WEB TAX: un tributo in cerca di presupposto d’imposta

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Tra le tante misure di carattere fiscale contenute nella legge di bilancio per il 2018, la nuova imposta sulle transazioni digitali rappresenta sicuramente la più innovativa, direi quasi sperimentale in considerazione degli ambiziosi obiettivi di politica fiscale che il legislatore tributario ha inteso perseguire tramite essa.

Cerchiamo di fare un po’ di luce su questo nuovo tributo, illustrandone i caratteri fondamentali.

Come noto, l’articolo 1, comma 1011, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, ha istituito un’imposta sulle transazioni digitali, chiarendo che con tale locuzione si intendono le prestazioni di servizi, effettuate tramite mezzi elettronici e rese nei confronti:

  • dei soggetti residenti nel territorio dello Stato di cui all’articolo 23 del DPR 29 settembre 1973, n. 600 (imprese individuali, professionisti, società di capitali e di persone, enti commerciali e non commerciali etc.);
  • delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.

Appare quindi chiaro che il concetto-chiave del nuovo tributo è quello di servizio prestato mediante mezzi elettronici. Proprio per tale motivo, la norma ne fornisce una puntuale definizione: al comma 1012 si può infatti leggere che “si considerano prestati tramite mezzi elettronici quelli forniti attraverso internet o una rete elettronica e la cui natura rende la prestazione essenzialmente automatizzata, corredata da un intervento umano minimo e impossibile da garantire in assenza della tecnologia dell’informazione”.

I soggetti passivi della web tax

I soggetti passivi sono individuati nel successivo comma 1013, il quale ha stabilito l’applicazione del prelievo nei confronti dei prestatori di servizi elettronici, ovunque residenti, che nel corso di un anno solare abbiano posto in essere un numero di transazioni superiore alle 3.000 unità.

In tal modo, si è cercato di selezionare solo le imprese digitali di maggiore dimensione, in quanto l’intento del legislatore è stato quello di “colpire” i colossi del web e non certo le piccole e medie aziende del settore digitale; sulla idoneità di una soglia meramente numerica, come quella adottata, tuttavia sorgono non pochi dubbi in ragione della irrilevanza della consistenza finanziaria della transazione digitale: a questi fini, infatti, un servizio digitale di pochi euro è considerato equivalente ad una transazione di ingente controvalore monetario.

La base imponibile e il tax rate

Quanto alle regole di determinazione della base imponibile, la legge di bilancio per il 2018 ha chiarito che tale elemento strutturale del tributo è rappresentato dal valore della transazione, ossia dal corrispettivo dovuto per la prestazione digitale, al netto dell’imposta sul valore aggiunto (eventualmente applicabile). Come facilmente rilevabile, quindi, la base imponibile è la medesima dell’IVA (art. 13 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633) ma, al contrario di tale ultimo tributo, l’imposta va portata in deduzione dal corrispettivo e non applicata in rivalsa sul quantum dovuto dal committente.

Su tale imponibile va poi applicata l’aliquota d’imposta, pari al 3%: un prelievo, quindi, di entità contenuta, in modo da non configurare una duplicazione delle imposte dovute sul reddito, derivante dall’attività imprenditoriale svolta dall’impresa digitale.

Il meccanismo di riscossione dell’imposta

Ciò posto in termini strutturali, il legislatore, in considerazione della natura dematerializzata dalla prestazione tassata e della localizzazione extra-territoriale dei prestatori della stessa, ha previsto un meccanismo di applicazione del tributo alla fonte, incentrato su un soggetto diverso dal contribuente, qualificabile come responsabile d’imposta, chiamato a prelevare il tributo e versare lo stesso all’Amministrazione finanziaria.

Al riguardo, la norma fondamentale è contenuta nel comma 1014, il quale ha stabilito che il committente deve prelevare, all’atto del pagamento del corrispettivo, l’imposta dovuta dal prestatore del servizio digitale, salvo il caso in cui nella fattura, o in altro documento equivalente, il medesimo soggetto dichiari di non superare il limite di transazioni digitali di cui abbiamo appena parlato (3.000 unità per anno). Dunque, è il cliente del servizio che deve versare la predetta imposta del 3%, trattenendola dal corrispettivo dovuto come risulterà dalla relativa fattura.

Come precisato, il committente deve poi versare l’imposta, così riscossa, al fisco entro il giorno sedici del mese successivo a quello di pagamento del corrispettivo.

L’attuazione tramite decreto ministeriale e la decorrenza

In considerazione della complessità della materia e in ragione dei stretti tempi parlamentari di approvazione della legge di bilancio, il legislatore ha demandato ad un decreto ministeriale attuativo l’individuazione dei servizi resi in forma elettronica da assoggettare a tassazione: invero, il comma 1012 prevede che le prestazioni di servizi siano individuate con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, da emanare entro il 30 aprile 2018.

Occorrerà quindi aspettare l’emanazione di tale provvedimento per capire con esattezza quale sarà il perimetro impositivo del tributo, poiché, sulla base della semplice definizione che abbiamo precedentemente riportato, l’unico punto fermo è che il commercio elettronico indiretto, vale a dire quello in cui la transazione si perfeziona on line, ma l’esecuzione della stessa viene effettuata fisicamente attraverso la consegna del bene o la fruizione del servizio, è esclusa dal campo di applicazione dell’imposta in parola.

Così, ad esempio, l’acquisto effettuato tramite Amazon di beni rappresenta una fattispecie non tassabile; mentre la stipula di un contratto di web hosting con un provider è senza dubbio riconducile al paradigma impositivo.

In merito alla decorrenza della web tax, il legislatore fiscale ha previsto un’applicazione differita: sebbene la legge istitutiva sia entrata in vigore lo scorso 1° gennaio, infatti, il comma 1017 ha previsto, a chiare lettere, che le disposizioni impositive trovano applicazione a decorrere dal primo giorno dell’anno solare successivo a quello della pubblicazione del D.M. attuativo.

Qualora il Dicastero dell’Economia dovesse rispettare il termine del 30 aprile, quindi, l’imposta troverà applicazione alle operazioni poste in essere a decorrere dal 1° gennaio 2019.

Normativa

Art. 1, commi da 1011 a 1019, della legge 27 dicembre 2017, n. 205.

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