Il commercialista – orgoglio e pregiudizio

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Qualche giorno fa un amico mi raccontava, rammaricato, che il figlio non era riuscito a superare al primo turno l’esame per l’abilitazione alla professione. Mi sono chiesto come mai visto che il ragazzo è sveglio e, peraltro, da tempo lavora nello studio di un commercialista; dunque, in linea di principio aveva una marcia in più rispetto ad altri che non avevano avuto questa opportunità.

Rimuginando, mi sono venute in mente alcune considerazioni che mi piace condivide, senza pretesa di convincere.

Partiamo da un fatto noto: le commissioni d’esame per l’abilitazione alla professione di commercialista sono quasi sempre composte da professionisti affermati che sono nel consiglio dell’Ordine o, comunque, lo frequentano e fanno parte di questa o quella commissione scientifica. Le commissioni certamente non sono composte da anonimi commercialisti che tirano la carretta e sono travolti dalla miriade di problemi di insana quotidianità fiscale. Questi professionisti, che sono la quasi totalità, dall’ordine non ci passano mai. Non dico affatto che ciò sia un bene.

Dunque, quando si decide quali debbano essere gli argomenti oggetto di esame, questi stimati professionisti (nulla di sarcastico, credetemi, anche perché molti li conoscono, intrattengo rapporti di viva cordialità e talvolta di amicizia) un po' per proprio bagaglio personale di conoscenze (poi i compiti li devono correggere) un po' per questioni di orgoglio di categoria, mettono all’ordine del giorno grandi temi quali operazioni straordinarie, riorganizzazioni aziendali, procedure para concorsuali, budget e investimenti finanziari.

Senonché queste sono materie che la maggior parte dei commercialisti (certamente con viva frustrazione) non tratta, essendo affogati nelle contabilità e nelle dichiarazioni dei redditi (spesso con netta prevalenza di famigerati modelli 730).

Si potrebbe eccepire che l’abilitazione all’albo richiede conoscenze di materie nobili che necessariamente un commercialista con la “C” maiuscola deve conoscere essendo, viceversa, inconcepibile che in un esame di stato si parli di argomentucci come la fatturazione elettronica, i forfetari o di altre insignificanti inezie.

Giusto, ma mi sono sorpreso a sorridere pensando ai commissari d’esame messi sotto esame dai collaboratori degli studi professionali.

Pensate che risate:

  • scadenza dell’esterometro, grazie!
  • Soggetti esonerati dallo split payment, grazie!
  • Come inviare un bilancio al registro delle imprese dopo l’approvazione, grazie!
  • Cambio codice Ateco all’agenzia delle entrate, grazie!
  • Emissione di una nota di credito elettronica, grazie!

Sono generoso: ¾ dei commissari d’esame bocciati senza appello!

Non vi sembra un paradosso!?

L’amara realtà è che il commercialista (qualunque) è oramai relegato e ingabbiato nella gestione di una quotidianità al servizio dello Stato da cui non riesce ad uscire e paradossalmente questa insana gestione richiede anche risorse umane necessariamente dotate di una specializzazione. E meno male che ci sono i software.

Quante volte ho sentito questa frase: delle pratiche al registro imprese se ne occupa Tizio; per la fatturazione elettronica ci pensa Caia. Questa cosa la devo chiedere al collaboratore Sempronio.

Perché? Ovvio, perché il commercialista non è in grado di farlo. Con questo non voglio certo dire che del commercialista se ne possa fare a meno. Quante volte ho sentito la frase ridicola: lo studio lo porta avanti il collaboratore Calpurnio perché il commercialista non capisce nulla. Al 99% delle volte questo è falso. Vorrei proprio vedere quel collaboratore da solo quanto tempo durerebbe. Meno di una settimana.

La realtà è che lo studio di un commercialista se si è fortunati si divide in due comparti:

  • la contabilità, le dichiarazioni dei redditi con annessi e connessi che richiede un elevato numero di collaboratori specializzati in materia che ha margini di guadagno risicati anche per via dei notevoli insoluti;
  • la parte nobile che si occupa di contenzioso di livello, consulenza aziendale, che richiede poco personale (ovvio, specificamente qualificato) con soddisfacenti margini di guadagno e perdite su crediti molto scarse.

Se non si è fortunati ci fermiamo alla contabilità & co.

Non sempre è una questione di elevare le proprie conoscenze. Spesso è solo una questione di mercato. Ciò detto, abbandono immediatamente questo argomento che non ha nulla di tecnico e concludo: auguro ai giovani professionisti in pectore che quello che studiano per l’abilitazione riescano poi ad applicarlo nella vita professionale perché di questi tempi non è affatto scontato.

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