L'attività di impresa, ma non solo quella, è quotidianamente scandita da una molteplicità di contratti.
Le parti stipulano un contratto per acquistare un certo bene, avere un servizio, per garantirsi l'approvvigionamento di materia prima, o per mille altri motivi. Quello che però accomuna i pensieri di tutti i contraenti è il timore che il meccanismo contrattuale possa ad un certo punto incepparsi, ossia, detto diversamente, che colui con il quale abbiamo assunto un impegno e ci siamo obbligati contrattualmente possa rendersi inadempiente.
È necessario allora prevedere tale eventualità sin dall'inizio e disciplinare un'eventuale exit strategy, ossia come fare a risolvere il contratto in questione in caso di risoluzione per inadempimento.
Per questo motivo, nei contratti, specie se aziendali e riferiti ad attività d'impresa, capita molto frequentemente di imbattersi in clausole complicate ed estremamente dettagliate che vorrebbero prevedere e regolamentare tutte le possibili situazioni patologiche. Alla prova dei fatti, però, proprio tale genere di pattuizioni si rivelano spesso di dubbia interpretazione, deboli o del tutto inefficaci.
Con il risultato di dover poi ricorrere alla giustizia e ai suoi tempi per poter dirimere la controversia.
La risoluzione per inadempimento e la clausola risolutiva espressa
Solo per inquadrare i termini della questione, è opportuno richiamare brevemente alcuni concetti in tema di risoluzione per inadempimento: la risoluzione in questione può essere di natura giudiziale o stragiudiziale.
Tralasciando la prima delle due alternative, quando si parla di risoluzione stragiudiziale si intende quel particolare tipo di risoluzione che ha luogo senza richiedere l'intervento del giudice. In questa categoria rientrano la diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.), il termine essenziale (art. 1457 c.c.) e, appunto, la clausola risolutiva espressa.
Quest'ultima è prevista e disciplinata dall'art. 1456 c.c., che stabilisce anche un particolare meccanismo di funzionamento per tale sistema di risoluzione.
Attraverso la clausola risolutiva espressa le parti possono stabilire che, se una di esse sarà inadempiente, il contratto si risolverà di diritto, senza necessità di rivolgersi al giudice. Tuttavia, in caso di inadempimento, la risoluzione si verifica di diritto (solo) quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva.
L'inserimento di una clausola risolutiva espressa per l'inadempimento del contratto esonera le parti dalla necessità di valutare l'importanza (o meno) dell'inadempimento stesso, essendo questa già stata valutata dai contraenti al momento della firma del contratto.
Come è facile intuire, le applicazioni della clausola in esame sono molteplici.
Così, ad esempio, recentemente, in tema di locazioni commerciali, la Ctr per la Lombardia, con sentenza n. 1 del 4 gennaio 2022, ha stabilito che sono comunque imponibili i canoni maturati e non percepiti se l’interessato, anche prima della risoluzione dichiarata giudizialmente, non dimostri che abbia dato comunicazione all’affittuario della volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa né prodotto il versamento previsto per la comunicazione dell’avvenuta risoluzione che avrebbe dovuta essere effettuata all’ufficio del Registro.
Ancora, il Tribunale di Milano, sezione VI civile, con la sentenza 23 luglio 2019 n. 7371, ha ritenuto valida la clausola risolutiva espressa (anziché la norma relativa all'inadempimento del compratore ex art. 1525 c.c. in materia di vendita con riserva della proprietà) applicata ad un contratto di locazione finanziaria avente a oggetto un complesso immobiliare, che prevedeva il rilascio ed effettiva restituzione dei beni, a causa del mancato pagamento delle rate mensili del canone
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