Introduzione di un contratto collettivo di secondo livello: contenuto ed efficacia

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Il lavoro e la sua disciplina sono in costante evoluzione: da ultime si annotino le novità in tema di contratto a termine (L. 85/2023 di conversione del D.L. 48/2023) o di congedo parentale (Circolare Inps n. 39/2023). Ciò si abbina ad una fase storica caratterizzata dal fenomeno della Great Resignation: il fenomeno delle dimissioni di massa, cui si sommano le intenzioni di costante ricerca di un impiego più soddisfacente o motivante. Si pensi che nella fascia compresa tra i 18 e i 34 anni, la percentuale di coloro i quali hanno lasciato il proprio posto di lavoro negli ultimi anni si attesta intorno al 51%. Addirittura, secondo il sondaggio promosso da The Workforce Institute, il 35% dei dipendenti sarebbe disposto a rinunciare al 20% della propria retribuzione pur di ridurre da cinque a quattro i giorni lavorativi settimanali.

Questa moderna tendenza fa, del nostro paese, il terzo al mondo nella classifica del turn over lavorativo.

In quest’ottica, ovvero di costante ricambio e di ingenti costi ad esso collegato, è importante per i datori di lavoro riuscire a rendersi attrattivi e capaci di mantenere in servizio i propri dipendenti. I c.d. strumenti di retention, quali ad es. il welfare aziendale, fringe benefits, flessibilizzazione di tempi ed orari di lavoro, assumono, dunque, un’importanza vitale al fine di contrastare la costante espansione di tale fenomeno. Si pensi che taluni economisti (es https://www.gartner.com/en/articles/9-future-of-work-trends-for-2023) ritengono che il lavoro agile diventerà parte integrante di ogni realtà lavorativa.

L’introduzione di taluni dei citati strumenti può aversi per effetto della stipulazione di un contratto collettivo di secondo livello: ciò di cui si tratterà nel prosieguo del presente articolo.

La struttura della contrattazione collettiva è dettagliatamente individuata all’interno dell’Accordo Interconfederale del 14 luglio 2016, ribadita successivamente anche dall’accordo interconfederale del 9 marzo 2018: il livello deputato all’individuazione dei trattamenti economici minimi e alla garanzia dell’uniformità di trattamento, è quello nazionale; per contro il livello secondo o decentrato è attinente all’incentivazione della produttività delle imprese e della loro organizzazione di lavoro, potendo anche individuare degli emolumenti, purché legati ad effettivi obiettivi di crescita, produttività, qualità, efficienza, redditività ed innovazione.

Il contratto collettivo di secondo livello, abitualmente, viene considerato essere una grande categoria bipartita tra contratti territoriali ed aziendali.

Il contratto collettivo territoriale viene stipulato tra le rappresentanze delle parti, nelle loro dislocazioni territoriali: regionali o provinciali. Tali rappresentanze devono essere le più rappresentative nel settore, ma non individuate sulla scorta del criterio di rappresentatività come individuato dall’art. 51 d.lgs. n. 81/2015.  Gli ambiti interessati dalla contrattazione territoriale sono relativi ad una porzione di territorio più ridotta rispetto all’ambito nazionale, cui agiscono i CCNL, e vengono redatti, solitamente, al fine di rispondere alle esigenze riferite all’area in cui le parti operano. Si tratta di un livello di contrattazione fortemente radicato in alcuni settori, ad es. metalmeccanica e edilizia.

Per contro, la contrattazione di livello aziendale, talvolta ritenuta gerarchicamente inferiore anche a quella territoriale, si rivolge alle necessità relative alla singola realtà economica. Il contratto collettivo aziendale va sottoscritto dal datore di lavoro e dalle rappresentanze sindacali in azienda (RSA o RSU), la cui assenza viene sopperita dai rappresentanti delle organizzazioni più rappresentative. Il contenuto può concernere istituti che, pur disciplinati dalla legge e/o dal CCNL, necessitino una declinazione specifica nel contesto dell’impresa, per meglio adattarli ai bisogni aziendali.

