IMU 2015: QUALCHE COMUNE CI PROVA ANCHE AD APRILE…

Download PDF

L'emergenza COVID-19 ha certamente complicato il quadro dei termini di accertamento che, a dire il vero, negli ultimi anni è diventato sempre più complesso.
Infatti, sul tema delle imposte sui redditi e l'IRAP, ai fini dei termini decadenziali la disciplina è contenuta negli artt. 43 del DPR 600/73 e 25 del DLgs. 446/97, che rinvia al primo.
Conseguentemente, l'avviso di accertamento va notificato, a pena di decadenza, entro il 31.12 del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (settimo anno se si tratta di dichiarazione omessa).
Sino all'annualità 2015 (dichiarazioni trasmesse nel 2016), è in vigore la disciplina antecedente alla L. 208/2015, e l'accertamento va notificato, a pena di decadenza, entro il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, quinto se si tratta di dichiarazione omessa.

Come ormai però ben noto, per i termini che scadono il 31.12.2020 (come per il periodo "solare" 2015), gli atti erariali di accertamento, di liquidazione, di recupero dei crediti d'imposta e di contestazione/irrogazione delle sanzioni che scadono dall'8.3.2020 al 31.12.2020 possono essere notificati dall'1.3.2021 al 28.2.2022, sempre che l'emissione sia avvenuta entro il 31.12.2020 (art. 157 del DL 34/2020).
Così, tuttavia, non è per quanto riguarda l'IMU ed altri tributi locali, in quanto la notifica degli avvisi di accertamento deve avvenire a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento è stato o avrebbe dovuto essere effettuato (art. 1 co. 161 della L. 296/2006). Cosicché, per un mancato versamento dell'IMU dovuta per l'anno 2015, il termine è scaduto il 31.12.2020.
Si badi bene, quindi, per la fiscalità locale, non opererà in alcun modo lo slittamento al 28.2.2022 dei termini in scadenza dall'8.3.2020 al 31.12.2020 (art. 157 co. 7-bis del DL 34/2020).

Diversamente, invece, poiché in questo caso si ritiene (peraltro, non da tutta) applicabile la sospensione dei termini di decadenza dell'art. 67 co. 1 del DL 18/2020, dall'8.3.2020 al 31.5.2020, il termine relativo al 2015 è slittato dal 31.12.2020 al 26.3.2021 (tanto quanto sostenuto anche nella ris. MEF 15.6.2020 n. 6/DF).
Tutto allora sembrerebbe sufficientemente chiaro e semplice, ma alcuni uffici tributi comunali in questi giorni stanno ancora procedendo a notificare avvisi di accertamento per omessi versamenti IMU per il periodo di imposta 2015 i quali, in maniera callida quanto maldestra forse per ammantarli di equivoca ipotesi di legittimità, sono firmati e protocollati ante 26 marzo, ma spediti in aprile.

A quel punto non c'è alcun dubbio che il contribuente possa presentare ricorso avverso tali atti (semmai un reclamo, per dimensioni quantitative della controversia, ai sensi degli artt. 17-bis e segg. del D.Lgs. 546/1992) per eccepire la nullità di atti notificati oltre il termine ultimo previsto dalla legge.
Come detto, infatti, per il mancato versamento dell'IMU dovuta per l'anno 2015, il termine di notifica dell’accertamento è scaduto alla data del 31.12.2020 in quanto, per la fiscalità locale, non opera lo slittamento al 28.2.2022 dei termini in scadenza dall'8.3.2020 al 31.12.2020 (art. 157 co. 7-bis del DL 34/2020).

Peraltro, come detto, va segnalato che c'è anche chi ha messo in dubbio l'applicabilità all'IMU della sospensione dei termini di decadenza dell'art. 67 co. 1 del DL 18/2020, dall'8.3.2020 al 31.5.2020, in quanto detta sospensione è testualmente circoscritta agli "uffici degli enti impositori", mentre il termine "uffici" dovrebbe ragionevolmente intendersi riferito solo alle Agenzie fiscali con esclusione degli enti locali.
Alla luce di ciò, l'art. 67 co. 1 del DL 18/2020 sarebbe in sostanza inapplicabile.
In ogni caso, si può sicuramente ribadire che il termine di notifica dell’accertamento di un’omissione di versamento IMU per l'anno 2015 deve ritenersi già comunque irrimediabilmente spirato al superamento della data del 31.12.2020 o, al più, del 26.3.2021.

Con buona pace di qualche funzionario comunale che non intenderebbe arrendersi ma, è bene ricordarlo, per accertare l'illegittimità dell’atto tardivamente notificato e per veder disporsi l'annullamento dello stesso (in assenza di autotutela degli Uffici), occorrerà comunque produrre nei termini un ricorso/reclamo: in quanto se un atto tributario, ancorché illegittimo, diventasse definitivo, per gli accertamenti emessi dall'1.1.2020 è ora in vigore il sistema degli accertamenti esecutivi, con venir meno del ruolo/ingiunzione fiscale, potendo subito essere attivate le misure esecutive (art. 1 co. 792 - 804 della L. 160/2019).

Al riguardo, allora, in quei ricorsi/reclami dei contribuenti si suggerisce di inserire una formula che richiede la condanna di controparte al rimborso delle somme eventualmente percepite nelle more del processo, aumentate degli interessi di legge ed al pagamento delle spese di lite, con accenno esplicito anche a quelle relative a lite temeraria.
In casi come questi, infatti, la resistenza dei Comuni ben potrebbe essere qualificata come temeraria.
Come noto, l'art. 15 del DLgs. 546/92 stabilisce che nel contenzioso tributario opera l'art. 96 co. 1 e 3 c.p.c. e, quindi, una responsabilità processuale aggravata che motiva la corresponsione alla controparte anche di una somma risarcitoria.
Infatti, "se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza".

Detta condanna, però, spesso è difficile da ottenere, siccome circoscritta al dolo, alla malafede e alla colpa grave.
In casi come questi, però, non vi è chi non veda che un eventuale resistenza in giudizio da parte dei Comuni potrebbe essere determinata solo da dolo, malafede e colpa grave.
Se allora a notarlo fossero anche i giudici, verrebbe finalmente prodotta qualche sentenza non incline alla disparità di trattamento tra Fisco e contribuente, purtroppo ancora assai diffusa nel contenzioso tributario.
I giudici, infatti, condannano sistematicamente alle spese il contribuente in caso di soccombenza, mentre nel caso in cui sia l’Ufficio ad essere soccombente molto meno spesso avviene la condanna alle spese, nonostante il disposto normativo sia chiaro al riguardo.

Affinché, quindi, in giudizio si possa avere piena ragione nei confronti di un soggetto pubblico in malafede e che, quindi, aveva la consapevolezza di essere dalla parte del torto, occorre trovare anche giudici che abbiano informato il loro agire ad un’etica del rispetto del contribuente, ovvero senza sentirsi solamente esponenti di parte pubblica e, conseguentemente, che siano indipendenti, imparziali e terzi. Ancora troppo spesso, invece, si assiste a giudizi e compensazioni di spese sbilanciate verso la parte erariale che, con richiamo ad ironia partenopea, lasciano trapelare quel "chillo è comunque nu fetente", con il quale molti giudici, ancora troppo spesso, bollano a prescindere il contribuente.

Download PDF

Nessun commento ancora


Lascia un commento

E' necessario autenticarsi per pubblicare un commento