La sindrome del dr. House

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Tutti ricordiamo il personaggio televisivo magistralmente interpretato da Hugh Laurie: quel genio della medicina misantropo e farmaco-dipendente, affetto da depressione clinica e caratterizzato da un ego ipertrofico e da modi antisociali che risponde al nome di dr. House.

Il dottor Gregory House, anche se è una persona assolutamente insopportabile è talmente bravo che tutti lo cercano comunque, per la sua superiore capacità tecnica. E’ uno str**zo, ma lo perdoni perché ti salva la vita.

In fondo, molti professionisti vorrebbero essere come lui. Talmente bravi da essere cercati e apprezzati a prescindere perfino dal modo in cui si relazionano con il prossimo.

Ed in effetti molti anni fa era così: potevi avere un discreto successo anche se non eri proprio una cima o un simpaticone. Una volta abilitati, bastava mettere una targa fuori dalla porta ed aspettare, e i clienti sarebbero arrivati a frotte.

Questo perché la situazione del mercato era totalmente diversa da quella attuale. C’erano pochi professionisti e molti clienti, c’erano le tariffe e le esclusive. Tutto si faceva a mano, gli strumenti informatici davano una mano ma non minacciavano certo, come oggi avviene, di sostituirci. Il personale era sovrabbondante, i margini elevati, i picchi lavorativi pochi e sostenibili. I clienti avevano ancora un certo rispetto nei confronti del professionista e lo ascoltavano.

Oggi purtroppo dobbiamo tenere conto che non salviamo vite umane e che il nostro mestiere siamo tutt’altro che gli unici a saperlo fare.

Le patologie che affliggono gli esseri umani sono purtroppo svariate migliaia e le loro combinazioni sono pressoché infinite. Quindi mettiamoci il cuore in pace: la complessità e l’incertezza delle discipline mediche rimangono ancora di gran lunga superiore a quella del diritto o dell’economia aziendale e si assommano al soverchiante interesse del cliente per la sua sopravvivenza fisica.

Inoltre, abbiamo clienti che ormai grazie alla loro formazione e all’aggiornamento dei media e di internet hanno un gap conoscitivo rispetto a noi di gran lunga inferiore a quello che caratterizza un paziente affetto da una malattia rara o da un complesso di patologie intrecciate rispetto al loro medico curante. Forse qualche dottore antipatico e passivo può ancora cavarsela, ma certamente non un avvocato, un commercialista, un consulente del lavoro, un notaio.

La sindrome del dr. House ci fa ritenere di non doverci curare degli aspetti relazionali della nostra professione ma soltanto di quelli tecnici, mentre invece entrambe le anime sono egualmente importanti. D’altronde, se siamo bravissimi e nessuno lo sa, non siamo di alcuna utilità al mondo. Per converso, se siamo socievolissimi ma non risolviamo i problemi dei clienti, non andremo ugualmente da nessuna parte.

Detta in altri termini siamo in un mercato in cui non basta saper fare, ma occorre farlo sapere. In questo mondo in cui tutti comunicano, non possiamo tacere perché altrimenti rischiamo l’oblio.

Nell’esercizio di una libera professione, gli aspetti relazionali sono importanti innanzitutto per la costruzione del rapporto di fiducia con i clienti, che - come sappiamo - inizialmente tutt’altro che si fidano del proprio consulente. L’empatia permette di superare i timori, di spingere il cliente ad aprirsi, a collaborare, e a fornire tutte le informazioni rilevanti per la consulenza e di evitare così fenomeni di doppio azzardo morale.

Assieme all’immagine del professionista e dello studio, gli aspetti relazionali sono anche una delle proxy che consentono al cliente di “farsi un’idea” della qualità della prestazione professionale che andrà a ricevere, che di solito è un bene esperienza, anche prima di averla consumata.

La cura della relazione con il cliente va spesso in conflitto con la necessità di svolgere operativamente il lavoro, ed il professionista in questi casi quasi sempre preferisce concentrarsi sugli aspetti tecnici. Così abbiamo medici “della mutua” che non ascoltano e non auscultano perché passano il tempo già risicato della visita a compilare moduli persi dentro allo schermo del proprio PC. Parimenti, abbiamo commercialisti che fanno il sudoku con le caselline della dichiarazione dei redditi, pensando alle scadenze e non curandosi delle cangianti esigenze del proprio cliente. Che, purtroppo, oggi è molto meno paziente dei clienti del dr. House. In tutti i sensi.

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