Un particolare esempio di contratto di secondo livello, che rappresenta un tertium genus, è il contratto di prossimità. La disciplina si trova contenuta all’art. 8 D.L. 138/2011, poi convertito in Legge n. 148/2011, ed è il frutto dell’intervento del legislatore, il quale volle porre rimedio ad una delicata situazione di relazioni sindacali, successivamente conosciuto come “caso FIAT – FIOM”. La particolarità di tale contratto riguarda la possibilità, direttamente conferitagli dalla normativa, di derogare in pejus alla disciplina legale. L’inderogabilità in peggio della legge, operata da una fonte di rango inferiore, è nota ai più e ribadita più volte anche dalla Corte Cost. (ad es. sentenze 121/1993, 115/1994, 104/2006, 182/2008, 76/2015, “[…] è inderogabile, perché la disciplina non è al servizio della volontà delle parti, ma ne costituisce la consapevole correzione ai fini protettivi o dirigistici che sono tipici del diritto del lavoro”). Ciononostante, la possibilità di deroga peggiorativa è stata ritenuta efficace (Corte Cost. n. 221/2012), purché la deroga rimanga circoscritta agli ambiti tassativamente previsti dalla disciplina e persegua finalità che sono in essa individuata (ad es. Trib. Firenze n. 528/2019; App. Firenze 20 novembre 2017; Cass. n. 19660/2019). Il tema, per la sua complessità, meriterebbe una trattazione dedicata, dunque ci si limita ai cenni poc’anzi riportati.

Si ribadisce come il contratto debba necessariamente trattare esigenze generali e diffuse, territoriali o aziendali, e dunque mai si può rivolgere nei soli confronti di un singolo (per tale ipotesi è bene ricorrere alla contrattazione individuale).  Ogni contratto di secondo livello può porsi come integrazione rispetto alla disciplina legale o contrattuale nazionale, oppure può trattare tematiche da esse escluse, poiché specifiche dell’area territoriale o della realtà economica. Il tutto finalizzato a contenere i vari strumenti di cui si è dato conto in apertura di trattazione.

Ogni previsione contenuta nel contratto, però, è fondamentale che introduca una deroga migliorativa rispetto alla normativa: in caso di deroga peggiorativa, fuori dai casi consentiti, si è tenuti a sottostare alla disciplina prevista dall’art. 2077 comma 2 c.c., ovvero che “Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro”.

Tale regola trova altresì spiegazione considerando il principio di sussidiarietà, ovverosia il diritto di matrice costituzionale (artt. 117, 118, 119 Cost.) che prevede come l'ente di livello superiore svolga compiti e funzioni amministrative solo quando questi non possano essere svolti dall'ente di livello inferiore: in tale senso il contratto di II° livello prevale per la specificità delle sue previsioni. Infatti spesso si considera l’introduzione di un contratto di II° come un tentativo di adozione di soluzioni tailor made.

Si rammenti che, peraltro, in ottemperanza al principio di sussidiarietà, vi sono diversi espressi rinvii al contratto collettivo operati dalla normativa: si pensi ad esempio all’art. 19 d. lgs 81/2015, recentemente novellato per effetto del D. L. n. 48/2023, in riferimento all’individuazione delle causali dei contratti a termine.

Gli strumenti di Retention introdotti tramite contratto di II° livello, hanno efficacia nei confronti di tutti i dipendenti?

Il tema dell’efficacia soggettiva di un contratto collettivo è molto spinoso, oltre che ricco di produzione giurisprudenziale e dottrinale, il che si può spiegare sulla base della ben nota considerazione del diritto sindacale come “diritto senza norme”.

Ai sensi dell’art. 1321 c.c., il contratto è un accordo tra due o più parti, avente sempre natura patrimoniale (non incide su rapporti di carattere personale) e ha la funzione di costituire, regolare o estinguere rapporti giuridici.

