Società non operative – Dalla Cassazione più armi per fornire la prova contraria

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Una recente sentenza della Cassazione conferma un orientamento giurisprudenziale che si va consolidando che rivede i criteri per contrastare la presunzione di non operatività che discende dall’applicazione dei parametri per qualificare una società come non operativa ai sensi dell’articolo 30 della legge n. 724 del 1994.

La disciplina delle società non operative

La disciplina delle società non operative di cui all’articolo 30 della legge n. 724 del 1994 si applica nei confronti delle: S.p.A., S.a.p.A., S.r.l.; S.n.c., S.a.s., società ed enti di ogni tipo non residenti con stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

Detti soggetti si considerano non operativi se non superano il cd. “test di operatività”, ossia se nell’ultimo triennio la media dei ricavi, incrementi di rimanenze e proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico è inferiore al valore determinato mediante applicazione alla media triennale dei valori attribuibili ai beni patrimoniali specificamente indicati dall’articolo 30, comma 1, delle percentuali stabilite per ciascuna tipologia di bene (1, 2, 4, 5, 6 e 15%).

Ai soggetti che non superano il test di operatività è attribuito un reddito presunto del periodo di imposta non inferiore all'ammontare della somma degli importi derivanti dall'applicazione, ai valori dei beni posseduti nell'esercizio, di percentuali (diverse a seconda dei beni posseduti) indicate dall’articolo 30, comma 3, della legge n. 724 del 1994; ciò in quanto i ricavi minimi, correlati al valore di determinati beni aziendali, se non raggiunti, costituiscono un indice sintomatico del carattere non operativo della società contribuente e fanno scattare la presunzione di un reddito minimo.

La disapplicazione della disciplina

La disciplina non si applica in una serie di casi indicati al comma 1 dell’articolo 30 (tra cui i soggetti ai quali è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali, i soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta, ecc.) nonché nei casi individuati dal Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 14 febbraio 2008 (società non operative) e dal Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate dell’11 giugno 2012, n. 87965 (società in perdita sistematica), in cui sono indicate le ulteriori situazioni oggettive in presenza delle quali è consentito ai contribuenti di disapplicare in modo automatico le disposizioni sulle società di comodo, senza dover assolvere l’onere di presentare istanza d’interpello.

L’interpello disapplicativo

Qualora non si rientri nei suddetti casi è possibile richiedere la disapplicazione della disciplina delle società di comodo, ai sensi del comma 4-bis dell’articolo 30, in presenza di situazioni oggettive che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi, nonché del reddito, ovvero non hanno consentito di effettuare le prescritte operazioni rilevanti ai fini dell’Iva.

Pur essendo l’interpello di cui al citato comma 4-bis il sistema naturale per la dimostrazione delle situazioni oggettive per cui si ritiene disapplicabile la disciplina antielusiva, è, comunque, possibile:

  • proporre la questione dei presupposti della disapplicazione per la prima volta direttamente in giudizio, senza la previa proposizione dell'interpello;
  • riproporre la questione, innanzi al giudice, anche dopo che l'interpello è stato respinto, impugnando direttamente l'atto impositivo conseguito all'esito negativo del test ed alla qualificazione come società non operativa.

La dimostrazione della prova contraria

Fornendo la prova delle oggettive situazioni, di cui al comma 4-bis della disposizione, la società si sottrae alla classificazione come non operativa. La prova contraria può riguardare:

  • sia il mancato raggiungimento della soglia di operatività;
  • sia il reddito minimo presunto normativamente;

potendo la società evidenziare le circostanze che hanno impedito il raggiungimento della soglia minima di componenti presuntivi e che, pertanto, giustificano la minore entità di componenti positivi dichiarati e risultanti dalla contabilità, nonché contestare le ulteriori presunzioni poste dalla normativa, indicando eventuali condizioni che hanno reso impossibile conseguire l'imponibile minimo.

Contenuto della prova contraria

Secondo la Cassazione, ogni situazione in grado di giustificare la divergenza tra il quantum dichiarato ed il quantum determinato applicando i parametri di legge, deve essere presa in considerazione al fine di verificare il superamento delle presunzioni di legge.

La caratteristica di oggettività delle situazioni che il contribuente può far valere, non ha, infatti, la funzione di distinguere tra:

  • cause esterne, che si impongono al soggetto;
  • cause che derivano (anche solo in parte) da libere determinazioni di quest'ultimo,

ma quella di richiedere che il contribuente sia in grado di dimostrare oggettivamente la non fittizietà di quanto dichiarato (cfr. Cassazione 13/05/21, n. 12862).

L'onere della prova contraria deve essere inteso non in termini assoluti, quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato (cfr. Cassazione 20/06/18 n. 16204, 12/02/19, n. 4019, 05/04/12/19, n. 31626, 01/02/19, n. 3063, 28/05/20, n. 10158) ed elastici, identificandosi con uno specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell'imprenditore, che impedisca lo svolgimento dell'attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali ovvero ne ritardi l'avvio oltre il primo periodo di imposta (cfr. Cassazione 03/11/20, n. 24314).

Le valide motivazioni secondo la Cassazione

Con riferimento alla presunzione legale relativa di non operatività, l'onere probatorio può essere assolto, secondo la Suprema Corte:

  • dimostrando che, nel caso concreto, l'esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore, giacché il livello inferiore dei ricavi è dipeso, invece, da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione;
  • dando direttamente la prova della sussistenza di un'attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale, e dunque l'operatività reale della società, ossia la prova proprio di quella circostanza che, nella sostanza, dal livello dei ricavi si dovrebbe presumere inesistente (cfr. Cassazione 24/02/21, n. 4946, 28/09/21, n. 26219

 

Riferimenti normativi

  • Articolo 30, Legge 23 dicembre 1994, n. 724,

Riferimenti di giurisprudenza

  • Cassazione n. 16472 del 23 maggio 2022
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