LA DICHIARAZIONE INTEGRATIVA A FAVORE NON E’ SANZIONABILE

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Le questioni relative al tema delle dichiarazioni integrative continuano ad essere oggetto di dibattito e di varie interpretazioni anche dopo che il DL 193 del 2016, modificando l’art. 2 commi 8 e 8-bis del DPR 322/98, ha statuito l’emendabilità dichiarativa anche in sede accertativa e contenziosa.

Il contribuente, infatti, aldilà di qualche originale e recente arresto della Corte di Cassazione (come, ad esempio, quello che, con la sentenza n. 30172 del 15 dicembre scorso ha affermato che, se si è in presenza di volontà negoziale o di opzione, l’integrazione della dichiarazione può avvenire solo se si dimostra il carattere essenziale e riconoscibile della svista iniziale) può cercare di correggere qualsiasi errore od omissione dichiarativa in ogni stato o grado anche del giudizio e le dichiarazioni dei redditi e IVA possono ora essere integrate, in aumento o diminuzione, fino al termine di decadenza dall’accertamento.

Tuttavia, sotto il profilo sanzionatorio, solo l’integrativa in aumento ha visto negli anni consolidarsi un quadro di riferimento legale ed anche di prassi privo di quel tipo di interpretazioni che, in alcuni casi, possono diventare addirittura surreali da parte dell’Agenzia delle entrate.

Sul punto, infatti, è ben noto come un’integrativa in aumento della materia imponibile è, di fatto, un ravvedimento operoso, ovvero una sanatoria con la quale il contribuente corregge i suoi errori mediante una nuova dichiarazione e con il pagamento contestuale di una sanzione, oltre che delle imposte dovute e degli interessi legali.

Secondo quanto confermato dalla circ. n. 42 del 12 ottobre 2016, la dichiarazione erronea emendata entro 90 giorni dal termine di presentazione non si considera infedele, ma inesatta e, in quel caso, non si applica la sanzione per dichiarazione infedele, ma quella per incompletezza della dichiarazione (250 euro nel minimo, ex art. 8, comma 1 del DLgs. 471/1997). Se, peraltro, ne deriva un debito d’imposta si applica anche la sanzione per omesso o insufficiente versamento d’imposta (a seconda dei casi, il 30% o 15%, ex art. 13 del DLgs. 471/1997).

Ulteriormente, decorsi 90 giorni dal termine di presentazione della dichiarazione si applica, invece, unicamente la sanzione per infedeltà dichiarativa (90%) con le riduzioni da ravvedimento, ovvero, in altre parole, oltre 90 giorni la dichiarazione emendata non è più inesatta, ma diventa infedele (art. 1, comma 2 del DLgs. 471/1997).

Se, quindi, sono ormai chiare e pacificamente codificate le remissioni in bonis per i ravvedimenti in peius,  rimane vago (e mai affrontato esplicitamente dalla prassi ufficiale delle Entrate) se la sanzione per incompletezza della dichiarazione (art. 8, comma 1 del DLgs. 471/1997) possa legittimamente applicarsi anche alla integrativa in diminuzione dell’imponibile dichiarato e, più in generale, alle dichiarazioni a favore.

Infatti, secondo una restrittiva visione di alcuni uffici periferici dell’ente impositore, anche in quel caso la nuova dichiarazione andrebbe a correggere una dichiarazione erroneamente presentata.

Al riguardo, però, non può essere ignorato come quella originaria imprecisione dichiarativa concerna unicamente errori penalizzanti per il contribuente non dannosi per il Fisco.

Si pensi, allora, a quel tapino che, dopo essersi accorto di un proprio errore nella dichiarazione tempestivamente presentata, emendasse la dichiarazione dei redditi originaria sostituendola con una nuova ed introducendo ivi la deduzione di un componente negativo dimenticato (al fine di fare emergere un maggior credito d’imposta o una maggiore perdita). Anche a quella dichiarazione integrativa in diminuzione, per alcuni agenti delle entrate, la sanzione pecuniaria, ovviamente riducibile per effetto del ravvedimento, sarebbe comunque irrogabile con una sanzione di 250 euro, ridotta a un nono se l’integrativa a favore fosse inoltrata entro 90 giorni dal termine di presentazione della dichiarazione e ad un ottavo, un settimo, un sesto negli altri casi indicati dall’art. 13 del DLgs. 472/1997, lett. b), b-bis), b-ter). In sostanza, la correzione della dichiarazione, ancorché a favore, esprimerebbe pur sempre la correzione di una violazione amministrativa originariamente commessa e, quindi essa, risultando sanzionabile, sarebbe anche da ravvedere.

Ora, non vi è dubbio che l’art. 8, comma 1 del DLgs. 471/1997 punisce, senza particolari specificazioni, le violazioni relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni, nonché l’omessa indicazione di ogni altro elemento prescritto per il compimento dei controlli, ma non vi è altrettanto dubbio che ogni sanzione può avere un senso logico e giuridico solo se è rivolta a contrastare e perseguire una concreta e reale offensività all’interesse pubblico fiscale. In questo caso, invece, non vi è chi non veda come la rimozione di un simile errore dichiarativo, di fatto eliminando un originario indebito arricchimento erariale, afferma nient’altro che il diritto del contribuente a poter ripristinare l’effettività della propria capacità contributiva.

Quindi, appare del tutto irragionevole immaginare di poter punire una condotta del contribuente tesa a correggere quello che, se non emendato, costituirebbe addirittura un improprio vantaggio per il Fisco.

In ogni caso, una presentazione di una dichiarazione integrativa a favore non potrebbe comunque essere mai sanzionata anche perché, al più, essa risulta essere una fattispecie di regolarizzazione fiscale improduttiva di danno erariale che non configura alcun ostacolo all'azione di controllo dell'ufficio, il quale potrà facilmente liquidare anche detta nuova dichiarazione tramite i propri controlli automatici.

Quindi, anche ogni ipotesi di violazione astrattamente (ed assurdamente) riconducibile all’emendamento a favore di una dichiarazione integrativa sarebbe comunque, al più, da derubricare ad una violazione meramente formale che non costituisce alcun pregiudizio per l’Erario, nel contestuale auspicio che neanche il Fisco coltiverà ancora pregiudizio verso il contribuente, tramite uno dei significati che di quella parola fornisce il dizionario, ove si afferma che il pregiudizio è l'atteggiamento di chi, con opinioni preconcette, assume atteggiamenti ingiusti.

L’Agenzia delle entrate è qualcosa di più e di meglio.

Buon Natale a Tutti i lettori!

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