Nella vostra boutique ci sono più militari o artisti?

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I professionisti che hanno svolto almeno la prima parte del loro percorso in un grande studio internazionale si vedono a occhio nudo.

Basta uscire dalla stazione di Milano Centrale in corrispondenza della pausa pranzo (schivando accuratamente clochard, drogati e accoltellatori) per poter finalmente intravvedere sciami di giovani in giacca antracite e cravatta o in tailleur mentre escono dagli eleganti palazzi che fiancheggiano la via Vittor Pisani. La scena si ripete identica all’ombra dei grattacieli di City Life e ovunque in Italia dove vi sia una sede di una professional firm. L'abito continua a fare il monaco anche quando diventano più grandi e li incroci sul Frecciarossa, nelle sale attesa degli aeroporti, nelle riunioni di lavoro. Elegantissimi, apparentemente immuni al sudore e alle macchie di caffé.

Ma non è solo una questione esteriore, di rigore nel dressing code. Il periodo di inserimento all'interno di una big four ha un forte sapore iniziatico che ti marchia, ti cambia per sempre, come l’accademia militare. È un esperienza che ha effetti destinati a perdurare e a influenzare il loro atteggiamento e il loro modo di fare professione per tutta la vita. Non è un caso se - al contrario dei piccoli studi - queste grandi professional firm generalmente vedono chi esce anzitempo dai loro ranghi più come un alumno, un apostolo, che non come un traditore.

Dopo qualche anno, spesso pressati da un ambiente iper competitivo, molti validi professional escono (o vengono invitati ad uscire...) dalle multinazionali della consulenza per cercare lidi più tranquilli. Dove competere più con se stessi che con i propri simili, dove ritagliare qualche scampolo di vita privata e pasti degni di tale nome. Anche a costo di accettare emolumenti di gran lunga inferiori. Di solito questi fuorusciti sono i migliori professionisti che uno studio di provincia possa mai reclutare. E infatti non di rado li troviamo a fondare o a popolare le boutique, gli studi di provincia di maggiore dimensione e col migliore posizionamento per clientela e tipologia di lavori svolti.

In questi studi tradizionali “top di gamma” però spesso questi soggetti convivono con una specie di professionista completamente diversa, e che ha avuto uno sviluppo iniziale del tutto differente e particolare. Di solito si tratta di autentici talenti naturali, che si sono fatti da soli partendo dalla dichiarazione dei redditi della zia fino a diventare dei riferimenti insostituibili sia per i clienti che per i loro collaboratori. In altri casi sono invece collaboratori sopravvissuti in mezzo al caos di un piccolo studio di cui sono da tempo ormai immemore parte dell'arredo e a cui hanno dedicato i migliori anni della propria vita. I più fortunati hanno inizialmente frequentato qualche master tributario dove hanno appreso le tecniche professionali ma molto raramente l'organizzazione o il marketing. Materie che, anzi, di solito danno loro l’orticaria.

Non dovrebbe quindi stupire più di tanto se in questi contesti misti le due specie convivono a fatica,  perché al di là della condivisa indubbia capacità professionale, hanno comportamenti completamente diversi soprattutto dal punto di vista manageriale, organizzativo e commerciale. Vediamo nel dettaglio.

L'ex “big 4” o proveniente da società di revisione è basilarmente un militare. È abituato ad un inquadramento gerarchico dove gli ordini si danno senza peli sulla lingua e si eseguono senza discutere. Lavora in modo estremamente pianificato anche quando il mondo attorno sembrerebbe suggerirebbe magari un po' di flessibilità.

Il milite noto lavora in modo estremamente strutturato, utilizzando procedure scritte molto dettagliate. Si aspetta di essere formato e istruito prima di essere messo a fare un nuovo lavoro. Militari si diventa, è questione di disciplina e impegno. È abituato a tracciare ciò che fa, per consentire a chiunque di capire e di completare il lavoro svolto. E di essere supervisionato quando lo fa.  Sa perfettamente di essere sostituibile. Non trascura un cliente per niente al mondo. Al cliente risponde immediatamente, anche quando sta orinando all’Autogrill. E quanti smartphone ho sentito tuffarsi nello sciacquone... Il militare presidia il territorio: lavora presso il cliente ogniqualvolta possibile. Quando diventa partner comanda davvero e decide esercitando una sana intolleranza.

Per un militare la cura del gesto tecnico è importante ma non è mai fine a sé stessa, è sempre una questione di bilanciamento tra costo, beneficio e rischio, e va mediato sulla convenienza del cliente.

Il talentuoso di provincia è invece in nuce un artista. Pensa di essere unico e insostituibile. È abituato a muoversi come meglio gli aggrada, scegliendo le priorità a suo gusto. Odia dover rispondere a qualcuno. Quando diventa partner ha l'unico desiderio che gli altri si arrangino e nessuno gli metta a repentaglio gli zebedei. Per continuare a fare il lavoro tecnico che ama. Per cui tollera, accumula e poi di tanto in tanto sbotta, ma tendenzialmente non decide. Oppure, se ha un carattere particolarmente socievole, ascolta e media a dismisura.

Siccome percepisce la realtà lavorativa come in continuo e imprevedibile mutamento, considera l'organizzazione un’emerita perdita di tempo e la pianificazione un’ autentica chimera. Vive alla giornata.

Per lui le procedure sono come il limite di velocità, lo rispetti solo se vedi la pattuglia o l’autovelox. Il timesheet è vissuto operativamente come un bastone tra le ruote, e filosoficamente come un irrimediabile atto di sfiducia.

Le sue pratiche non sono trasferibili, e i suoi appunti sono interpretabili solo da un egittologo. Nessuno conosce lo stato di avanzamento delle sue pratiche, e forse in fondo è meglio così...

Il gesto tecnico viene sempre portato alla perfezione assoluta, fino all'accanimento terapeutico.

Il cliente è sovente un male necessario, se chiama meglio farlo aspettare un pochino. Prima di rispondere va fatto frollare. Se il cliente ha bisogno, deve venire lui in pellegrinaggio in studio, mica noi da lui.

Le persone non vanno formate. Anche perché non ce n'è il tempo. Ognuno deve arrangiarsi esattamente come ha fatto ogni artista che si rispetti. O ci arrivi o non ci arrivi. Artisti si nasce, non si diventa.

Non è difficile intuire quali possano essere all’interno delle nostre boutique i terreni di scontro che, come abbiamo visto ha una radice prettamente culturale.

La differenza peraltro può e deve essere o diventare luogo di confronto e di crescita per entrambe le categorie di professionisti. Solo la reciproca approfondita comprensione di questi meccanismi culturali e un esercizio di vera e propria mediazione può permettere ai professionisti di creare il necessario equilibrio tra disciplina e creatività.

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