L’AIDC prende posizione : senza distribuzione finanziaria, mai utile “occulto” tassabile sui soci

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Con la Norma di comportamento n. 198, l’ AIDC ha affermato il principio sulla base del quale in capo al socio di società di capitali è tassabile solo il maggior reddito che si presume distribuito, coincidente con il maggior reddito accertato in capo alla società al netto delle imposte che su tale reddito, a causa dell’accertamento, la società medesima è stata chiamata a pagare. Secondo l’Associazione dei Dottori commercialisti, infatti, ciò deriva in maniera pacifica dalla modalità di tassazione delle società di capitali.

Come noto, nell'ordinamento vigente, mentre il reddito delle società di persone è attribuito per trasparenza ai loro soci in capo ai quali è assoggettato ad IRPEF, il reddito delle società di capitali è assoggettato ad IRES in via autonoma solo in capo alle stesse, mentre è soggetto ad ulteriore imposizione IRPEF in capo ai soci il solo utile effettivamente distribuito agli stessi. In assenza di una sua distribuzione (palese o occulta) non può quindi mai esservi imposizione in capo ai soci dell'utile realizzato da una società di capitali, ma, secondo un ripetuto orientamento della Cassazione, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria, presunzione semplice ex art. 2729 c.c., di matrice pretoria, che, trovando fondamento nella ristretta base azionaria e quindi nella "complicità che normalmente lega un gruppo ristretto di soci", viene ritenuta dalla Suprema Corte ragionevole e sufficiente per fondare, ex art. 39 del DPR 600/73, l'accertamento in capo al socio del maggior reddito della società che si presume da lui percepito in proporzione alla sua partecipazione, salva "la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti", ovvero che sono stati percepiti da altri.

Giustamente, però, secondo l’AIDC tale presunzione può trovare applicazione solo e nei limiti in cui il maggior reddito accertato in capo alla società discenda da fattispecie che implicano una comprovata formazione di risorse finanziarie occulte e, quindi, da ricavi non dichiarati o da costi fittiziamente sostenuti (oggettivamente inesistenti), mentre la stessa non deve trovare applicazione nei casi in cui il maggior reddito imponibile accertato nei confronti della società non sia chiaramente rappresentativo di una disponibilità finanziaria occulta che possa essere stata distribuita ai soci, perché in tali casi, infatti, manca del tutto il presupposto di imponibilità dei dividendi in capo ai soci ex art. 47 TUIR, rappresentato dalla percezione degli stessi.

Esemplificando alcuni casi in cui la presunzione in commento non può trovare applicazione, vengono nel citato documento evidenziati gli accertamenti di maggior reddito imponibile che trovano origine in :

- costi effettivamente sostenuti ma ritenuti in tutto o in parte indeducibili,

- accantonamenti o ammortamenti recuperati a tassazione,

- rettifiche dei criteri di valutazione adottati dalla società,

- "spostamenti" di proventi od oneri da un esercizio ad un altro in violazione del principio di competenza,

- applicazione delle regole in tema di transfer pricing,

- applicazione delle regole in tema di acquisti da società residenti in paesi a fiscalità privilegiata,

- applicazione delle regole in materia di Controlled Foreign Companies (CFC Rules),

- applicazione di strumenti, indirettamente sanzionatori o di tipo "statistico", quali la disciplina delle cosiddette società di comodo e gli studi di settore.

Se, infatti, in capo alla società non si è formata alcuna disponibilità finanziaria occulta e quindi alcunché poteva essere distribuito ai soci, per il socio sarebbe a priori impossibile fornire quell'unica prova contraria ammessa dalla Suprema Corte che è rappresentata dalla dimostrazione di non avere percepito tali maggiori redditi. L’AIDC, infine, si sofferma ad evidenziare come la presunzione di distribuzione ai soci del maggior reddito accertato in capo a società di capitali non può, in ogni caso, portare ad una illegittima duplicazione di imposizione (in senso economico) in capo a soggetti diversi dello stesso reddito lordo. Il maggior reddito accertato in capo alla società non può essere considerato per intero distribuito ai soci e nuovamente assoggettato a imposizione in capo agli stessi nel suo intero ammontare, in quanto già gravato da imposizione in capo alla società per effetto dell'accertamento. Da un punto di vista economico, difatti, il maggior reddito che può essere considerato definitivamente distribuito ai soci è pari solo al maggior reddito accertato in capo alla società al netto delle imposte che su tale reddito, per effetto dell'accertamento, la stessa è chiamata a corrispondere.

Infatti, una società di capitali, nel Conto Economico, determina l’utile e, dopo la liquidazione delle imposte, decide se distribuire i dividendi oppure se metterli a riserva ed ai soci vengono quindi distribuiti gli utili che residuano dopo la liquidazione dell’IRES, salvo, ovviamente, siano messi a riserva.

Quando, allora, un maggior reddito viene imputato ai soci esso deriva da una variazione del Conto Economico eseguita in sede di accertamento e, quindi, l’utile attribuito ai soci non può che essere al netto delle imposte. Cosicché, nel momento in cui gli utili “qualificati” sono attribuiti al netto delle imposte, la tassazione non può che avvenire nella misura in cui lo consente l’art. 47 del TUIR, quindi nella misura del 49,72%, come giustamente ormai affermato anche da diversa giurisprudenza.

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