Il contratto collettivo, nello specifico, è considerato come un accordo raggiunto tra le organizzazioni sindacali rappresentanti gli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro. Stante la mai avvenuta attuazione dell’art. 39 Cost., i contratti collettivi redatti in epoca repubblicana, non spiegano la loro efficacia erga omnes. Dunque, si tratta di contratti di diritto comune e, per tale ragione, sono sottoposti al rispetto della disciplina dettata dall’art. 1372 c.c., ovverosia un contratto produce effetti solo tra le parti contraenti l’accordo: allo stesso modo, un contratto collettivo costituisce e regola i rapporti giudici che intercorrono tra le associazioni sindacali stipulanti ed ogni soggetto che, mediante iscrizione, via abbia conferito la rappresentanza. Inoltre, può ritenersi vincolato al rispetto della disciplina contenuta in un accordo collettivo, chiunque via abbia dato espressa adesione (ad es. mediante il rinvio contenuto nel contratto individuale).

Con l’obiettivo di risolvere la questione, è intervenuta la stessa contrattazione collettiva: si darà conto sommariamente della questione, poiché sarebbe necessaria una specifica indagine. Inoltre, anche nell’ipotesi in cui le organizzazioni sindacali riuscissero ad individuare la soluzione migliore, la stessa non potrebbe ritenersi efficace nei confronti della generalità, poiché si tratterebbe pur sempre di accordi redatti tra soggetti privati, dunque sottoposti agli stessi limiti di rappresentatività sopra descritti.

Per primo, il protocollo del 1993 stabiliva la possibilità di intervento del contratto di secondo livello solo in riferimento alle materie espressamente individuate dalla contrattazione nazionale. Tale protocollo è stato superato per effetto dell’accordo quadro e dell’accordo interconfederale del 2009, i quali contenevano la previsione che i contratti di secondo livello hanno la possibilità di intervenire in modifica dei singoli istituti economici o normativi disciplinati a livello nazionale; ma tale previsione è stata fortemente ridimensionata grazie alla sottoscrizione dell’accordo interconfederale del 2011, frutto del famoso “caso FIAT – FIOM”. Lo stesso accordo del 2011 introduceva una differenziazione tra i contratti aziendali stipulati dalle Rappresentanze sindacali in azienda: ove fosse firmato dalle RSA (art. 19 L. n. 300/1970), questo avrebbe efficacia solo nei confronti dei lavoratori iscritti ai sindacati rappresentati per mezzo delle stesse RSA, (sarebbe efficace nei confronti di tutti i lavoratori solo se la maggioranza di questi fossero iscritti ai sindacati); viceversa se l’accordo venisse sottoscritto dalle RSU (istituite per effetto dell’accordo interconfederale 20 dicembre 1993), produrrebbe effetto nei confronti di tutti i lavoratori dell’impresa.

Il protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 e il T.U. sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, hanno ribadito le stesse nozioni, rimarcando come ne siano vincolate al rispetto solo le associazioni afferenti alle Confederazioni firmatarie degli accordi indicati.

Legislatore, Dottrina e Giurisprudenza, allo stesso modo, si sono prodigati nell’intento di rinvenire una definitiva conclusione ad una così annosa questione. Si sono variamente ipotizzate soluzioni quali il recepimento del contenuto del contratto collettivo tramite norme di legge (correndo il rischio di riproporre una nuova “legge Vigorelli”, la cui proroga è stata oggetto di giudizio di incostituzionalità); la predisposizione di rinvii dalla normativa ai contratti, purché non si tratti di un rinvio in bianco; l’individuazione degli incentivi al consenso; la redazione di atti unilaterali da parte del datore di lavoro che richiamino il contenuto di un accordo collettivo.

Nel contempo, la stessa Giurisprudenza ha applicato determinati criteri interpretativi: il criterio cronologico (preferire i contratti aziendali, anche se peggiorativi, al CCNL, ove fossero introdotti successivamente), oppure il criterio della specialità (preferire i contratti aziendali perché più vicini alla situazione specifica), oppure ancora il criterio della competenza (prevale il contratto decentrato se disciplina ambiti cui fa rinvio espresso il CCNL). Tutto ciò pur tenendo conto della generale differenza tra un contratto c.d. acquisitivo, per il quale sarebbe scontato il consenso della generalità dei lavoratori, così come indicato ad es. in Cass. 10762/2004 e Cass. 10353/2004; e il contratto c.d. ablativo, ovvero teso a introdurre condizioni peggiorative, nei confronti del quale si attesta una maggior possibilità di dissenso da parte dei lavoratori non iscritti ai sindacati stipulanti.

