Iva non versata dal fornitore: per la CGT della Lombardia non deve pagare il committente

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Se il fornitore non versa l'Iva, il tributo lo paga il cliente?
Prima di detrarre l’Iva, l’imprenditore deve verificare che il fornitore di beni o servizi l’abbia effettivamente versata? E se non è così, scatta il reato di frode fiscale?

Vediamo di approfondire l’argomento.
In base all’orientamento prevalente, il soggetto che inconsapevolmente partecipi ad un’operazione fraudolenta non è assoggettabile a conseguenze sanzionatorie e la stessa Corte di Giustizia UE riconosce valenza al profilo soggettivo del contribuente, al fine di tutelare il principio dell’affidamento e della buona fede. Per cui ritiene di dover negare la detrazione nella misura in cui sia provata la consapevolezza, da parte del contribuente, del meccanismo di raggiro posto in essere dal cedente, nel senso della sua conoscenza o conoscibilità. Di converso, reputa di dover riconoscere l’esercizio della detrazione al contribuente in buona fede all’oscuro della frode.
L’onere della prova, in ogni caso, grava sull’Amministrazione finanziaria, che, laddove sussista regolare fattura, è tenuta a dimostrare quali componenti oggettive siano atte a comprovare la sussistenza del concretarsi di un eventuale fenomeno evasivo.

Tre recentissime ed interessantissime sentenze della Corte di giustizia tributaria della Lombardia hanno allora sostenuto che la ripetuta violazione degli obblighi di versamento Iva da parte del fornitore di beni o servizi, di per sé, non può mai giustificare il diniego del diritto alla detrazione dell’imposta da parte del committente/cessionario.
E ciò in quanto l’omesso versamento dell’Iva non può essere messo sullo stesso piano della frode, tanto più laddove l’ufficio non abbia dato prova dell’assenza di buona fede in capo al contribuente.

Ad affermarlo, sono tre sentenze della Cgt Lombardia del gennaio scorso (n. 39/2024, n. 44/2024 e n. 45/2024, rel. De Domenico).

La questione riguarda una società che aveva commissionato delle prestazioni di trasporto. La società fornitrice si sarebbe resa responsabile di seriali violazioni dell’obbligo di versamento dell’Iva e l’ufficio contestava la detrazione dell’Iva effettuata dal committente, in quanto asseritamente eseguita in frode alla legge.

Nelle motivazioni del giudizio, allora, si legge che l’omesso versamento dell’Iva non può essere messo sullo stesso piano della frode, tanto più laddove l’ufficio non abbia dato prova dell’assenza di buona fede in capo al contribuente, eludendo in tal modo anche la portata della modifica apportata nell'ordinamento della materia contenziosa dall’articolo 7, Dlgs 546/1992.

La tesi accusatoria del Fisco, pur diffusa nelle prassi accertative degli uffici, non trova alcun fondamento né nella disciplina unionale né nella giurisprudenza, perché non può non distinguersi una vera e propria frode commessa ai danni del Fisco, dall’omesso versamento di Iva regolarmente dichiarata anche attraverso la trasmissione delle liquidazioni periodiche (Lipe).
In tali casi, peraltro, l’Ufficio è sempre messo in condizioni di adottare tempestivamente le misure idonee ad attivare il recupero coattivo delle somme dovute, non potendosi ovviamente mai pretendere dal contribuente l’esercizio di poteri istruttori e di controllo sulla regolarità dei comportamenti tributari che competono solo agli uffici fiscali.

In altri termini, la controparte di un'operazione non può avere sostanzialmente mai notizia del mancato versamento delle imposte da parte del prestatore, conseguentemente un’imposta, regolarmente fatturata e riferita a prestazioni realmente effettuate, non diventa indetraibile anche se l’acquirente sapeva dello stato di difficoltà del prestatore, perché oltre a non essere previsto da alcuna norma di legge, ciò risulterebbe palesemente contrario al principio di neutralità dell’Iva (sentenza C-227/21 del 15 settembre 2022).
Quindi, quand’anche fosse comprovato che il committente fosse a conoscenza dell’insolvenza del prestatore, questo non può di per sé legittimare la negazione del diritto alla detrazione.

Ma vi è di più. Nel caso in argomento, il committente aveva pure svolto alcune operazioni di controllo, chiedendo anche l’esibizione del Durc, un comportamento ritenuto dai giudici rappresentativo dell’ordinaria diligenza professionale esercitata, tanto da escludere la sussistenza di mala fede (anche se si segnala, curiosamente, che in alcuni casi un eccesso di dimostrazione della  buona fede è stato pure ritenuto sintomatico da parte degli organi verificatori di mala fede...).

In ogni caso, non dovrebbe mai spettare al contribuente dimostrare la propria buona fede, dovendo essere l’ufficio onerato della prova del comportamento illegittimo del soggetto passivo (comma 5 bis all’art. 7 del Dlgs 546/1992), un principio ribadito anche in ipotesi delle operazioni soggettivamente inesistenti (sentenza 27745/2021).
Tale rigore probatorio è stato ritenuto tanto più necessario proprio perché la violazione contestata e giudicata dai giudici lombardi non è considerabile una frode.

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