Rinuncia del socio del credito verso la società e incasso giuridico, cos’è cambiato?

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Breve recap per capire i termini della questione.
Cos'è l'incasso giudirico? è una finzione, appunto giuridica, secondo cui la rinuncia da parte del socio ad un proprio credito vantato nei confronti della società è equiparabile fiscalmente all'incasso (invece inesistente) dello stesso credito con conseguente obbligo di tassare il relativo importo.
Detto più semplicemente, con il meccanismo dell'incasso giuridico, anche se il socio rinuncia al proprio credito verso la società per il fisco è come se avesse invece riscosso tale importo, che dunque andrà tassato.

Non è difficile capire che si tratta di un sistema quanto meno astruso ma non nuovo nella legislazione fiscale, - vedasi, ad esempio, la questione della tassazione dei canoni di locazione per affitti non riscossi -, finalizzato (ndr: oltre che a incassare maggior gettito), a contrastare eventuali possibile arbitraggi fiscali che potrebbero sorgere dal c.d. salto d'imposta, ossia dal fatto che la mentre la società viene tassata per competenza, il socio, invece, è tassato per cassa.
Il meccanismo è stato elaborato al fine di evitare che, da un lato, il costo (correlato alla rinuncia) venisse dedotto per competenza dalla società e, dall'altro, invece mai tassato (per cassa) dal socio “percettore”, non essendoci un effettivo pagamento e incasso.

Dal punto di vista normativo, l'incasso giuridico si fonda(va) su quanto disposto originariamente dall'articolo 88, co. 4 del Tuir, secondo cui, in un caso del genere, la società avrebbe potuto dedurre per competenza gli interessi passivi, ma la successiva rinuncia da parte del socio non avrebbe generato una sopravvenienza attiva imponibile;
di qui la necessità, mediante una fictio iuris, di equiparare, ai fini fiscali, la rinuncia all'incasso e di sottoporne l'ammontare a prelievo fiscale, anche mediante ritenuta d'imposta.
Fondamentalmente la tesi dell'incasso giuridico si giustifica in un regime fiscale in cui la rinuncia al credito, sul versante della società debitrice, è soggetta ad un regime di non tassabilità.
Sull'argomento e sull'applicabilità dell'incasso giuridico si è espressa da tempo anche l'Agenzia delle Entrate con la circolare n. 73/E/430 del 27 maggio 1994, i cui principi, - poi riconfermati con le successive risoluzioni n. 41/E del 5 aprile 2001 e n. 152/E del 22 maggio 2002 -, sono stati nel tempo ripresi anche da numerose pronunce, sia della Cassazione (18.12.2014, n. 26842; 26.1.2016, n. 1335; 30.1.2020, n. 2057; 14.4.2022, n. 12222), che della giurisprudenza di merito (CTP Milano, 12.6.2017, n. 4091).

Il nuovo orientamento della Cassazione e il superamento dell'incasso giuridico
Successivamente, il D.L. 147/2015 ha introdotto il comma 4-bis all’articolo 88 del TUIR, modificando sostanzialmente il contesto normativo di riferimento.

Sebbene l'Agenzia delle Entrate non abbia modificato la propria posizione (ribadendo, ancora una volta, anche nella risoluzione n. 124/E del 2017, l’applicabilità dell’incasso giuridico nelle ipotesi di rinuncia al credito del socio), la Cassazione è invece tornata sui propri passi e con la recentissima sentenza numero 16595 del 12 giugno 2023 ha modificato il proprio orientamento sulla questione.
In particolare, proprio sulla base di quanto previsto dal Tuir, artt. 88, co. 4-bis, art. 94, co. 6 e art. 101, co. 5 (come modificati dal D.L. 14 settembre 2015, n. 147, art. 13), la Cassazione ha stabilito che in tema di imposte sui redditi di capitale la rinuncia, operata da un socio nei confronti della società, al credito avente ad oggetto interessi maturati su finanziamenti erogati nei confronti di una società partecipata, non comporta l’obbligo di sottoporne a tassazione il relativo ammontare, con applicazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, comma 5, della ritenuta fiscale, cui la società è tenuta quale sostituto d’imposta, avendo le nuove disposizioni rimediato all’asimmetria fiscale o “salto d’imposta” di cui al precedente regime.

Secondo il più recente orientamento della giurisprudenza, dunque, la rinuncia del socio non deve essere disciplinata dall'art. 88, co. 4, ma dal successivo comma 4-bis, che prevede che tale rinuncia si considera sopravvenienza attiva solo per la parte eccedente il relativo valore fiscale. Tale (ndr: relativamente nuova) disposizione impone inoltre al socio l'obbligo di comunicare il valore del credito alla società partecipata mediante apposita dichiarazione sostitutiva di atto notorio, dichiarazione in mancanza della quale il valore assunto è pari a zero, con conseguente tassazione dell'intera rinuncia, che verrà qualificata come sopravvenienza attiva.

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