Criptovalute e monitoraggio fiscale, l’Agenzia non fa sconti

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In ambito tributario, la disciplina delle cripto-valute è ancora oggi un cantiere aperto: nell’assenza (colpevole) del legislatore sono infatti i giudici, tributari e amministrativi, nonché l’Agenzia delle Entrate a “dettare legge”, cercando di fornire agli operatori delle indicazioni in merito al corretto trattamento fiscale da riconoscere a quella che, indubbiamente, sta diventando un importate asset class, in quanto sempre più presente nei portagli o, secondo il gergo proprio di questo settore, nei wallet degli investitori.

L’inquadramento originario offerto dell’Agenzia delle Entrate

Come noto, con la Risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016, l’Amministrazione finanziaria ha, per la prima volta, preso una posizione in merito al trattamento tributario applicabile alle operazioni di compravendita di moneta virtuale, effettuate da società per conto dei clienti, sia ai fini IVA che ai fini delle imposte dirette (IRES e IRAP), e all’eventuale soggezione di tale intermediario, che percepisce una commissione, agli adempimenti fiscali propri dei sostituti d’imposta.

L’intermediario - Inquadramento IVA

L’Agenzia ha inquadrato il trattamento fiscale IVA di tali operazioni di compravendita, “appellandosi” alla Corte di giustizia dell’Unione europea la quale, nella causa C-264/14, ha stabilito che le operazioni di scambio di moneta tradizionale con valuta virtuale, a fronte del pagamento di una somma, corrispondente allo spread tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, rappresentano una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso. Con ciò, concludendo nel senso che tali operazioni debbano ricadere nel campo di applicazione IVA, seppure all’interno dell’esenzione, espressamente prevista dall’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE, per le “operazioni relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio”.

Per l’intermediario finanziario, quindi, l’operazione è esente ai fini IVA.

L’intermediario - Inquadramento imposte sui redditi e IRAP

Con riferimento all’altro comparto tributario, cioè quello delle imposte sui redditi e dell’IRAP, l’Agenzia ha chiarito che le commissioni percepite dalla società intermediarie debbano essere assoggettate a imposizione, al netto dei costi inerenti tale attività, in quanto ricavi propri dell’attività di intermediazione: tali proventi concorrono alla formazione della base imponile dell’IRES e di quella dell’imposta regionale sulle attività produttive.

Il soggetto che investe nelle cripto-valute

L’Amministrazione ha voluto anche esprimersi su una questione tutt’altro che secondaria, rappresentata dalla rilevanza fiscale dei proventi generati dai clienti della società di intermediazione di cripto-valuta.

Sotto tale aspetto, la (prima) soluzione adottata dall’Agenzia delle Entrate ha decretato il riconoscimento di una esenzione fiscale per le operazioni a pronti di acquisto o vendita di cripto-valute, qualora siano effettuate al di fuori dell’attività d’impresa, in quanto mancherebbe “la finalità speculativa”; da ciò deriverebbe, poi, come logica conseguenza, l’assenza di obblighi in capo all’intermediario come sostituto d’imposta.

Le criptovalute non sfuggono a tassazione, né (tanto meno) al monitoraggio fiscale

Successivamente, la medesima Agenzia ha fatto dietrofront.

In particolare, nella Risposta n. 788 del 2021, richiamato l’inquadramento fornito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, l’Amministrazione ha stabilito che, ai fini Irpef, le persone, che detengono cripto-valute al di fuori dell’attività d’impresa, applicano i principi regolatori delle operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali, ossia quelle aventi corso legale.

Da ciò, consegue, secondo il disposto dell’articolo 67, comma 1, lett. c-ter), del TUIR, la rilevanza fiscale delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di cripto-valute, sia:

  • per le cessioni a termine;
  • che per le cessioni a pronti, cioè quelle, secondo la formulazione propria del Tuir, rivenienti da depositi o conti correnti.

Con particolare riferimento alla seconda categoria di operazioni, trova parimenti applicazione la disciplina di cui al comma 1-ter della predetta disposizione, secondo cui le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere, rivenienti da depositi e conti correnti, concorrono a formare il reddito a condizione che, nel periodo d'imposta, la giacenza dei depositi e conti correnti, calcolata secondo il cambio vigente all'inizio del periodo di riferimento, sia superiore, per almeno sette giorni lavorativi continui, a 51.645,69 euro. Il logico corollario di tale assimilazione è che:

  • le cessioni a termine di cripto-valute rilevano in ogni caso dal punto di vista fiscale;
  • le cessioni a pronti non danno origine a redditi imponibili, salvo l’ipotesi in cui la valuta ceduta derivi da prelievi da wallet, con riferimento ai quali la giacenza media superi la predetta soglia, per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta.

Pertanto, qualora ricorrano le predette condizioni, il reddito è soggetto, in sede di presentazione annuale della dichiarazione dei redditi, all’imposta sostitutiva di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, con aliquota proporzionale del 26%, secondo la disciplina propria del c.d. regime della dichiarazione.

L’obbligo di monitoraggio

Nel documento di prassi in commento, tuttavia, l’Agenzia ha fornito importanti chiarimenti anche in merito agli obblighi di monitoraggio fiscale.

In particolare, l’Amministrazione ha stabilito che la detenzione di cripto-valute da parte di persone fisiche residenti, di società semplici residenti e soggetti ad esse equiparati, nonché di enti non commerciali residenti, comporta l’assolvimento, tramite compilazione del Quadro RW, degli obblighi di monitoraggio fiscale.

Con riferimento al periodo d’imposta 2020, l’Agenzia ha ricordato che i detentori di cripto-valute devono indicare, nella colonna 3, del predetto Quadro il codice 14, senza tuttavia compilare la colonna 4, ove ordinariamente si individua il codice del Paese estero, proprio in ragione del mancato collegamento territoriale che caratterizza tali asset. Peraltro, l’Agenzia delle Entrate ha precisato come tale interpretazione estensiva sia stata autorevolmente avallata dal TAR del Lazio, il quale, nella sentenza 27 gennaio 2020, n. 1077, ha ribadito che i soggetti titolari di cripto-valute siano obbligati a indicare tali valute nel quadro RW del Modello Redditi - Persone Fisiche.

Infine, l’Amministrazione ha voluto chiudere il cerchio in merito al trattamento fiscale delle cripto-valute, precisando che esse non sono soggette all'imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero (c.d. IVAFE) dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura bancaria.

Normativa

Articolo 67, comma 1, lett. c-ter), e comma 1-ter), del TUIR.

Articolo 5, comma 2, decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461.

Articolo 4 decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167.

Giurisprudenza

TAR Lazio, 27 gennaio 2020, sent. n. 1077.

Prassi amministrativa

Agenzia delle Entrate, Risp. n. 788 del 2021.

Agenzia delle Entrate, Ris. n. 72/E del 2 settembre 2016.

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