L’ammortamento del bene prescinde dal costo d’acquisto

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Si va sostanzialmente consolidando la giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione in ordine alla non legittimità degli accertamenti dell’Agenzia delle entrate in cui si contesta la deducibilità degli ammortamenti su cespiti, se questa si basa sul disconoscimento del costo su cui vengono calcolati, se detti costi sono ormai prescritti.

Ed infatti, la Cassazione da ultimo con sentenza n. 9993 del 24/4/18 ha stabilito che nel caso di costi che si deducono frazionatamente in più anni per il tramite delle quote di ammortamento, la decadenza in danno dell'Agenzia deve ritenersi necessariamente maturata una volta decorso il 31 dicembre del 4° anno  (ma dal periodo d’imposta 2016 è bene ricordare che la prescrizione si è allungata di un anno) successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione dei redditi e Irap relativa ai periodi d’imposta in cui i costi oggetto di ammortamento sono stati concretamente sostenuti.

Secondo la suprema Corte, infatti, i presupposti del diritto alla deduzione degli ammortamenti si ricollegano all’anno in cui il costo è stato sostenuto in base al principio di competenza, mentre il suo frazionamento interferisce solo sul relativo mero esercizio della deduzione.

La sentenza di fatto avvalora quanto prevede l'articolo 43, co. 1, D.P.R. n. 600/1973, laddove si disciplina la materia dei controlli sostanziali sulla contabilità dell’impresa da cui scaturiscono conseguenti avvisi di accertamento, disponendo la decadenza dell'Agenzia delle entrate dal potere impositivo una volta che sia decorso il 31 dicembre del 4° anno successivo a quello in cui è stata presentata dichiarazione.

Si tratta di una conclusione assai rilevante talché merita di essere ricostruito l’iter storico che è ha avuto inizio con una posizione della Cassazione rigide e favorevole all’amministrazione finanziaria per arrivare ad oggi in cui il contribuente è risultato pienamente vittorioso.

Posto che dobbiamo essere pratici, segnalo che al di là dei casi concreti presi in esame dalla Suprema Corte, una delle ipotesi più frequenti di lite con l’amministrazione finanziaria in sede di verifica è quella della capitalizzazione in epoca remota dei costi e spese incrementativi su immobili la cui documentazione essendo trascorsi 10 anni non è più disponibile; tale costi e spese vengono poi ammortizzati in conformità al lungo piano di ammortamento del costo d’acquisto dell’immobile.  Stesso dicasi per la deducibilità per il tramite delle quote di ammortamento del costo pagato per l'avviamento.

Il caso concreto

La Cassazione ha preso in esame un accertamento dell’Agenzia elle entrate dal quale è scaturito un recupero d’imposta proprio in relazione ad ammortamenti iscritti in contabilità e confluiti quindi nel risultato d’esercizio e, per questo, dedotti ai fini delle imposte sui redditi. In particolare il recupero era riferito ad ammortamenti per il quale non si metteva in discussione l’aliquota utilizzata e, dunque, la misura della quota di costo imputata nei singoli anni, bensì veniva proprio eccepita la completa non deducibilità del costo sostenuto.

Si trattava di ammortamenti calcolati e dedotti da una S.p.A. sul valore di impianti di gestione di un acquedotto di proprietà d Comune di Como; impianti che il Comune non aveva trasferito in proprietà alla predetta S.P.A. ricorrente, bensì affidati alla stessa in concessione d’uso per la durata di 29 anni.

La Sentenza non brilla di chiarezza ma sembra che l’Agenzia abbia ritenuto che doveva essere dedotto il canone di concessione d’uso e non l’ammortamento calcolato, evidentemente, dalla società, in base a quanto previsto dall’articolo 104 del Tuir (Ammortamento finanziario di beni gratuitamente devolvibili), mentre la società insisteva nel sostenere la legittimità del proprio comportamento fiscale e dunque la piena legittimità della deduzione degli ammortamenti.

Ciò detto, la Cassazione è stata chiamata a stabilire se la decadenza del potere accertativo dell'Agenzia maturi:

  • con il decorso del 31 dicembre del 4° anno successivo a quello della dichiarazione di ciascuna quota di ammortamento; oppure
  • con il decorso del 31 dicembre del 4° anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui il costo è stato sostenuto e l'ammortamento è iniziato a decorrere.

