Per AIDC, l’Iva “onesta” addebitata in eccesso è sempre detraibile: ma la Cassazione dice no

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Se assolta dal cedente o prestatore (ovviamente al di fuori di ipotesi di frode), la detrazione dell’IVA va riconosciuta in tutti i casi di errata applicazione dell’imposta, in misura superiore a quella dovuta, ferma la sanzione fissa da 250 a 10.000 euro e dovendosi in questo contesto necessariamente ricomprendere anche le circostanze nelle quali l’operazione sia non imponibile, esente o esclusa.
Sono queste le conclusioni a cui approda l’AIDC, con la norma di comportamento n. 214, secondo cui il diritto alla detrazione, riconosciuto dall’art. 6 comma 6 secondo periodo del DLgs. 471/97, non è circoscrivibile unicamente alle operazioni imponibili, per le quali il cedente o prestatore ha applicato un’aliquota più elevata rispetto a quella dovuta.
A conclusioni opposte, tuttavia, è pervenuta la Corte di Cassazione con la Sent. n. 24289/2020.
Secondo i dottori commercialisti, in tutte le ipotesi di errata applicazione dell’IVA da parte del fornitore, in assenza di un contesto frodatorio e di un danno erariale, non dovrebbe applicarsi la sanzione per indebita detrazione, prevista dall’art. 6 comma 6 primo periodo del DLgs. 471/97, pari al 90% dell’ammontare dell’imposta detratta.
A tale convincimento, l’interessante elaborato dell'associazione professionale perviene a seguito di rigorosa analisi della normativa, ma soprattutto sulla base della ricostruzione dei principi comunitari di neutralità dell’imposta, di effettività e di proporzionalità.
In particolare, tanto quanto peraltro già evidenziato da altra autorevole dottrina, viene evidenziato che tanto il secondo periodo dell’art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97 quanto l’art. 30-ter del DPR 633/72, che regola il rimborso dell’Iva non dovuta) sono stati introdotti nell’ordinamento per garantire proprio il principio di effettività.
Tramite i predetti richiami normativi si consente il recupero dell’imposta, superando il disallineamento tra il termine di decadenza biennale per l’istanza di rimborso ordinaria, da parte del fornitore nei confronti dell’Erario ex art. 21 del DLgs. 546/92, e il termine decennale stabilito per l’azione civile di restituzione dell’indebito ex artt. 2033 e 2946 c.c. Va, infatti, ricordato che l'art. 30-ter fa decorrere il diritto alla detrazione dal momento in cui l’IVA è stata restituita al cliente, consentendo così di risolvere le situazioni in cui il cedente/prestatore si trovava a dover restituire l’imposta al cessionario/committente, senza poter recuperare la stessa mediante istanza di rimborso erariale.

L’AIDC afferma, inoltre, che alla luce di alcune pronunce dei giudici di legittimità (cfr. ex plurimis Cass. n. 3627/2015), la presentazione dell’istanza di rimborso sarebbe condizionata alla preesistenza di un procedimento coattivo che disponga il pagamento a favore del cessionario/committente, non consentendo pertanto l’attivazione della procedura qualora l’imposta addebitata in fattura fosse stata restituita spontaneamente.

Ed è, allora, proprio in applicazione del principio di effettività ed anche per supplire alle evidenziate possibili “lacune” dell’art. 30-ter, che è stata prevista la disciplina di cui all’art. 6 comma 6 secondo comma del DLgs. 471/97, finalizzata proprio a superare i limiti alla detraibilità dell’imposta, in capo al cessionario o committente, nonché l’applicazione della sanzione proporzionale, in tutti i casi in cui sia impossibile o eccessivamente oneroso avvalersi della descritta procedura di rimborso.

Tra le altre questioni affrontate, non viene ignorata la circostanza che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97, oltre alla richiesta che l’operazione non sia avvenuta in un contesto di frode, è posta l’unica ulteriore condizione che l’imposta indebita sia stata “assolta” dal debitore.
In definitiva, quindi, in assenza di ulteriori presupposti non sarebbe possibile subordinare la detrazione alla circostanza che l’operazione rientri nel campo di applicazione dell’IVA ovvero che sia sottoposta al regime di imponibilità.

Invero, soccorre questa interpretazione l’art. 6 comma 9-bis.3 del DLgs. 471/97, che fa salvo il diritto alla detrazione per il cessionario o committente che applica erroneamente il meccanismo dell’inversione contabile per le operazioni non soggette, non imponibili o esenti da IVA. L’assolvimento dell’imposta con il meccanismo del reverse charge può infatti essere assimilato, sotto il profilo sostanziale, proprio al caso in cui il fornitore versa l’IVA applicata (indebitamente) in fattura.
Conseguentemente, anche l’art. 6 comma 6 secondo periodo del DLgs. 471/97, facendo riferimento all’imposta applicata “in misura superiore a quella effettiva”, non potrà che ricomprendere tutte le ipotesi in cui l’IVA sia stata indebitamente applicata, comprese quelle in cui le operazioni avrebbero dovuto essere considerate non soggette a IVA, non imponibili o esenti.
Sebbene, però, la ricostruzione del quadro giuridico normativo rappresentato dall’AIDC sia pregevole, non può essere ignorato che lo stesso si pone in contrasto evidente rispetto al recente orientamento della Cassazione n. 10439/2021, la quale ha limitato la detrazione alla sola imposta che avrebbe dovuto essere applicata e non all’intero ammontare addebitato in fattura.
Di talché, lo sforzo dell'interprete anche stavolta è apprezzabile ed ammirevole, ma a quali effetti concreti possa portare in ambito contenzioso qualche dubbio lo riserva, attesa la costante inclinazione frustratrice che i Supremi giudici da molto tempo hanno assunto nei confronti di ogni velleità dottrinale.

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