassazione, Sez. V, 25 luglio 2022, ord. n. 23223.

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