Ebbene, la Corte osserva che è certamente vero che in campo fiscale vige il principio della autonomia dei periodi d’imposta, secondo quale a ciascun periodo d’imposta corrisponde un’autonoma obbligazione tributaria, ma ciò non significa che rientra nel potere dell’Amministrazione Finanziaria procedere al controllo delle singole dichiarazioni dei redditi disconoscendo un componente negativo di reddito se questo pone le sua basi su annualità prescritte. Infatti, il criterio dell’autonomia dei periodi d’imposta non rileva in termini assoluti ed incondizionatamente.  La Corte Costituzionale, con sentenza n. 80/05, da cui è derivata l’adozione della vigente disciplina in tema di decadenza dell’Agenzia dal potere impositivo, ha ribadito (cfr., anche Corte Cost. ord. 352/04) che il contribuente non può essere esposto all’azione esecutiva del fisco per termini eccessivamente dilatati nel tempo e ha nel contempo, a tal fine, rilevato la congruità del termine, sancito dall’art. 43, comma 1, d. P.r. 600/1973, al quale, in forza del Decreto Legge n. 330/1994, va corrispondentemente rapportato l’obbligo di conservare i documenti su cui si basa la dichiarazione. Ne discende che, in ipotesi di costi che danno luogo a diritto a deduzione frazionata in più anni e di quote di ammortamento, la decadenza in danno dell’Agenzia deve ritenersi necessariamente maturare con il decorso del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione relativa ai periodi fiscali in cui i costi sono stati concretamente sostenuti venendosi, altrimenti, a violare il precetto sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 280/05.

Peraltro, la stessa Corte richiama un proprio precedente vale a dire la sentenza n. 3304/99, secondo la quale se è pur vero che ogni esercizio è autonomo, la rettifica della quota d’ammortamento non è più possibile qualora non dipenda da erroneità della sua determinazione (perché superiore a quanto inizialmente previsto, o malamente calcolata) e erroneamente l’Ufficio non abbia mai proceduto al disconoscimento dell’iscrizione nel bilancio del costo da ammortizzare negli anni successivi. Né, conclude la Corte, che assumono rilievo le sentenze n. 15178/10 e n. 12880/08, giacché da esse si può solo trarre l’assunto che, in presenza di posta contabile destinata a riflettersi per una pluralità di annualità successive, solo la relativa tempestiva contestazione di tale posta vale a precludere eventuali decadenze per gli anni successivi.

 I precedenti e il percorso di avvicinamento

Va detto che la sentenza si presenta innovativa rispetto a quanto stabilito da Altra Sezione della stessa Corte con sentenza n. 15178 del 23 giugno 2010, laddove ebbe a stabilire che la rettifica del calcolo degli ammortamenti era legittima da parte dell'ufficio, anche se il recupero d'imposta si basava su parametri di calcolo (costo storico, coefficienti, numero di anni) che erano stati stabiliti dal contribuente in annualità d'imposta non più accertabili (per decadenza del termine di quattro anni dalla presentazione della dichiarazione dei redditi, ai sensi dell'articolo 43 del Dpr 600/1973). La legittimità dell'operato dell'ufficio è stata a suo tempo ritenuta giustificata dalla rilevanza fiscale, anche per gli esercizi futuri, dei metodi di contabilizzazione di costi e ricavi, adottati in sede civilistica dalle imprese.

Prima ancora, la Cassazione con la sentenza n. 12880/08, aveva stabilito che pur sussistendo l'asserita decadenza dalla possibilità di rideterminare valori riferiti a spese per immobili in anni precedenti il quinquennio, è possibile la correzione dei calcoli delle quote di ammortamento e delle spese di manutenzione per gli anni successivamente accertati.

Tuttavia sul punto va annotata la successiva sentenza della Corte di Cassazione n. 9834 del 2016, la quale ha stabilito che l'obbligo di conservazione delle scritture contabili non può eccedere i dieci anni in applicazione dell'art. 8 della legge n. 212/2000, salva l'ipotesi in cui esso riguardi documenti su accertamenti iniziati prima del decimo anno, ma non ancora definiti; in altri termini, l’ultrattività dell'obbligo di conservazione ovvero la sua estensione oltre il termine decennale si impone non già in via generale ma solo se l'accertamento che sia iniziato prima del decimo anno non sia stato ancora definito.

E così di sentenza in sentenza si è giunti ad oggi: la rettifica dell’ufficio deve avvenire non entro i 10 anni previsti per la conservazione delle scritture contabili e dei relativi giustificativi di spesa bensì nel più breve termine di 4 anni, ovvero dal periodo d’imposta 2016 entro 5 anni.

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