CRIPTOVALUTE: UNA RIVOLUZIONE DI INCERTA QUALIFICAZIONE FISCALE

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Bitcoin, Ripple, Ethereum, sono oramai nomi familiari a chi, professionalmente o come investitore retail, negozia strumenti finanziari nei mercati dei valori mobiliari.

Ma cosa si nasconde dietro questa nuova asset class?

Nel presente approfondimento cercheremo di fare chiarezza su tale fenomeno sotto il profilo informatico e finanziario, per poi dedicare un focus ai problemi, di non facile soluzione, relativi al trattamento fiscale dei redditi di natura finanziaria, derivanti dalla negoziazione di criptovalute.

Cosa è una criptovaluta

Con il termine criptovaluta (o criptomoneta) si indica una valuta digitale e decentralizzata, il cui sviluppo si basa sui principi informatici della crittografia; tale moneta, infatti, utilizza tecnologie di tipo peer-to-peer (p2p) su reti i cui nodi sono computer di utenti localizzati su scala mondiale, nei quali sono istallati appositi programmi che hanno la funzione di portamonete (c.d. wallet).

Sotto il profilo giuridico, non esiste alcuna autorità pubblica, alla stregua di una banca centrale, che garantisca valore legale a tali valute: sono gli stessi operatori economici, i quali accettano tali monete come mezzo di pagamento, a garantirne la circolazione. In altri termini, il mercato finanziario, consentendo la pronta convertibilità delle stesse con valute “tradizionali”, ha di fatto sostituito l’istituzione monetaria ufficiale.

Come comprare e vendere criptovalute

Tanto premesso, per acquistare le monete virtuali da inserire nei wallet sussistono tre metodi:

  1. tramite intermediario, ossia rivolgendosi ad un exchange, al quale ovviamente va corrisposta una commissione;
  2. senza intermediario, attraverso una negoziazione privata, ovviamente sempre tramite internet;
  3. per mezzo di speciali ATM.

Con particolare riferimento al funzionamento della predetta moneta elettronica, occorre precisare che i trasferimenti sono resi possibili da un architrave tecnologica rappresentata dal c.d. blockchain: con esso si designa un registro pubblico nel quale sono inserite, in ordine cronologico, tutte le transazioni aventi ad oggetto la criptovaluta in parola. Successivamente alla conclusione di un contratto, infatti, le informazioni ad esso relative devono essere validate da un soggetto terzo (c.d. bitcoin miner) il quale le elabora e le inserisce nel registro per “blocchi”.

In tal modo, il sistema consente di evitare che un possessore venda a più potenziali acquirenti i bitcoin di cui è titolare (c.d. double spending), fornendo a tutti gli utilizzatori una rete di protezione contro le frodi; come contropartita per questa attività, i “minatori” ricevono: dalle parti, una commissione; dal sistema, nuova moneta elettronica, entro i limiti massimi fissati dal protocollo di ciascuna moneta elettronica.

Va infatti sottolineato come la maggior parte delle criptomonete sono progettate per introdurre gradualmente nuove unità di valuta, ponendo un tetto massimo alla quantità di moneta che sarà in circolazione: così ad esempio, con riferimento alla valuta digitale per eccellenza, ossia il bitcoin, è previsto un numero massimo di unità pari a 21 milioni; ciò viene fatto per imitare la scarsità dei metalli preziosi ed evitare fenomeni inflazionistici.

Un difficile inquadramento fiscale del fenomeno

Ad oggi, non esiste alcuna disciplina fiscale in materia di criptovalute: il legislatore italiano, infatti, non ha ritenuto di dover emanare regole in materia di tassazione dei redditi di natura finanziaria, prodotti per mezzo della conversione di tale valute con monete aventi corso legale (euro, dollaro statunitense, etc.).

