Per l’omesso versamento IVA, il debito non è quello delle scritture contabili

Download PDF

Se avete presentato la dichiarazione annuale IVA e, visto il difficilissimo periodo economico-finanziario collegato con le misure di lock-down, non potrete onorare il correlato obbligo di versamento, dovete tenere bene a mente le regole sanzionatorie che andremo ad illustrare. In talune ipotesi, infatti, l’omesso versamento dei tributi, se superiore ad una specifica soglia di rilevanza, traghetta l’illecito dal campo amministrativo a quello del diritto penale, con conseguenze di non poco conto per il legale rappresentante dell’impresa, cui l’inadempimento è penalmente imputabile.

Il delitto di omesso versamento dell’IVA nel sistema penaltributario

Come noto, a decorrere dal 4 luglio 2006, l’articolo 10-ter, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque (o meglio il soggetto passivo IVA) che omette di versare, per un importo superiore ad euro 250.000 per ciascun periodo d'imposta, entro il termine per il pagamento dell’acconto dovuto per il periodo d’imposta successivo, l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale.

Pertanto, gli elementi strutturali del reato sono rappresentati:

  • la presentazione della dichiarazione annuale che evidenzi (rigo VX1) un importo da versare superiore ad euro 250.000;
  • il mancato pagamento del debito d’imposta alla scadenza del termine ordinario del 16 marzo;
  • il perdurare dell’omesso versamento fino al 27 dicembre, ossia alla scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.

Dal punto di vista soggettivo, poi, è sufficiente il dolo generico cioè la coscienza e volontà di non versare il tributo, come autoliquidato nella dichiarazione, fino al termine per il pagamento dell’acconto; ciò sta a significare che non è necessario un fine specifico di evasione fiscale, peraltro difficilmente ipotizzabile per un reato incentrato sull’autoliquidazione del debito d’imposta e successiva dichiarazione dallo stesso all’Amministrazione finanziaria.

La Cassazione ribadisce l’irrilevanza delle scritture contabili

Chiariti tali aspetti di carattere generale, uno dei dubbi interpretativi che la descritta fattispecie ha posto agli interpreti è quello attinente all’ipotesi in cui la verifica delle scritture contabili IVA del soggetto passivo evidenzi un’imposta diversa, in senso favorevole, rispetto a quella indicata in dichiarazione. In questi casi, il soggetto “incriminato” può far valere l’esatta determinazione del debito d’imposta per ottenere una pronuncia assolutoria?

In una recente pronuncia la Cassazione è tornata ad affrontare la descritta questione, ribadendo un principio di diritto già affermato in precedenza (Cassazione, Sez. III penale, 17 novembre 2017, sent. n. 14.595), da considerare oramai consolidato a livello interpretativo.

Invero, la Suprema Corte, nella sentenza n. 12.378 del 14 gennaio 2020, ha affermato che, ai fini della integrazione del reato di omesso versamento dell'IVA di cui all’articolo 10-ter decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, l'entità della somma da versare, costituente il debito IVA, è quella risultante dalla dichiarazione del contribuente e non quella effettiva, desumibile dalle annotazioni contabili.

In dettaglio, i Giudici hanno precisato che l’obbligazione tributaria non deve risultare dai registri delle fatture, emesse o ricevute, o dalla contabilità di impresa o, ancora, dal bilancio: il debito erariale, rilevante a questi fini, è solo quello oggetto della dichiarazione annuale. Tale adempimento, infatti, costituisce un presupposto necessario, ai fini della consumazione del reato che, come precisato, si perfeziona allo spirare del termine per il pagamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.

In altri termini, il tema della non corrispondenza del debito dichiarato (per ipotesi superiore alla soglia di punibilità) con quello che risulta dalla contabilità dell'impresa (per ipotesi inferiore alla predetta soglia) non ha alcuna rilevanza posto che, secondo tale principio, la fattispecie, per una chiara scelta legislativa, non è strutturata intorno al debito effettivo, ma solo a quello dichiarato.

La Cassazione ha quindi sposato una tesi di natura prettamente formalistica, ancorata al tenore letterale della legge penale; in forza di tale rigida impostazione, è quindi quanto mai opportuno, nel caso in cui la dichiarazione annuale ancora non sia stata ancora trasmessa all’Agenzia delle Entrate, approfittare del tempo aggiuntivo, derivante dallo slittamento del termine di presentazione della dichiarazione IVA al 30 giugno 2020 (in funzione del disposto di cui all’articolo 62 decreto “cura Italia”) per evitare errori che, come visto, posso costare caro all’imprenditore.

Normativa

Art. 10-ter, comma 1, decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.

Artt. da 21 a 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.

Giurisprudenza

Cassazione, Sez. III penale, 14 gennaio 2020, sent. n. 12378.

Cassazione, Sez. III penale, 17 novembre 2017, sent. n. 14595.

Download PDF

Nessun commento ancora


Lascia un commento

E' necessario autenticarsi per pubblicare un commento