Spese vitto e alloggio offerte dall’impresa a terzi – quando sono interamente deducibili

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Quante volte capita che una impresa o una società per dovere di ospitalità offra a terzi un pranzo o una cena, o talvolta si occupi della loro sistemazione in albergo?

E’ spesso un atto dovuto perché si tratta di ricambiare un analogo trattamento a suo tempo ricevuto dalla controparte, ovvero perché è nella logica delle cose che quel cliente o fornitore, in visita presso l’azienda, (o perché no, presso lo studio del professionista) sia ospite dell’azienda/professionista.

In questi casi ci si pone il duplice problema:

  • l’iva della relativa fattura è pienamente detraibile, oppure l’operazione è classificabile tra le spese di rappresentanza è dunque completamente indetraibile?
  • Il costo è deducibile per il 75% come per la generalità delle spese di vitto e alloggio o miseramente deducibile come spesa di rappresentanza (% di scaglione sui ricavi)?

Cominciamo col dire che non c’è allineamento tra Agenzia e giurisprudenza e continuiamo col dire che l’Agenzia nel corso del tempo ha modificato (fortunatamente) in meglio il proprio orientamento, anche se permane la divergenza di vedute su alcune questione specifiche.

Partiamo da lontano, vale a dire dalla Circolare n. 34 del 31 luglio 2009, atto di prassi di riferimento per le spese di rappresentanza, che illustra le disposizioni contenute nel DM attuativo 19 novembre 2008.

La nozione di spesa di rappresentanza ai fini delle imposte dirette ha rilievo anche ai fini dell’IVA, talché tutte le volte che la spesa per prestazioni alberghiere e di ristorazione è qualificata ai sensi del DM come spesa di rappresentanza, la detrazione IVA non è consentita.

Per quanto riguarda la determinazione del reddito d’impresa, il comma 5 dell'art. 109 del Tuir prevede in via generale la limitazione al 75% della deduzione delle spese per vitto e alloggio, fatta eccezione di quelle riferite a dipendenti o collaboratori in trasferta. Se poi si tratta di spesa di rappresentanza tali spese, ridotte al 75%, sono deducibili a scaglioni di ricavo.

Il DM attuativo 19 novembre 2008 ha stabilito che, in linea generale, le spese aventi finalità promozionale o di pubbliche relazioni, sono da considerarsi di rappresentanza salvo che siano offerte a clienti, anche potenziali, in occasione di loro visite a sedi o stabilimenti dell’impresa o in occasione di fiere, mostre e eventi simili, in cui sono esposti prodotti o servizi dell’impresa: in quest’ultimo caso i costi non sono qualificabili di rappresentanza e sono dunque deducibili nei limiti del 75% del loro ammontare con l’Iva interamente detraibile. Sul punto si ritiene (trattasi di opinione personale) che la locuzione “Spese per viaggio, vitto e alloggio sostenute per ospitare clienti, anche potenziali, in occasione di mostre, fiere, esposizioni ed eventi simili in cui sono esposti i beni e i servizi prodotti dall’impresa, ….. ovvero in occasione di visite a sedi, stabilimenti o unità produttive dell’impresa”, non debba necessariamente fare intendere che tali spese debbano necessariamente essere sostenute nel luogo in cui si svolge l’evento, ovvero in quello in cui è ubicata l’impresa, ben potendo essere sostenute altrove, sempreché si dimostri che coloro i quali consumano il pasto o pernottino in albergo sono in viaggio per raggiungere la fiera o la sede dell’azienda.

Sulla problematica delle spese di vitto s’innesca un aspetto non affrontato dell’agenzia delle entrate: si tratta delle spese sostenute dall’azienda per offrire pasti a soggetti con cui è in rapporti (clienti, fornitori, rappresentanti, associazioni di settore, giornalisti, etc.) quando l’azienda è rappresentata da un dipendente o un collaboratore dell’azienda (esempio, il direttore amministrativo o commerciale, ovvero l’amministratore) e dunque, in occasione di trasferte.

Tanto premesso, è da ritenersi che la parte di costo riferita al dipendente o al collaboratore “accompagnatore” debba seguire la stessa sorte fiscale dell’ospite e, dunque:

  • se l’ospite è un cliente, anche potenziale, e il pranzo è offerto in occasione di una visita all’azienda o in occasione di una mostra, fiera o evento simile, l’Iva è interamente detraibile e il costo deducibile al 75%;
  • diversamente, il pranzo offerto dal dipendente/collaboratore al soggetto terzo (fornitore, direttore di banca, politico, etc.) dovrebbe trattasi di spesa di rappresentanza, talché l’IVA è indetraibile e il costo è ridotto al 75% e poi posto a raffronto con i limiti di ricavo previsti dal citato DM.

Fin qui le datate e per certi versi confermate prese di posizione dell’agenzia.