Invero, la Giurisprudenza pare ormai uniformemente orientata verso un’applicazione estesa, talvolta per via del contenuto migliorativo (ad es. Tribunale Roma, sez. lav., 02/05/2013, n. 5949), talvolta per l’indivisibilità degli interessi tutelati (lavoratori collettivamente considerati e non singolarmente; Cass. 02/05/1990 n. 3607), talvolta per il principio di parità di trattamento tra i lavoratori (ad es. Cassazione civile, sez. lav., 16/06/1981, n. 3920), talvolta per una presunta inscindibilità delle clausole dei contratti collettivi (non si applicano solo le clausole positive; Cass. 05/07/2002 n. 9764). Nondimeno è sempre riconosciuta la possibilità dei lavoratori (solamente gli stessi lavoratori sono legittimati, vedasi Cass. n. 27115/2017) di esprimere il dissenso, ai sensi degli artt. 18 e 39 Cost., e la loro intenzione di vedersi disciplinate le stesse materie mediante accordi ad hoc (Cass. n. 6044/2012; n. 10353/2004; n. 26509/2020).

Ai sensi dell’articolo 14 D. Lgs. 151/2015, tutti i benefici contributivi o fiscali e le altre agevolazioni raggiungibili mediante la stipula di un contratto di secondo livello sono riconosciuti solo successivamente al deposito del contratto: la prima fase è il caricamento del file in formato pdf e l’inserimento delle informazioni minime richieste (che altro non sono che il contenuto del contratto collettivo) sul sito https://servizi.lavoro.gov.it ed in seguito è necessario specificare la tipologia di agevolazione per cui si intende effettuare il deposito telematico. Una volta avvenuto il deposito, il Ministero del lavoro e l'INL rendono i dati dei contratti fruibili alle altre amministrazioni e agli enti pubblici interessati. Inoltre mediante la circolare n. 5/E/2018 l’Agenzia delle entrate riconosce il termine di deposito di 30 giorni come ordinatorio e non perentorio.

Per dettagli specifici circa la procedura di deposito del contratto, si rimanda al tutorial disponibile all’indirizzo https://www.lavoro.gov.it/strumenti-e-servizi/Deposito-telematicocontratti/Pagine/default.

È possibile recedere unilateralmente da un contratto di II° livello?

Per rispondere bisogna tenere a mente come, nel contratto, potrebbe essere inserita una data di scadenza ab origine. Sulla questione si è espressa la Cass. con la sentenza n. 21537/2019, sancendo la possibilità di recesso in caso di mancanza di termine del contratto, poiché non è stato ritenuto legittimo il vincolo in perpetuum, che sarebbe lesivo dell’autonomia negoziale (art. 1322 cod. civ.) e della libera iniziativa economica privata (art. 41 Cost.). In ogni caso, il recesso deve verificarsi secondo correttezza e buona fede, ovvero non ledere diritti intangibili dei lavoratori, i c.d. diritti quesiti.

Ulteriormente, è stato indicato, dalle sentenze Cass. n. 14511/2013 e n. 24268/2013, come non esista l’obbligo per il datore di lavoro di trattare e stipulare contratti collettivi con tutte le organizzazioni sindacali, purché si attenda la scadenza del precedente accordo. Infatti, il recesso ante tempus da un accordo arrecante una scadenza, non è ritenuto esercitabile.

Quanto sopra indicato si spiega prendendo in esame l’effettivo ruolo svolto dalla contrattazione collettiva, ovverosia il costante raffronto con una situazione socio-economica in evoluzione continua. Dunque, se non fosse esercitabile alcun recesso, verrebbe a mancare l’adeguatezza di tali accordi con la realtà.

Infine, prendendo visione di Cass. n. 14961/2022, si stabilisce, in merito al recesso, l’applicabilità della regola generale del recesso unilaterale nei negozi privati (il recesso può effettuarsi solo se antecedentemente previsto nel contratto stesso, ex art. 1373 c.c.) ed inoltre si prevede la necessità di individuare una durata di efficacia del contratto che non sia eccessivamente duratura, violando così i requisiti di correttezza e buona fede.

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