Successione ereditaria – il c/c entra tutto in dichiarazione anche se c’è comunione legale

Download PDF

In caso di morte del coniuge in regime di comunione legale dei beni, nella dichiarazione di successione va indicato l’intero importo del saldo attivo del conto corrente intestato al medesimo. Solo se l’erede fornirà la prova che sussistano i presupposti per applicare il regime della comunione legale “differita”, potrà includere nell’attivo ereditario solo il 50% del conto.

Il chiarimento è fornito dall’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 398 del 1° agosto 2022.

L’INTERPELLO –  IL CASO CONCRETO

Oggetto del quesito è la determinazione dell’attivo ereditario, per il valore integrale o nella misura del 50%, relativamente ai seguenti beni posseduti dal de cuius, che si trovava in regime di comunione legale:

  • un conto corrente bancario intestato unicamente al de cuius;
  • quote versate come socio prestatore su un libretto, produttive di interessi;
  • stipendi maturati e indennità per ferie e permessi non goduti, non riscossi dal defunto.

IL REGIME DELLA COMUNIONE LEGALE E LA COMUNIONE “DE RESIDUO

Costituiscono oggetto della comunione legale, ai sensi dell’art. 177 codice civile:

a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;

b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;

c) i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;

d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.

Se da un lato gli acquisti effettuati da uno dei coniugi durante il matrimonio spettano, di regola, anche all’altro coniuge, al cessare della comunione (cosa che si verifica con la morte di uno dei coniugi) diventano comuni anche le sostanze che, fino al quel momento, erano di titolarità di uno dei coniugi.

Si tratta della “comunione de residuo”, secondo la quale con la cessazione del regime di comunione legale divengono comuni, se non sono stati consumati, alcuni beni tra cui vi rientrano:

- i proventi derivanti ad un coniuge dalla propria attività lavorativa,

- i frutti derivanti dai beni di titolarità individuale di uno dei coniugi.

Tali beni si considerano, pertanto, oggetto della comunione solo se non consumati al momento dello scioglimento di questa a causa del decesso.

LA RISPOSTA AD INTERPELLO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

Relativamente al conto corrente intestato al solo de cuius in regime di comunione legale (ma anche relativamente al libretto produttivo di interessi), l’Agenzia delle entrate afferma che non può ritenersi facente parte della comunione legale (e, quindi, cadere in successione) la sola metà della somma depositata in conto corrente (cioè la quota corrispondente al 50% del saldo del conto corrente esistente alla data della morte del coniuge intestatario), ma l’intero importo del conto corrente.

L’Agenzia perviene a tale conclusione tenendo conto dei seguenti elementi:

  • l’articolo 11 del decreto legislativo n. 346/1990, che al comma 2 contiene una presunzione di uguaglianza delle quote da attribuire a ciascuno dei diversi cointestatari di un deposito bancario o conto corrente. Da ciò consegue che se il conto corrente è intestato ad un solo soggetto (monointestato), il saldo partecipa nell’attivo ereditario per l’intero ammontare.
  • La disciplina della “comunione de residuo” (come sopra indicato), che include i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione (art. 177 codice civile).

A tal riguardo, la partecipazione alla comunione “de residuo” della quota del coniuge superstite iure proprio si fonda sul presupposto che le somme di cui trattasi siano riferibili specificamente ed esclusivamente a frutti di beni personali o a proventi dell’attività separata di uno dei coniugi, che si trovino ad essere non consumati al momento del decesso del coniuge.

Sul punto, l’Agenzia delle entrate, riprendendo quanto già affermato con circolare n. 53 del 6 dicembre 1989, afferma che fino a “dimostrazione contraria (la quale, peraltro, ben difficilmente potrebbe presentare i requisiti di certezza idonei) non può superarsi l’apparenza della situazione giuridica creata con l’intestazione del deposito ad uno solo dei coniugi”.

Pertanto, in assenza di dimostrazione della diversa riferibilità delle somme depositate nel conto corrente (cioè, se non si dimostra con idonei requisiti di certezza che il conto è stato alimentato da denaro o valori rientranti nella comunione), non può superarsi la presunzione di appartenenza di tali somme al solo intestatario e non opera la comunione “de residuo”.

Per quanto riguarda gli stipendi ed altre somme, maturati dal de cuius ma non ancora liquidati al momento del decesso, gli stessi ricadono in successione (in quanto somme di spettanza del defunto, ma non ancora percepite), ma possono confluire nella comunione “de residuo” trattandosi di beni “non consumati”.

Norme:

art. 11 decreto legislativo n. 347/1990

Prassi:

Risposta ad interpello n. 398 del 1° agosto 2022

Download PDF

Nessun commento ancora


Lascia un commento

E' necessario autenticarsi per pubblicare un commento