Carried interest, un caso concreto sotto la lente dell’Agenzia

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Come noto, nel 2017 è stata introdotta, ad opera dell’articolo 60 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, una innovativa disciplina fiscale in materia di carried interest, vale a dire i proventi, percepiti da dipendenti o amministratori, di organismi di investimento collettivo del risparmio, di società o di enti, derivanti da azioni, da quote, o da altri strumenti finanziari partecipativi, aventi diritti patrimoniali rafforzati.

Dopo un sintetico riepilogo delle condizioni generali di accesso a tale regime, illustreremo, per mezzo di un recete documento di prassi pubblicato dall’Agenzia delle Entrate, le implicazioni di tale regime in un caso concreto. Tutto ciò, nella speranza di fornire un utile ausilio per il confezionamento di piani di incentivazione dei manager armonizzati con il regime fiscale in parola.

I requisiti di accesso al regime e i suoi benefici

Come anticipato, affinché possa trovare applicazione tale regime è necessario, sotto il profilo soggettivo, che il reddito sia prodotto da dipendenti o amministratori, di società, di enti o di organismi di investimento collettivo del risparmio (c.d. OICR), o di soggetti che controllano, direttamente o indirettamente, tali entità, residenti in Italia o in Stati esteri che consentono una adeguato scambio di informazioni. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate, nella Circolare n. 25 del 2017, ha avuto modo di precisare che a questi soggetti debbano aggiungersi i manager e i dipendenti di società di consulenza finanziaria (c.d. advisory company), poiché tali società intervengono sulle strategie di investimento effettuate dai destinatari naturali del carried interest.

Vi è poi un requisito di carattere patrimoniale: tali soggetti, infatti, devono detenere strumenti finanziari partecipativi emessi dagli organismi di investimento del risparmio che attribuiscano un diritto a ricevere una parte dell’utile complessivo, generato dall’investimento, in misura più che proporzionale ai conferimenti o all’investimento effettuato.

Ciò posto, il legislatore ha fissato tre condizioni di operatività della disciplina, ossia:

  1. l’impegno di investimento complessivo che deve aver comportato un esborso effettivo pari ad almeno l’1% dell’investimento complessivo nel patrimonio amministrato;
  2. gli extra-proventi delle azioni, delle quote, o degli altri strumenti finanziari partecipativi, maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all’organismo di investimento collettivo del risparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e un rendimento minimo, ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell’investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo (c.d. hurdle rate);
  3. le azioni, le quote, o gli altri strumenti finanziari, sono detenuti dai dipendenti o dagli amministratori per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione (c.d. holding period).

Ebbene, qualora ricorrano congiuntamente i suddetti presupposti, i proventi, derivanti da tali diritti patrimoniali rafforzati, “si considerano in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi”. In tal modo, il legislatore ha introdotto una presunzione assoluta di qualificazione reddituale del provento (da reddito di lavoro dipendente o autonomo a reddito di capitale o diverso di natura finanziaria) il quale, conseguentemente, è assoggettato ad un regime sostitutivo dell’IRPEF, con applicazione di un’aliquota proporzionale pari al 26%, in luogo del concorso alla formazione del reddito complessivo imponibile con tassazione IRPEF ordinaria per scaglioni di reddito.

Un caso concreto al vaglio dell’Agenzia delle Entrate

In un recente documento di prassi, l’Agenzia delle Entrate ha fornito un interessante analisi di compatibilità di un piano di incentivazione con le regole fiscali del carried interest (Risp. n. 622 del 2021).

In particolare, una società, operante nel settore del private equity, aveva predisposto un piano di incentivazione degli amministratori così strutturato:

  • acquisto da parte dei beneficiari di un pacchetto di azioni, prive di diritti amministrativi, ma dotate di diritti patrimoniali rafforzati, per un ammontare pari al 7,5% del capitale sociale e sovrapprezzo, con contestuale obbligo di far redigere apposita perizia del patrimonio effettivo da parte di un professionista;
  • al verificarsi del trigger event, la realizzazione, in capo ai soci ordinari, di un ritorno pari a X volte l'investimento iniziale (c.d. hurdle rate minimo), definito come rapporto tra i proventi netti e l'investimento effettuato da tali soci;
  • diritto all’extra-rendimento temporalmente differito al verificarsi di tale evento, rappresentato, nel caso di specie, dalla vendita del pacchetto di controllo della società o dalla cessione dell’azienda a soggetto terzo.

In relazione ad un piano così strutturato, l’Amministrazione ha stabilito, con riferimento alla prima condizione, che tale requisito possa ritenersi soddisfatto, qualora l’investimento dei manager sia pari o superiore alla soglia legislativa dell’1% del patrimonio netto della società, come risultante dalla perizia di stima che la società istante si era impegnata a richiedere. Per quanto concerne l’hurdle rate, nel caso in esame l’Agenzia ha evidenziato come, avendo il piano subordinato tale provento alla circostanza che i soci ordinari abbiano realizzato, in occasione di uno dei trigger event, un ritorno pari a X volte l'investimento iniziale, definito come rapporto tra proventi netti al numeratore e l'investimento dei soci ordinari al denominatore, possa ritenersi sussistente tale requisito. Infine, in merito al rispetto dell’holding period, anch’esso, a giudizio dell’Amministrazione, si palesa come necessariamente soddisfatto, in quanto la distribuzione dell’extra-rendimento è collegato con il cambio di controllo della società amministrata.

In conclusione, il documento di prassi ha ribadito un importante principio: qualora non siano soddisfatte le tre condizioni-cardine (partecipazione minima/hurdle rate/holding period) la presunzione legale assoluta di qualificazione come reddito di natura finanziaria non opera; tuttavia, è fatta salva la facoltà, per il contribuente, di dimostrare la sussistenza di un allineamento di interessi che faccia ritenere corretto il passaggio di tali proventi dal settore della fiscalità del lavoro (dipendente o autonomo) a quello della fiscalità finanziaria. Come intuitivo, in tale seconda evenienza la strada è tutta in salita e l’esito di un eventuale contenzioso con l’Amministrazione tutt’altro che scontato.

Normativa

Art. 60 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50.

Prassi amministrativa

Agenzia delle Entrate, Risposta n. 622 del 2021.

Agenzia delle Entrate, Circolare n. 25 del 16 ottobre 2017.

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