Ciò nonostante i possessori di criptomonete possono ben conseguire proventi derivanti dalle operazioni di cessione a pronti. Così, ad esempio, supponendo che il Sig. Mario Rossi abbia investito un capitale pari a euro 10.000,00 acquistando 1,1 unità di bitcoin al tasso di cambio EURO/BTC 0,00011 e, successivamente, abbia venduto la medesima quantità di moneta elettronica al tasso di cambio BCT/EURO 9.980,00: tale operazione ha generato una provento pari ad euro 978,00 (per comodità di esposizione, abbiamo assunto commissioni nulle da corrispondere ad eventuali intermediari).

La tassazione degli intermediari finanziari

Ciò posto, nella prassi amministrativa sussiste un importante pronunciamento dell’Agenzia delle entrate, che, attualmente, è l’unico punto-fermo in questa materia.

Nella Risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016, l’Amministrazione finanziaria ha, per la prima volta, preso una posizione in merito ai seguenti quesisti, posti da una società che intendeva svolgere servizi relativi alla criptomoneta bitcoin per conto dei propri clienti, ossia stabilire il trattamento tributario:

  • applicabile alle operazioni di compravendita di moneta virtuale, effettuate dalla società per conto dei clienti, sia ai fini IVA che ai fini delle imposte dirette (IRES e IRAP); e se,
  • in relazione a tale attività, l’intermediario sia soggetto agli adempimenti fiscali propri dei sostituti d’imposta.

Posti tali quesiti, l’Amministrazione ha potuto agevolmente inquadrare il trattamento fiscale IVA di tali operazioni di compravendita, “appellandosi” alla Corte di giustizia dell’Unione europea: tale giudice ha infatti stabilito, nella causa C-264/14, che le operazioni scambio di moneta tradizionale con valuta virtuale, a fronte del pagamento di una somma corrispondente allo spread tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, rappresentano una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso; con ciò, concludendo nel senso che tale operazione debba ricadere nel campo di applicazione IVA seppure nell’esenzione, prevista dall’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE, per le “operazioni relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio”.

Per l’intermediario finanziario, quindi, operazione è esente ai fini IVA.

Con riferimento all’altro settore tributario, cioè quello delle imposte sui redditi e dell’IRAP, l’Agenzia ha chiarito che le commissioni percepite dalla società debbano essere assoggettate ad imposizione, al netto dei costi inerenti tale attività, in quanto ricavi propri dell’attività di intermediazione: tali proventi devono quindi concorrere alla formazione della base imponile dell’IRES e di quella dell’imposta regionale sulle attività produttive.

La tassazione dei clienti

Inoltre, l’Amministrazione ha incidentalmente voluto esprimersi su una questione tutt’altro che secondaria, rappresentata dai proventi generati dai clienti della società di intermediazione di moneta elettronica.

Al riguardo, la soluzione adottata dall’Agenzia delle Entrate è quella del riconoscimento di una totale esenzione fiscale per le operazioni a pronti di acquisto o vendita di criptovalute, effettuate al di fuori dell’attività d’impresa, in quanto mancherebbe “la finalità speculativa”; conseguentemente, l’intermediario non è tenuto ad alcun adempimento come sostituto d’imposta.

Tale conclusione tuttavia non convince nella misura in cui, ai fini della tassabilità plusvalenze da cessione a pronti di valute, il sistema fiscale non richiede la sussistenza della richiamata finalità, ma semplicemente la realizzazione di un differenziale positivo derivante dalla negoziazione valutaria; il vero nodo interpretativo, piuttosto, pare essere quello di una possibile assimilazione delle criptovalute alle valute estere e, in caso di risposta affermativa, l’applicabilità delle disposizioni in materia di tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di valute rivenienti da depositi e conti correnti di cui all’articolo 67, commi 1, lett. c-ter), e 1-ter, del TUIR.

La soluzione dell’Agenzia appare quindi avere una natura provvisoria, in attesa che il fenomeno delle criptovalute si consolidi, sia sotto il profilo economico-finanziario che tecnologico, e il legislatore rompa il silenzio, adottando in un senso (esenzione fiscale) o nell’altro (tassazione con plusvalenza valutaria) un disciplina tributaria ad hoc.

 Prassi amministrativa

Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016

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