Società estinta – i soci rispondono dei debiti pregressi anche per gli utili presunti

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Approvato il bilancio finale di liquidazione, chiesta e ottenuta la cancellazione dal registro delle imprese, per i soci i rischi derivanti dalla loro qualifica non sono certamente finiti: come vedremo, infatti, la giurisprudenza è tornata a ribadire un orientamento interpretativo che vede, al ricorrere di specifici presupposti, il socio soggetto all’azione di accertamento dell’Agenzia delle Entrate anche nella fase post estinzione dell’impresa.

La disciplina civilistica e fiscale della responsabilità post estinzione

Come noto, l’articolo 2495 del codice civile prevede che i liquidatori, approvato il bilancio finale di liquidazione, hanno l’obbligo di chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.

A seguito di tale iscrizione la società risulta estinta, tuttavia, sul piano della responsabilità patrimoniale dei soci, non si assiste ad una contestuale estinzione dei rapporti debitori che facevano capo all’impresa: il terzo comma della citata disposizione chiarisce, infatti, che i creditori sociali non soddisfatti possono far valere le loro ragioni nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.

Al riguardo, la consolidata giurisprudenza di legittimità (Cassazione, Sezioni Unite, 12 marzo 2013, nn. 6070 e 6071) ha precisato che, qualora all’estinzione della società, sia essa di persone o di capitali, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente parte alla società stessa, si assiste ad un fenomeno di natura successoria. In forza di tale principio, l’obbligazione debitoria della società non si estingue ma si trasferisce ai soci, che ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione o illimitatamente, in ragione del loro regime di responsabilità patrimoniale, di tipo limitato o illimitato.

Sul fronte della disciplina fiscale, poi, l’articolo 36 del DPR 29 settembre 1973, n. 602, al comma 3, dispone che i soci, che hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dalla società, nei limiti del valore dei beni stessi. Il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio, salva la prova contraria.

Tuttavia, la medesima giurisprudenza ha precisato, per le società di capitali a ristretta base sociale, che il perimetro della responsabilità patrimoniale dei soci dell’impresa estinta è sensibilmente più vasto: invero, tali soci rispondono dei debiti societari pro quota, in relazione ai titoli di partecipazione, a prescindere dalla circostanza che abbiano goduto di un qualche riparto sulla base del bilancio finale di liquidazione, salvo che gli stessi forniscano la prova di non aver ottenuto dalla società le somme non dichiarate; da ciò deriva che l’Amministrazione finanziaria ha interesse a procurarsi un titolo esecutivo nei confronti dei soci della società estinta, potendo residuare beni (tipicamente, utili extra-contabili) che, ancorché non ricompresi nel bilancio finale, siano stati occultamente trasferiti ai soci.

Il caso sotto la lente della Cassazione

Questo, quindi, il quadro normativo di riferimento sul quale è si è espressa la Cassazione nella sentenza n. 25108 del 23 agosto 2023. In particolare, i soci di una SSD a r.l. estinta, avevano impugnato l’atto di accertamento IVA per il periodo d’imposta 2007, a loro notificato in ragione dell’avvenuta estinzione della società al momento dell’emanazione del predetto provvedimento, deducendo la mancanza del presupposto rappresentato dall’effettiva distribuzione degli utili ai soci e, sul piano probatorio, l’inversione dell’onere della prova.

Al riguardo, la Cassazione ha respinto il ricorso ribadendo alcuni punti-fermi, ossia che la circostanza che non ci sia stata distribuzione di utili da parte della società non esclude l’interesse dell’Agenzia ad accertare la responsabilità del socio, essendo risultati, all'esito dell'accertamento nei confronti della società, utili non dichiarati, e restando salva ogni questione sull'effettivo percepimento da parte dei soci di detti utili, che può essere posta solo in sede di riscossione e non in sede di contenzioso concernente le somme non dichiarate dalla società, con conseguente mancanza di interesse dei soci stessi a far valere, nella fase di impugnazione dell’atto di accertamento, questioni di ripartizione dell'onere probatorio.

L’unico spiraglio, in chiave difensiva, che la Suprema Corte pare aver lasciato al socio, è rinvenibile nel passaggio in cui viene sottolineato come le questioni concernenti l’effettiva percezione degli utili (non dichiarati) possono essere fatte valere solo in sede di riscossione; ciò nonostante, tale opportunità, risolvendosi nella prova di un fatto negativo, appare di difficile attuazione in sede giudiziaria.

Normativa

Articolo 2495 codice civile.

Articolo 36, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.

Giurisprudenza

Cassazione, Sez. V, 23 agosto 2023, sent. n. 25108.

Cassazione, Sezioni Unite, 12 marzo 2013, sent. nn. 6070 e 6071.

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