PER IL FISCO, IL RAVVEDIMENTO OPEROSO NON PUO’ CHIUDERE IL “PENALE”

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Nell’incontro con la stampa specializzata del 1° febbraio (Telefisco 2018), il Fisco ha confermato l’impossibilità di perfezionare il ravvedimento operoso, per rimuovere “errori” suscettibili di fraudolenza per falsa fatturazione. Tuttavia, tale posizione di chiusura interpretativa non trova conforto nella esplicita previsione normativa, ma, dopo gli ultimi chiarimenti del Fisco, non vi sarà alcuna possibilità di vedersi riconoscere dagli Uffici il perfezionamento di un ravvedimento operoso nella fase amministrativa di procedimenti tributari aventi ad oggetto utilizzo dichiarativo di fatture per operazioni asseritamente inesistenti e che, quindi, ogni ipotesi di eccezione a questa restrittiva visione del Fisco dovrà essere sollevata in sede giurisdizionale.

In realtà, l’art. 13 del D.lgs. n. 472/1997 prevede la possibilità per il contribuente (o l’obbligato in solido) di regolarizzare violazioni che si sostanziano in omissioni od errori commessi in passato e, diversamente da quanto sostenuto dal Fisco, dal tenore letterale della citata disposizione di legge non è individuabile alcuna limitazione né esplicita, né implicita, all’esercizio del ravvedimento operoso, risultando opinabile ritenere che l’espresso riferimento di tale norma alla “regolarizzazione degli errori e delle omissioni” si traduca inevitabilmente in una preclusione nei confronti del possibile ravvedimento di qualsiasi comportamento antigiuridico che abbia dato origine ad infedeltà dichiarative.

Discriminare le infedeltà tributarie in odore di fraudolenza al fine di escluderle dal pentimento fiscale non convince, perché qualsivoglia "errore" dichiarativo è sempre una falsa rappresentazione dolosa della realtà e non può, ovviamente, essere ignorato che è lo stesso assetto normativo del ravvedimento operoso a non aver mai operato distinzioni sull’intenzionalità delle infedeltà dichiarative, né, quindi, esplicitamente espulso dal suo ambito qualsiasi tipo di “errore”, compresi, quindi, i più inescusabili tra gli stessi.

A parere di chi scrive, il sistema sanzionatorio penale-tributario sarebbe rimasto comunque dotato di efficacia deterrente anche se la prassi, avendone ampia possibilità interpretativa in assenza di un esplicito impedimento normativo, avesse saputo formulare migliori distinzioni punitive e, quindi, anche se avesse dotato di efficacia risolutiva tributaria un ravvedimento operoso di fattispecie anche tendenzialmente fraudolente, almeno distinguendo quello intervenuto in un momento antecedente a qualsiasi contestazione rispetto, invece, ad una resipiscenza del contribuente intervenuta solo ex-post, ovvero dopo l’avvio dei controlli, od a seguito di una formale contestazione.

Tutto ciò, peraltro, sarebbe stato coerente con una politica criminale e fiscale da tempo ormai maggiormente volta alla tutela di un corretto gettito tributario, piuttosto che alla punizione esemplare anche di trasgressori pentiti, in particolar modo quando i fatti su cui si controverte siano isolati o abbiano dimensioni quantitative modeste. Si è persa, purtroppo, una grande occasione per indicare agli organi verificatori la non necessità di coltivare contenziosi su atti che il contribuente potrebbe legittimamente ravvedere e di non continuare ad inviare segnalazioni alla Procura della Repubblica di una notitia criminis spesso funzionale solo ad attivare procedimenti penali che non troveranno mai giudicato. L’ingolfamento delle Commissioni tributarie e degli Uffici giudiziari non può combattersi solo con previsioni normative, ma anche con un adeguato processo a monte di selezione di quali siano davvero i crimini da deferire per effettività della pericolosità, nonché con illuminate aperture della prassi in materia di ravvedimento operoso. Tutto ciò, peraltro, sarebbe più semplice se tutto questo fosse decisamente sostenuto anche da una giurisprudenza che cominciasse acutamente a discernere ciò che, ormai, per lo spirito dell’evoluzione del sistema penale-tributario e per la portata innovatrice introdotta dalla riforma del ravvedimento operoso, potrebbe già essere pragmaticamente “depenalizzato” anche fuori dalle aule giudiziarie. Ad oggi, invece, un’infedeltà dichiarativa dolosa e clamorosa, purché non sostenuta da fatture, configurerebbe ancora “errore od omissione” ravvedibile anche post-contestazione con PVC, mentre si è confermato come irredimibile qualche timbro malizioso in più su di una pensionanda scheda carburante cartacea, la quale potrebbe anche costringere il contribuente ad un calvario in sede penale “in considerazione di un’intrinseca antigiuridicità”. In conclusione, se un contribuente ha commesso un errore, ne potrebbe fare uno ancor più grande chi impedisse, senza che la norma questo espressamente preveda, di far rientrare nella legalità chi fosse uscito dalla retta via, ma se ne fosse tempestivamente pentito.

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