Senonché, l’Agenzia  delle entrate nella  circolare n. 31/2014, a commento della modifica dell’articolo 54 del Tuir con cui ha liberato i professionisti della inutile schiavitù di indicare in fattura le spese di vitto e alloggio delle quali si è fatto carico direttamente il committente, ha fatto una affermazione rivoluzionaria, laddove ha chiarito con riferimento alla “modifica normativa in esame, ….(che) la funzione della spesa deve continuare a ritenersi assorbita dalla prestazione di servizi resa dal professionista beneficiario al committente. Si ritiene, quindi, che il suddetto limite di deducibilità del 75% non operi per il committente per le spese sostenute per l’acquisto di prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande, di cui sono be­neficiari i professionisti nel contesto di una prestazione di servizi resa al committente, imprenditore o lavoratore autonomo.

Dunque, non solo l’Agenzia ritiene che le spese di vitto e alloggio direttamente sostenute con riferimento al “fornitore” professionista non sono spese di rappresentanza, ma addirittura ha ritenuto che non si applichi neanche la indeducibilità ai fini delle imposte sui redditi del 25% del loro ammontare. Insomma completa via libera.

Possiamo allora librarci in volo e concludere che tutte le volte in cui per accordo con il fornitore (e perché mai solo con riferimento al fornitore professionista?), non necessariamente risultante per scritto posto che i contratti possono anche essere verbali, le spese di vitto e alloggio sono a carico del committente, questi le deduce senza alcun limite!

Da dove si evince la volontà dell’accordo? Facile: dal fatto che ha pagato il committente!

Tale liberale apertura interpretativa (assolutamente da condividere) mette però in crisi la datata presa di posizione dell’agenzia delle entrate contenuta nella circolare 34/2009, laddove ha chiarito che la spesa per ospitare dei fornitori, quali gli agenti e rappresentanti di commercio, presso una propria fiera non può essere equiparata a quelle sostenute per ospitare i clienti (cioè come spesa dalla “forte connotazione commerciale”), facendo presente che la qualificazione della spesa deve avvenire utilizzando ordinari criteri interpretativi.

Tali conclusioni lasciano notevolmente perplessi: un agente che si reca in una fiera rappresenta ben più di un potenziale cliente, bensì una pluralità di potenziali clienti: vale a dire tutte le imprese da lui intermediate. Dunque è evidente che l’affermazione dell’Agenzia nasce semplicemente dalla mancata conoscenza della funzione dell’agente e del mercato di riferimento. Occorrerebbe forse fare presente che, addirittura, in analisi finanziaria, in sede riclassifica dei bilanci a costo del venduto, il costo rappresentato dalla provvigione riconosciuta all’agente è portato (addirittura) a detrazione dei ricavi per vendita.

D’altronde la recentissima sentenza della Cassazione n. 24227 del 29/11/16 ha stabilito che ai sensi dell’art. 108, co.2, del Tuir devono qualificarsi come spese di pubblicità (interamente deducibili) quelle sostenute dall’azienda di moda per offrire vitto e alloggio a propri agenti e clienti in occasione di un meeting (nella specie, una sfilata di moda), in quanto diretta a incrementare le vendite.

La Suprema Corte fa presente che l’obiettivo perseguito con le spese di pubblicità o propaganda, di regola, consiste in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, normalmente, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto laddove, invece, le spese di rappresentanza coincidono con la crescita d'immagine ed il maggior prestigio nonché con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società. Nella fattispecie, è stato ritenuto che la spesa sostenuta per la presentazione dei predetti capi da parte della società produttrice ad una clientela selezionata di soggetti operanti nel settore e probabili acquirenti, costituisca spesa destinata ad incrementare le vendite presso i predetti clienti e, quindi, spesa di natura pubblicitaria.

D’altronde nella stessa direzione si era anche espresso il disciolto Comitato antielusivo il quale, con il parere n. 13/2006, ebbe ad affermare che sono considerate spese di rappresentanza quei costi sostenuti durante le visite in azienda, in assenza di correlazione diretta con i ricavi ("trasporto, al vitto ed all’alloggio sostenuti dal contribuente a beneficio degli utilizzatori finali e dei clienti"), mentre rappresentano costi di pubblicità se destinate ai "promoter e degli agenti invitati ai meeting presso la sede sociale"; in questo caso, è provata la correlazione diretta dei ricavi.

Se poi non ci fidiamo della giurisprudenza di casa nostra può essere d’aiuto la Sentenza 11 dicembre 2008, procedimento C-371/07, della Corte di Giustizia UE, la quale si è pronunciata riguardo al trattamento IVA della fornitura a titolo gratuito di pasti nel corso di riunioni di lavoro. Secondo la Corte UE, sui pasti gratuiti l’IVA è detraibile per intero se l’imprenditore organizza i pranzi per garantire continuità nel lavoro dei dipendenti o limitare interruzioni in riunioni con agenti, dipendenti o clienti.

Altro che rappresentanza!

  • Tuir - articolo 108
  • Tuir - articolo 109, comma 5
  • Tuir - articolo 54
  • DM 19 novembre 2008
  • Agenzia entrate - Circolare n. 34 del 31 luglio 2009
  • Corte di Giustizia UE Sentenza 11 dicembre 2008, procedimento C-371/07,
  • Cassazione n. 24227 del 29/11/16

 

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