Se vuoi cedere il ced prima che ceda, forse eccedi

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C’eravamo tanto amati, diceva la canzone. Così sembra stia avvenendo per i commercialisti nei confronti della contabilità. La prestazione base, la madre di tutte le prestazioni sembra aver perso appeal nei confronti della categoria. E Il povero Luca Pacioli, inspiegabilmente tradito dai suoi pari, dai suoi successori, si rivolta nella tomba.

E infatti sono sempre di più gli studi commerciali e tributari che non desiderano più gestire la contabilità.

I motivi della disaffezione sono molteplici. Pressione competitiva sui prezzi, difficoltà di incasso, marginalità sempre più basse, se non negative. Responsabilità elevatissime, costi di elaborazione sempre più alti, quasi impossibile il reclutamento e fidelizzazione di personale specializzato. Una gestione del personale che richiede sempre più impegno, con turnover elevati e difficoltà di addestramento. Nessun aiuto da parte dei reparti contabili a gestire altre pratiche per conto dei titolari dello studio. A questo si aggiungano i presagi di riforma fiscale con un ritorno a metodi di tassazione forfetari, con una ulteriore perdita di valore fiscale per la contabilità.

Ma la goccia che ha fatto veramente traboccare il vaso è stata l’epidemia normativa che ha accompagnato quella del COVID. Il professionista ha toccato il fondo mentre i governanti hanno scoperto il godimento senza pari della norma e della prassi camaleontiche, cioè continuamente cangianti. Si veda lo scempio delle norme sui bonus 110%, che hanno trasformato quel che restava della certezza del diritto in un ossimoro. Regole cambiate più volte nel corso della partita, nell’assoluta assuefazione di tutti.

Qualcuno sostiene addirittura che l’ipertrofia delle norme e l’ammasso degli adempimenti sarebbero scientemente voluti da non meglio precisati centri di potere, per indebolire la categoria. Sarebbe financo rassicurante sapere che dietro quella congerie di stranezze c’è un qualche disegno strategico. Almeno uno.

Eppure la professione di commercialista ha avuto successo ed è cresciuta proprio grazie alla riforma tributaria del 72-73 che ha introdotto l’IVA e reso obbligatorie le scritture contabili. E oggi fare impresa è diventato difficilissimo e richiede una assoluta padronanza dei numeri.

Per cui, almeno a mio modo di vedere, quando il professionista se la prende con la contabilità, esagera.

C’è chi rinuncia tout court alla tenuta della contabilità mentre magari si potrebbe gestire assieme ad altri. In ossequio al grande individualismo che ancora domina la categoria manca una qualsiasi visione collettiva. Eppure la creazione di CED di maggiori dimensioni come le cantine sociali o i frantoi cooperativi potrebbe portare grande vantaggio ai conferenti.

Per altro verso, fa ancora paura l’outsourcing, che pure sarebbe un’ottima soluzione. E’ molto più rassicurante tenere tutto in casa. Ma avere uno stuolo di contabili nella stanza accanto non garantisce nulla in termini di rispetto delle scadenze o di qualità degli elaborati. Soprattutto se non si ha né il tempo (né la voglia) di controllare quello che fanno e come lo fanno. Né la capacità di motivarli a fare di più e meglio.

Sembrerebbe dunque mancare una soluzione, anche perché molti clienti non sono disposti a tenere la contabilità all’interno o a farsi seguire da più studi diversi, uno per la contabilità e l’altro per la consulenza. Non resta che vendere. O chiudere.

In realtà l’elaborazione contabile ha ancora un senso, eccome. Purché la si consideri per quello che è diventata: un’attività da gestire non più in un ottica artigianale ma industriale. Se si informatizza in modo pervasivo la gestione dell’intero ciclo contabile questa può ridiventare economicamente conveniente. Se la si vende ai clienti per i suoi contenuti gestionali, potrà continuare a portare valore aggiunto e sopravvivere ai capricci del fisco.

Per ottimizzare costi e ricavi del CED, occorre inoltre separare l’attività contabile da quella di consulenza minuta, che oggi vengono svolte congiuntamente (ed entrambe lentamente e male) dallo stesso staff, che si divide tra compiti sempre più inconciliabili. La separazione della consulenza permette anche di valorizzarla meglio anziché regalarla come si fa ora. Proprio a motivo dei bassi margini e degli alti rischi, e per dare serenità agli addetti, l’attività dei reparti contabili degli studi deve essere scientificamente e rigorosamente pianificata, e gestita da coach in grado di rasserenare e mantenere alto il morale delle truppe. I titolari dello studio dovrebbero inoltre evitare di destabilizzare i reparti contabili con richieste di ulteriori prestazioni, che in passato riuscivano a fronteggiare e che oggi invece dovrebbero essere gestite da personale dedicato, o almeno inserite nella pianificazione complessiva del dipartimento.

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