Un vero professionista non delega mai

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Provocatoriamente, quando mi trovo a parlare ad un professionista dell’importanza della delega, proietto un’immagine del compianto Sergio Marchionne e gli chiedo qual è la principale differenza tra un manager e un professionista. Quasi sempre, scena muta. Allora prendo la parola e spiego.

Se arriva un nuovo lavoro sulla scrivania di un professionista questi penserà a come farà a farlo, mentre se arriva sulla scrivania di un manager questi penserà subito a chi farlo fare.

Un vero professionista fa tutto da solo. Non delega perché non si fida, e poi fa prima a fare da solo.

Un vero professionista esercita lo scetticismo professionale, il famoso requisito richiesto ai revisori legali, anche quando non serve e quindi non si fida dei suoi collaboratori, controlla a dismisura, fino al micro-management.

E d’altra parte è difficile tacere quando sai la risposta, è difficile tenere la lingua a freno quando sai di essere la persona più smart del tavolo e non hai tempo da perdere.  Però così facendo i collaboratori non crescono, anzi finiscono per adagiarsi, per appassire all’ombra del grande albero che ruba tutto il sole e con le radici anche gran parte del sostentamento.

I professionisti sono generalmente così poco disponibili alla delega che durante gli interventi di consulenza andiamo spesso a disegnare il “non organigramma”. Così come nel racconto di Alice nel Paese delle Meraviglie si festeggiava tutti i giorni tranne quello di nascita il famoso “non compleanno”, spesso per ottenere l’astensione del delegante dobbiamo creare un elenco dettagliato di attività e farlo sottoscrivere dal professionista per fargli dichiarare solennemente di quali compiti non si occuperà più dopo averli delegati.

Sono altresì noti gli interventi a gamba tesa del professionista delegante, fatti in assoluta buona fede, nei confronti della persona poco prima delegata ad una qualche incombenza. Interventi fatti a fin di bene, ma che delegittimano in modo sostanziale la persona delegata, la quale alla fine della fiera finisce sempre per chiedere conferma al titolare di qualunque cosa, perché teme di essere poi smentita. E quindi la grande generosità del professionista nell’occuparsi sempre di tutto gli si ritorce contro, perché è lui a creare dipendenza con i suoi comportamenti ambivalenti, di doppio legame. Comportamenti che assegnano spesso responsabilità al collaboratore senza lasciargli di solito alcuna autorità sostanziale, cioè capacità di allocare le risorse. In questo modo, se va tutto bene è tutto merito del professionista e il delegato ha fatto solo il suo sporco dovere, mentre se qualcosa va storto è colpa del delegato.

Molte volte, anche volendolo, un professionista non è in grado di spiegare il metodo che lo porta ad essere così bravo. lo sa fare, ma non sapendo perché lo fa, non è in grado di trasmetterlo agli altri. Non lo ha mai introiettato.

Spesso inoltre, il professionista pensa che non sia giusto spiegare agli altri ma che ci devono arrivare da soli. Forse è vero talvolta i collaboratori sono troppo ben abituati a trovare la pappa pronta, ma il meccanismo di sperimentazione, errore e correzione è un processo di apprendimento che per lo studio risulta molto lento e oggi rischia di porlo fuori mercato.

Tante volte, il professionista non ha nemmeno pazienza di aspettare che il collaboratore ci arrivi da solo accompagnandolo nel ragionamento. Siccome il professionista per definizione non ha tempo,  preferisce far da solo. Ed in effetti se guardiamo ai primi esperimenti di delega, il professionista ha ragione. Cionondimeno, ho detto più volte che la delega è un investimento, che va svolto secondo una tecnica di "dissolvenza incrociata". La prima volta ti spiego come si fa, e se ti metti accanto a me ti faccio vedere come lo faccio. La seconda volta lo facciamo insieme, la terza controllo quello che hai fatto tu, dalla quarta volta vai da solo.

Bisognerebbe inoltre sempre delegare non già e non solo le cose che non abbiamo più voglia di fare ma invece piuttosto compiti sempre un pelo più sfidanti di quelli che la persona è abituata a svolgere, ma non troppo perché altrimenti rischiamo di bruciarla.

Il significato etimologico di delegare vuol dire togliere lacci e lacciuoli.

Per delegare di più, i grandi studi internazionali utilizzano un misto di formazione, di procedure molto dettagliate “a prova di sciocco” e di supervisione, cioè di effettiva revisione dei lavori svolti dagli junior da parte di soggetti dotati di maggiore esperienza. In questo modo in un grande studio internazionale, l’intervento di un partner su una commessa non supera di regola il 10-15% del totale del tempo impegnato, mentre il 70% è effettuato da persone con meno di 5 anni di esperienza media. Esattamente il contrario di quello che avviene di solito nei nostri studi.

La mancanza di delega si riverbera quindi su fatturati e utili che risultano molto più modesti rispetto a quelli degli studi strutturati, senza che questo porti a significative differenze nella qualità tecnica delle prestazioni erogate.

Tuttavia, la delega più difficile all’interno di uno studio non è quella operativa bensì quella decisionale, quella relativa al problem solving. Anche qui c’è chi ci ha già pensato. Non è un caso che i maggiori studi di fama mondiale si distinguano proprio per aver elaborato un criterio di risoluzione dei problemi identico per tutti. Un partner di una qualunque sede di una big 4 a fronte degli stessi input sarà tendenzialmente portato a dare una identica risposta perché è stato addestrato ad utilizzare la stessa tecnica di gestione dei rischi e di risoluzione dei problemi dei suoi colleghi. Metodi spesso molto rinomati e blasonati, come il famoso metodo “Mc Kinsey”, elaborato dai guru della consulenza e protetto da patti di riservatezza severissimi.

Quindi delegare serve tantissimo perché crea marginalità, consente una maggiore continuità di lavoro, riduce la dipendenza dello studio da una singola persona, diffonde e aumenta le competenze, fa maturare prima i collaboratori rispetto alla concorrenza. E soprattutto, rasserena tutti all’interno dello studio e ridà ossigeno al professionista oberato.

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