Riserva da rivalutazione – Cassazione – l’affrancamento e al netto dell’imposta sostitutiva

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L’art. 110 del D.L. n. 104/2020 concede la facoltà di rivalutare beni d’impresa e partecipazioni di controllo o collegamento mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva del 3%; considerevolmente più bassa rispetto alle precedenti edizioni dell’agevolazione, dove l’imposta sostitutiva è stata pari al 10/12% a seconda che il cespite fosse non ammortizzabile (terreni, partecipazioni, immobili patrimonio) oppure, viceversa, lo fosse.

Possono rivalutare nel bilancio 2020, imprese individuali, società di persone (non le società semplici), società di capitali, enti commerciali e non, stabili organizzazioni in Italia di società ed enti non residenti. Possono rivalutare soggetti sia in contabilità ordinaria sia in contabilità semplificata. Nell’affitto o usufrutto d'azienda può rivalutare l’affittuario o usufruttuario se non è stata prevista la deroga civilistica all'obbligo di conservazione dell'efficienza dei beni ammortizzabili.

L’impianto agevolativo, peraltro, si discosta dalle precedenti norme aventi la stessa finalità dal momento che la rivalutazione può essere eseguita anche su singoli beni. Non c’è, dunque, l’obbligo (previsto, da ultimo, nella rivalutazione della Legge di Bilancio 2020) di rivalutare tutti i beni della stessa categoria omogenea.

La riserva da rivalutazione

Il saldo attivo di rivalutazione, al netto imposta sostitutiva, è imputato a capitale o in apposita riserva (appositamente denominata in bilancio) in sospensione d’imposta. Anche in questo caso è possibile affrancare la riserva, anche parzialmente, mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva del 10%. Da questo punto di vista la norma non si discosta rispetto al passato e ha la comprensibile motivazione di evitare che il beneficio della rivalutazione si traduca in un modo (indiretto) che consenta la distribuzione di utili ai soci, posto che la ratio della norma è la patrimonializzazione dell’impresa e non certamente l’arricchimento dei suoi soci.

La presa di posizione della Cassazione

La Suprema Corte (n. 19772 del 22/9/20) si è nuovamente espressa sulla questione dell’affrancamento del saldo attivo derivante dalla rivalutazione dei beni d’impresa (nel caso specifico quella della legge n. 266/2005) iscritto nel passivo di bilancio mediante imputazione a capitale, ovvero accantonato in apposita riserva in sospensione di imposta.

Secondo il consolidato atteggiamento dell’Agenzia delle entrate, l’imposta sostitutiva (10%) per affrancare la riserva, deve essere effettuato al lordo dell'imposta sostitutiva dovuta per la rivalutazione dei beni (10-12% per intenderci), nonostante, in bilancio la riserva sia esposta al netto della stessa.

Ebbene, la Corte, richiamando un suo precedente (sentenza n. 9509/2018) ha confermato, invece, che la base imponibile della sostitutiva del 10% è al netto dell’imposta sostitutiva (10-12%) riferita al maggior valore dei beni, vale a dire corrisponde al valore contabile della riserva.

La Corte evidenzia al riguardo che l’art. 4, co. 1, del regolamento attuativo (D.M. 86/2002), prevede che, anche ai fini fiscali, il saldo attivo risultante dalla rivalutazione è costituito dall'importo iscritto nel passivo del bilancio o rendiconto in contropartita dei maggiori valori attribuiti ai beni rivalutati e, al netto dell'imposta sostitutiva. Detto saldo deve essere imputato al capitale o accantonato in una apposita riserva ai sensi dell'art. 13, co. 1, della legge n. 342/2000.

È stata, dunque, di nuovo disattesa la tesi dell'amministrazione finanziaria - già dedotta nella circolare AE n.18 del 13/6/06 - secondo cui la base imponibile per la sostitutiva del 10% vada considerata al lordo dell'imposta sostitutiva, in forza di quanto stabilito nell'articolo 4, co. 2 del D.M. citato.

Secondo la Suprema Corte, soltanto nel caso di distribuzione ai soci della riserva di rivalutazione ancora in sospensione d’imposta, in quanto non affrancata, si pone la finalità, per l’amministrazione finanziaria, di recuperare a tassazione ordinaria, l’intero ammontare della rivalutazione, costituito sia dal saldo attivo di questa sia dall’importo già versato a titolo di imposta sostitutiva per la rivalutazione dei beni.

Nel caso, invece, di affrancamento (che può essere anche parziale), l’inserimento nella base imponibile dell’imposta sostitutiva dovuta per la rivalutazione finirebbe con il colpire un valore superiore (per l’importo di tale imposta) rispetto a quello iscritto a riserva in bilancio e, concretamente, non distribuibile.

Benché riferito a una precedente legge di rivalutazione il principio affermato dalla Cassazione è applicabile anche alle leggi di rivalutazione successive, compresa quella dell’art. 110 del D.L. n. 104/2020.

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