STP – Larga la foglia, stretta la via, dite la vostra che io ho detto la mia

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Certamente le società tra professionisti (STP) non hanno ancora sfondato. Lo scarso successo è in parte da imputare alla non soddisfacente disciplina fiscale, essendo la normativa sulle STP carente di una norma ad hoc, talché si applica meramente e semplicemente la disciplina fiscale della società di arrivo (società di capitali o società di persone). Che poi la stragrande maggioranza delle STP siano S.r.l. non meraviglia posto che tale tipologia di società fa sì che i soci non rispondano personalmente dell’obbligazioni contratte dalla società.

L’evoluzione da studio singolo a STP

La cessione di uno studio professionale ad altro professionista è stata a lungo operazione non consentita dalla giurisprudenza, posto che non essendo lo studio una azienda, in quanto assente la figura essenziale dell’imprenditore, non era possibile configurare alcuna cessione. Se non che, di fatto, in barba ai tribunali, gli studi continuavano ad essere ceduti contro pagamento di un prezzo.

Il problema era cosa scrivere nel contratto: cessione della clientela, cessione del marchio o formule simili. Fatto sta che prima la giurisprudenza e poi lo stesso legislatore (fiscale) sono stati costretti a prendere atto della realtà. L’articolo 54 del Tuir (Determinazione del reddito di lavoro autonomo) è stato integrato ad opera del decreto-legge del 04/07/2006 n. 223, articolo 3, in vigore dal 4/7/2006 con l’aggiunta del comma 1-quater. “Concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all'attività artistica o professionale.”.

Lo studio come azienda

Dunque, nel tempo la Cassazione, seppure dovendo distinguere di caso in caso, ha introdotto l’innovativo principio che uno studio, se è organizzato e articolato, (dipendenti, locali, attrezzatura) potrebbe avere una connotazione che pone in secondo piano la figura del titolare o quanto meno si affianca ad esso ed è suscettibile di autonoma valutazione.

Da qui alla configurazione della cessione dello studio in cessione d’azienda con l’ovvia presenza di avviamento, il passo è breve.

Nei casi in cui, invece, la persona del professionista resta l’elemento fondamentale all'interno dell’l'organizzazione dello studio, la Cassazione ritiene che non vi possa essere cessione d’azienda, purtuttavia ammette che in base al principio dell'autonomia negoziale (art. 1322 c.c.) è possibile il trasferimento a titolo oneroso dell'attività comprensiva di arredi, beni strumentali, rapporti contrattuali di fornitura e della clientela. Il tutto, con salto mortale carpiato, si risolve affermando che vi è un rapporto obbligatorio tra cedente ed acquirente laddove il primo si impegna ad agevolare a favore del secondo il “passaggio” della clientela e a non fargli poi concorrenza. Il che è sufficiente per giustificare il pagamento di un prezzo senza che ci sia di mezzo una azienda.

La Trasformazione dello studio in STP

Scusate se l’ho presa alla larga ma era necessario. Ebbene, sulla base di quanto precede, almeno per i grandi studi che costituiscono “azienda” professionale, sembra concepibile che lo stesso venga conferito nella STP, a fronte del quale il professionista previa valutazione anche dell'avviamento e della clientela, riceva quote di partecipazione nella società conferitaria, con applicazione dei criteri (civilistici) declinati per i conferimenti in natura e delle disposizioni (civilistiche) dettate in tema di trasferimento di azienda.

Non si può giungere alla stessa conclusione nel caso si tratti di un piccolo studio che non costituisce azienda.

Mi direte che ho parlato di “conferimento d’azienda” quando invece il titolo di questo paragrafo è “trasformazione”. Ebbene, intanto c’è da premettere che uno studio professionale “singolo” non si può trasformare in società dal momento che la trasformazione implica che alla partenza ci siano un entità formata da più soggetti (e poco sembra importare che le STP nella forma di società di capitali possono essere anche a socio unico), quindi se vogliamo parlare di trasformazione in STP occorre che ci sia di partenza almeno una associazione tra professionisti o una società semplice. Da quando il codice civile è stato modificando prevedendo anche le trasformazioni eterogenee, oramai i notai se volete vi trasformano anche i pani in pesci! Che sia più facile trasformare una società semplice in società lucrativa sembra cosa assodata rispetto a trasformare l’associazione professionale in società lucrativa, per il semplice fatto che non si capisce cosa sia una associazione professionale, sconosciuta al codice civile: c’è chi dice che è una associazione (come gli enti di promozione sociale) c’è chi giura che è la stessa cosa di una società semplice, fatto sta che ognuno dice la sua e la risposta certa non c’è.

Il rebus fiscale

Basta fare chiacchiere! Andiamo al punto.

Cosa succede dal punto di vista fiscale in caso di conferimento di studio professionale (che fino a prova contraria dichiara reddito di lavoro autonomo) in STP sotto la forma giuridica di S.r.l. (che dichiara reddito d’impresa)? E’ un mistero. Il pur pregevole studio della Fondazione DDCC del 15/01/2015 non affronta l’aspetto fiscale e anche la dottrina mi sembra sufficientemente assente.

Il punto è il seguente: vero è che la Cassazione ha ammesso che per studi di grandi dimensioni si possa configurare una cessione d’azienda, talché per la proprietà transitiva si deve ammettere che si possa dunque conferire l’azienda professionale, ma sotto il profilo fiscale non sembrerebbe applicabile l’articolo 176 del Tuir che prevede la neutralità del conferimento d’azienda: infatti, sino al momento in cui lo studio (o anche l’associazione tra professionisti o la società semplice che esercita attività professionale) passa per conferimento alla STP, ha dichiarato reddito di lavoro autonomo e non reddito d’impresa cosa cui è obbligata la conferitaria STP. In altre parole è difficile poter far passare il principio della neutralità dell’articolo 176 del Tuir, mentre sembra più probabile che si debba fare riferimento all’articolo 9 del Tuir, laddove si prevede che i conferimenti sono assimilati a alle cessioni e che il corrispettivo della cessione è dato dal valore di ciò che si conferisce, vale a dire dal valore dell’azienda professionale, comprensiva dell’avviamento. Dunque, se così fosse, la plusvalenza in capo al conferente sarebbe data dalla differenza tra il valore dell’azienda professionale e il costo fiscale dei beni che la compongono (ossia un po’ di miseri cespiti al netto degli ammortamenti).

Non vorrei pensiate che abbia trascurato la Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 8/E/2009 e la Risoluzione n. 117/E/2009 le quali affrontano il diverso caso del conferimento dello studio singolo (che dichiara reddito di lavoro autonomo) in associazione professionale (che dichiara reddito di lavoro autonomo). Il chiarimento è nel senso che se il professionista che conferisce il proprio studio nell’associazione ottiene solo le quote associative senza alcuna remunerazione e se in caso di successivo suo recesso nulla gli spetti, allora il conferimento è fiscalmente neutrale. Ma questo non ha nulla a che vedere (almeno questa è la mia opinione) con il conferimento dello studio o dell’associazione professionale nella STP che è soggetto che dichiara reddito d’impresa.

Larga la foglia, stretta la via, dite la vostra che io ho detto la mia.

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