PIR 2.0: il decreto rilancio scommette sul private equity

Download PDF

Con il decreto Rilancio il Governo è intervenuto nel settore della fiscalità finanziaria attraverso una modifica del regime fiscale dei PIR, con l’intento di garantire finalmente il raggiungimento dell’obiettivo perseguito da tale agevolazione: in verità, la logica, ad essa sottesa, era stata quella di far affluire capitali alle imprese italiane e in particolare modo alle PMI, tradizionalmente legate al canale bancario come fonte primaria (e sovente unica) di finanziamento.

Tuttavia, la disciplina previgente, nel prevedere un unico vincolo di investimento, pari al 21% del valore complessivo del piano, in imprese non quotate nell’indice italiano delle società a maggiore capitalizzazione, non permetteva di incanalare i capitali verso le PMI giacché, escludendo solo le grandi aziende quotate, lasciava ampia facoltà agli investitori di optare per quelle di media capitalizzazione, certamente assai distanti dalle prime.

Un’arma (fiscalmente parlando) spuntata; da qui la necessità per il legislatore di “rimettere le mani” alla disciplina in parola.

Il decreto-legge rilancio “sdoppia” l’agevolazione

Come noto, l’articolo 136, commi 1 e 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, ha introdotto una nuova categoria di PIR (c.d. “PIR 2.0”), collegata con l’investimento a favore delle piccole e medie imprese.

In particolare, il comma 1, ha stabilito che i piani di risparmio a lungo termine debbano, per almeno i 2/3 dell’anno solare di durata del piano, investire una quota-parte, pari al 70% del valore complessivo:

  • in imprese residenti nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 73 del TUIR;
  • in imprese residenti in Stati membri dell’Unione Europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo, ma con stabile organizzazione in Italia;

diverse da quelle inserite negli indici FTSE MIB o FTSE Mid Cap di Borsa Italiana o, per le imprese appartenenti alla seconda categoria, in indici equivalenti di altri mercati regolamentati esteri, come ad esempio, per la Germania, il DAX30 equivalente del “nostro” FTSE MIB.

Per quanto concerne le assett class, il legislatore ha previsto che l’investimento possa riguardare indifferentemente:

  • strumenti finanziari emessi o stipulati dalle imprese precedentemente individuate;
  • prestiti erogati alle predette imprese;
  • crediti delle aziende di cui ai punti precedenti.

Per tale peculiare tipologia di PIR, il decreto ha poi previsto una modifica:

  • sia del limite massimo di somme conferibili nel piano;
  • sia del vincolo di concentrazione nella composizione del medesimo.

Con riferimento al primo aspetto, infatti, il comma 2, lett. a), dell’articolo 136 ha previsto che gli investitori possano destinare somme o valori per un importo non superiore a 150.000 euro, all'anno, e a 1.500.000 euro complessivi; in sostanza, quindi, tale “contenitore” è pensato per un piano di accumulo decennale di durata, nel quale ovviamente non vanno computati i redditi medio tempore prodotti dagli strumenti finanziari già conferiti in esso (dividendi, cedole etc.)

Per quanto concerne la seconda innovazione, il legislatore, al comma 1, ha rimodulato il vincolo di concentrazione che passa dal 10 al 20%: ciò sta a significare che, nel caso in cui nel piano siano presenti strumenti finanziari di una stessa società, per un valore pari ad 1/5 del totale, il titolare non potrà destinare altri titoli di tale impresa, pena la decadenza dal regime agevolativo.

La logica di tali modifiche risiede nella diversa natura dell’investitore-tipo del piano: se i PIR “tradizionali” erano stati pensati per intercettare il risparmio delle famiglie, quelli nuovi sono senz’altro stati ideati per un investitore più consapevole ed accorto, ancorché non professionale.

Tutto ciò, in ragione dell’elevato grado di rischio che un investimento nel private equity comporta, ma che risulta essere non eludibile per finanziare le PMI; da qui anche la scelta di affiancare, e non sostituire, tale nuova agevolazione a quella già in essere.

L’incentivo fiscale

Quanto ai profili strettamente fiscali, le regole rimangono immutate: pertanto, il piano assicura al titolare l’esenzione da tassazione dei redditi di capitale di cui all’articolo 44 del TUIR (leggasi dividendi) e dei redditi diversi di natura finanziaria, previsti dall’articolo 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), del medesimo testo unico (leggasi capital gain), rimanendo esclusi dall’esenzione i redditi derivanti dal possesso di partecipazioni qualificate e, più in generale, quelli che concorrono a formare il reddito complessivo dell’investitore; inoltre, trova applicazione la non assoggettabilità a imposta di successione del trasferimento a causa di morte degli strumenti detenuti nel piano.

Le innovazioni a “fattor comune” e gli adattamenti per il risparmio gestito

Oltre ad introdurre tale nuova tipologia di piano di risparmio, il legislatore ha dettato delle nuove disposizioni applicabili indistintamente a tutte le categorie di PIR.

In primis, infatti, è stato superato, come intuibile, il principio di unicità del PIR nel senso che una stessa persona fisica ora può essere titolare di due piani di risparmio:

  • il primo, costituito secondo il modello già vigente di cui all’articolo 13-bis, comma 2, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124;
  • il secondo, con le nuove regole di composizione che abbiamo appena richiamato.

Infine, il Governo ha voluto chiarire taluni aspetti relativi alla forma indiretta di attivazione del piano, che di fatto è diventata l’unica praticabile, ossia la sottoscrizione di quote o azioni di fondi comuni di investimento PIR-conformi i quali, in poche parole, replicano, a livello di composizione del patrimonio collettivo, le regole di funzionamento proprie di tale agevolazione.

Così, è stato puntualizzato, in chiave derogatoria, che:

  • i vincoli debbano essere raggiunti entro la data specificata nel regolamento dell’organismo di investimento collettivo del risparmio;
  • i medesimi cessano di essere applicabili, quando l’organismo inizia a rimborsare le quote o le azioni agli investitori, ossia nella fase terminale del suo ciclo finanziario;
  • gli stessi sono sospesi, quando l'organismo di investimento raccoglie capitale aggiuntivo o riduce il suo capitale esistente, purché tale sospensione non sia superiore a 12 mesi.

Normativa

Art. 136, commi 1 e 2, decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34.

Art. 13-bis, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124.

Art. 1, commi da 100 a 114, legge 11 dicembre 2016, n. 232.

Prassi amministrativa

Agenzia delle Entrate, Circolare 26 febbraio 2018, n. 3.

Ministero dell’Economia e delle Finanze, Linee Guida 4 ottobre 2017.

Download PDF

Nessun commento ancora


Lascia un commento

E' necessario autenticarsi per pubblicare un commento