Operazione inesistente o errata? La fattura ricevuta non va registrata

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Prima o poi, potrebbe capitare che un cessionario o committente di un'operazione economica, soggetto passivo d'imposta, riceva una fattura errata o irregolare.
A quel punto, secondo canone di correttezza e buona fede, egli è tenuto a darne conto al cedente o prestatore affinché questi possa correggere l'errore, emettendo una nota di credito per modificare il contenuto dell'erroneo documento.
Potrebbe, tuttavia, anche succedere che la controparte dell'operazione non ritenga di aver sbagliato o che, in ogni caso, non ritenga di provvedere a modificare il suo operato.

A quel punto, cosa bisognerà fare?

Chiaramente, in assenza di soluzione condivisa bisognerà accertare le cause effettive di quell'errore che, per il cessionario/committente, indurrebbero ad adottare correzioni di un documento precedentemente emesso.
Le fattispecie possibili sono, essenzialmente, tre: inesistenza dell’operazione, addebito d’imposta inferiore a quello dovuto o, infine, irregolarità che comunque non incidono nella determinazione dell’IVA.
Sulla opportunità, prima di fare qualsiasi azione, di dare preventiva segnalazione al cedente/prestatore dell’errore o irregolarità, si è espressa da poco anche l’Agenzia delle Entrate (risposta ad interpello 18 maggio 2020 n. 133), affermando che in questo modo lo stesso cedente/prestatore facilmente potrebbe procedere ad emettere una nota di variazione ex art. 26 comma 2 del DPR 633/72 e una nuova fattura corretta.
In ragione del fatto che, ai sensi dell’art. 6 comma 8 lett. b) del DLgs. 471/97, il cessionario/committente che ricevesse una fattura errata o irregolare dispone soli di trenta giorni dall’annotazione per l’emissione di un documento integrativo e il versamento dell’imposta dovuta, entro tale intervallo di tempo le parti dovranno accordarsi su come regolarizzare la faccenda ma, se così non fosse ed il cedente/prestatore rimanesse inerte, per il cessionario/committente occorrerà procedere senza indugio e, a seconda dei casi, bisognerà agire con prontezza per risolvere la criticità.

Nel caso di inesistenza – oggettiva o soggettiva – dell’operazione, per non sussistenza alcuna di rapporto fra le parti, la fattura deve sicuramente ritenersi fiscalmente non rilevante, ma sarebbe stato preferibile che potesse essere rifiutata, ma così non è. Come, infatti, affermato dalle Entrate nella FAQ 27 novembre 2018 n. 18 in tema di fatturazione elettronica, non può mai rifiutarsi la ricezione di una fattura.
Ad ogni buon conto, indipendentemente dalla circostanza che il cedente/prestatore proceda, o meno, allo storno della fattura, il cessionario/committente non dovrà mai annotare la stessa nel registro degli acquisti, ex art. 25 del DPR 633/72.
Ovviamente, l’inesistenza soggettiva potrebbe peraltro essere causata non già da intenti fraudolenti, ma da un mero errore del fornitore, come nel caso in cui venisse riportato un dato erroneamente richiamato da un'anagrafica diversa del software aziendale. Ma la questione rimarrebbe invariata.

Altra ipotesi, invece, concerne eventuali irregolarità dipendenti da un'errata applicazione del regime impositivo. Ad esempio, ove la fattura recasse un imponibile o un’imposta inferiore a quella dovuta si renderà applicabile la nota procedura di regolarizzazione prevista dall'art. 6 comma 8 lett. b) del DLgs. 471/97 (cd. autofattura denuncia) ed entro il termine del trentesimo giorno successivo alla registrazione, il cessionario/committente trasmetterà un’autofattura mediante SdI, previo versamento della maggiore IVA dovuta, che potrà essere portata in detrazione secondo le disposizioni di cui all’art. 19 del DPR 633/72.
Alcune ipotesi nelle quali si pone l’obbligo di procedere alla regolarizzazione sono, ad esempio, le fatture per operazioni escluse che invece avrebbero dovuto essere assoggettate a IVA o per operazioni assoggettate ad aliquote inferiori a quelle effettive.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, gli oneri di controllo imposti al cessionario/committente sarebbero comunque circoscritti alla verifica degli elementi “essenziali e formali” della fattura (Cass. 12 dicembre 2014 n. 26183).
Tuttavia, la prassi operativa dei verificatori dell’Amministrazione finanziaria consiglia di procedere sempre ad un attento esame sostanziale del trattamento IVA applicato dal cedente/prestatore, atteso che il giudizio sulla ragionevolezza delle valutazioni giuridiche del cessionario/committente è sempre possibile che sia contestato.

In tal senso, qualora l’IVA esposta sia superiore a quella effettivamente applicabile, il cessionario/committente potrebbe regolarizzare la fattura ricevuta tramite il SdI, ma in tal caso ci si dovrà sempre astenere dalla detrazione dell’imposta erroneamente applicata. Benché, infatti, l’art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97 farà eventualmente salvo tale diritto attraverso il mero pagamento di una sanzione pari a un ammontare compreso fra 250 e 10.000 euro, non è detto che in quei casi sia sempre irrogata la sanzione minore. Infine, nell'ipotesi in cui gli errori presenti in fattura non incidano sulla determinazione dell’imposta ma riguardino aspetti formali, il cessionario/committente potrà procedere alla regolarizzazione, ma qualora non vi provveda e contabilizzi il documento, appare comunque ammissibile l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta dovuta.

In ogni caso, per l'Agenzia l’avvio della procedura di regolarizzazione da porre sempre in essere qualora sia stata ricevuta una fattura non corretta dovrebbe essere preceduto, ove possibile, dalla comunicazione al cedente/prestatore dell’errore commesso e solo in assenza dell’emissione, da parte di quest’ultimo, di una nota di variazione e di una nuova fattura regolare, il cessionario/committente dovrà emettere autofattura.
Per poter, invece, esercitare il diritto alla detrazione, come rilevato dalla risoluzione n. 72/2019 e chiarito dalla circolare n. 1/2018, non è solo necessaria la sussistenza del requisito, sostanziale, dell’avvenuta esigibilità dell’imposta, ma anche la presenza di quello, formale, consistente nel possesso di una “valida fattura” redatta in conformità delle disposizioni dell’art. 21 del DPR 633/72.
Conseguentemente, al fine di non incorrere nelle sanzioni previste dal 471/97 per il caso di fattura emessa irregolarmente da parte del cedente o prestatore, il cessionario o committente dovrà azionare la ricerca della correzione avvertendo dell'erroneità il fornitore.

Da ultimo, si segnala che nei casi in cui l'errore venisse regolarizzato dal cessionario prima che il cedente abbia provveduto allo storno dell'errore ed ad emissione di un documento corretto, il fornitore potrebbe anche non emettere una nota per emendare il proprio errore, potendosi limitare ad annotare, nel registro IVA delle vendite, la circostanza che la regolarizzazione è già avvenuta ad opera del cessionario/committente con emissione di un’autofattura ex art. 6 del DLgs. 471/97, che deve essere “conservata agli atti”, tanto quanto riportato nella citata risposta ad interpello 18 maggio 2020 n. 133, mentre altre interessanti riflessioni sul tema sono contenute nella norma di comportamento n. 209 dell'AIDC (Associazione italiana dottori commercialisti ed esperti contabili).

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