Stock option e cambio residenza – l’Agenzia chiarisce il trattamento fiscale delle plusvalenze

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L’Agenzia delle Entrate ha recentemente risolto un interessante caso afferente al trattamento fiscale delle plusvalenze da cessione di azioni, realizzate in Italia da soggetti che hanno acquistato tali titoli nell’ambito di un piano di stock option perfezionatosi all’estero: una tipica fattispecie quindi che pone seri pericoli di doppia imposizione internazionale e che, stante l’assenza di una chiara disciplina, ha giustificato la richiesta di un pronunciamento chiarificatore all’Amministrazione finanziaria.

L’istanza di un contribuente impatriato titolare di azioni estere

Nell’istanza di interpello, il contribuente ha rappresentato all’Agenzia delle Entrate di essere stato distaccato negli Stati Uniti d’America, presso la consociata americana del proprio datore di lavoro; a fronte di tale distacco, il medesimo si è qualificato ivi fiscalmente residente per l'anno d'imposta 2021, risultando quindi assoggettabile alle imposte federali e statali statunitensi sull'intero reddito ivi prodotto.

In tale periodo d'imposta, sono stati pertanto tassati negli Stati Uniti anche i redditi derivanti dalla partecipazione al piano di azionariato di cui lo stesso è stato beneficiario: tale piano di incentivazione ha previsto, infatti, l'assegnazione ai dipendenti di Restricted Stock Units (c.d. RSU), che danno diritto di ricevere, al termine del vesting period, ossia il periodo che intercorre dall’offerta dell’opzione al termine iniziale per il suo effettivo esercizio, e al raggiungimento di determinati obiettivi di performance, un numero di azioni predeterminato, senza pagamento di alcun corrispettivo.

In base alla legislazione statunitense, la maturazione delle RSU genera un reddito di lavoro dipendente imponibile ai fini fiscali, liquidato in misura pari al valore di mercato registrato dalle azioni alla data del vesting period.

Ciò posto, il contribuente, a decorrere dal 1° febbraio 2022, ha trasferito la propria residenza fiscale in Italia e, avendo intenzione di procedere alla vendita delle azioni conseguite nell'ambito del descritto piano, ha chiesto all’Agenzia delle entrate se, ai fini della determinazione di tali redditi di natura finanziaria di cui all'articolo 67, comma 1, lettera c-bis), del TUIR, possa utilizzare, come costo fiscalmente rilevante per la liquidazione del reddito, il valore di mercato dei titoli che è stato assoggettato a tassazione negli Stati Uniti d’America quale reddito di lavoro dipendente.

La soluzione dell’Agenzia evita (giustamente) la doppia imposizione internazionale

L’Agenzia ha richiamato la Circolare 25 febbraio 2000, n. 30/E, nella quale è stato specificato che la plusvalenza va determinata come differenza tra il corrispettivo percepito dalla vendita e il valore normale delle azioni al momento dell'assegnazione, a condizione che detto valore sia (già) stato assoggettato a tassazione a titolo di lavoro dipendente.

In altri termini, il valore normale delle azioni è assunto come riferimento, per la determinazione della plusvalenza, a condizione che lo stesso sia stato assoggettato a tassazione quale compenso in natura in capo al dipendente. Qualora, invece, l'acquisizione di titoli o diritti non abbia concorso alla formazione del reddito, l'intero importo del corrispettivo percepito costituisce plusvalenza da assoggettare ad imposta sostitutiva.

A giudizio dell’Amministrazione, i medesimi principi devono applicarsi anche nella ipotesi in cui al momento dell'assegnazione dei titoli il contribuente sia residente all'estero.

Nel caso di specie, infatti, le azioni sono state attribuite al dipendente istante, in un periodo d'imposta in cui lo stesso era residente all'estero ed ivi assoggettate a tassazione come reddito di lavoro dipendente, sulla base del valore di mercato delle azioni alla data del vesting, e, pertanto, detto valore costituisce costo di acquisto delle stesse, ai sensi del citato articolo 68, comma 6, del TUIR, ai fini della determinazione dell'eventuale plusvalenza.

In sostanza, quindi, nella Risposta n. 289 del 2023, l’Agenzia ha trovato una soluzione senz’altro condivisibile ed equilibrata che consente ai soggetti, interessati da vicende analoghe, di scongiurare una doppia imposizione internazionale su un valore che è già stato assoggettato a tassazione all’estero, anche in considerazione del fatto che tali redditi, essendo comunque soggetti a imposta sostitutiva, non consentono al contribuente il riconoscimento del credito d’imposta per le imposte ivi pagate a titolo definitivo.

Normativa

Articoli 67, comma 1, lett. c-bis), e 68, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).

Prassi amministrativa

Agenzia delle Entrate, Risp. n. 289 del 2023.

Agenzia delle Entrate, Circ. 25 febbraio 2000, n. 30/E.

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