Liquidazione società di capitali – la responsabilità del liquidatore e dei soci

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Laddove sopravvenga la cancellazione dal registro delle imprese della società di capitali, i creditori insoddisfatti possono far valere le loro pretese nei confronti dei soci nei limiti delle somme da questi riscosse, ovvero nei confronti dei liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi (articolo 2495, c. 2 del c.c.).  In particolare ogni singolo socio risponde dei debiti residui e delle sopravvenienze passive poi manifestatesi nei limiti dei conferimenti restituiti, delle quote di liquidazione distribuite oltre che degli acconti ricevuti e dei conferimenti non ancora eseguiti.

E’ bene, dunque, da subito far rilevare che gli ex soci non hanno una responsabilità solidale tra di loro per i debiti non estinti della società, bensì hanno l’obbligo di mettere a disposizione dei creditori della società, in denaro, il valore ottenuto fino a concorrenza della loro quota come risulta dal bilancio finale di liquidazione.

La responsabilità dei liquidatori

La colpa del liquidatore nei confronti dei creditori sociali (articolo 2491, c.c.) si ravvisa laddove questi abbia effettuato il riparto pur consapevoli dell’esistenza di debiti residui anche solo potenziali (Tribunale di Milano, sentenza 14 novembre 2007).  Occorre però far presente che se la (errata) consapevolezza della passività societaria dipende da una negligenza professionale del liquidatore, egli ne risponde comunque. La sentenza ora citata, tuttavia ha escluso la colpevolezza del liquidatore che ha cancellato la società dal registro delle imprese in presenza di debiti, posto che comunque mancava qualunque risorse economica per potersi provvedere.

L’azione di responsabilità nei confronti dei liquidatori deve essere proposta dai creditori entro il termine perentorio di 5 anni dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.

I debiti fiscali

Per quanto riguarda i debiti fiscali, è l’articolo 36 del DPr n. 600/1673 che detta le regole: “I liquidatori che non adempiono all'obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all'assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all'importo dei crediti d'imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti.”.

In sostanza, i liquidatori rispondono non solo delle imposte riferite al periodo di liquidazione ma anche a quelle dei periodi d’imposta precedenti. La problematica è di facile soluzione se dette imposte non pagate dei periodi precedenti sono chiaramente riscontrabili dalla contabilità e dai modelli dichiarativi, mentre si complica laddove pensiamo ad un avviso di accertamento notificato alla società in liquidazione riferito a periodi d’imposta ante liquidazione in cui il liquidatore era ancora di là da venire.

Peraltro, l’art. 28 co.4 del d.lgs. n.175/2014 (c.d. “decreto semplificazioni fiscali”) ha stabilito che “ai soli fini della validità e dell'efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l'estinzione della società di cui all'articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese”. Di fatto, è stato previsto che la società, cancellata dal RI e, quindi, estinta alla stregua della nuova formulazione di cui all’art. 2495 c.c., comunque possa rimanere in vita nei cinque anni successivi alla cancellazione, con riferimento limitato alle sole ipotesi in cui il Fisco debba effettuare la sua attività di accertamento.

Secondo l’Agenzia dell’Entrate (circolari n. 31/2014 e n. 6/2016) la novella normativa, in quanto norma di natura procedurale, si applicherebbe con efficacia retroattiva anche agli atti oggetto di contenzioso impugnati prima del 13 dicembre 2014. Tale tesi è stata fortunatamente seccamente smentita dalla Corte di Cassazione nella sentenza n.6743/2015, cui si sono accodate numerose sentenze di merito.

D’altronde, i soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante la liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dalla società nei limiti del valore dei beni stessi. Il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio od associato, salva la prova contraria.

  • Codice Civile- articolo 2495, c. 2; 2491
  • Articolo 28 co.4 del d.lgs. n.175/2014
  • Agenzia dell’Entrate- circolari n. 31/2014 e n. 6/20
  • Corte di Cassazione sentenza n.6743/2015,
  • Tribunale di Milano, sentenza 14 novembre 2007).

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