Valutazione d’azienda – Premi di maggioranza e sconti di minoranza

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Il codice civile, in più parti, prevede l’obbligo della predisposizione di una perizia di stima funzionale all’effettuazione di una operazione straordinaria.

Ad esempio, l’art. 2465, 1° comma, del codice civile prevede la predisposizione di una perizia giurata di stima, redatta da un professionista abilitato, al fine di determinare il valore della partecipazione da conferire, in modo che il patrimonio della Società conferitaria (eventualmente costituita a seguito del conferimento) non risulti di importo superiore al valore dell’partecipazione.

L’articolo 2501-sexies, comma 1 del codice civile dispone nell’ipotesi di fusione che “uno o più esperti per ciascuna società redigono una relazione sulla congruità del rapporto di cambio delle azioni o delle quote, che indichi: a) il metodo o i metodi seguiti per la determinazione del rapporto di cambio proposto e i valori risultanti dall'applicazione di ciascuno di essi; b) le eventuali difficoltà di valutazione.”.

Alle scissioni si applicano le stesse disposizioni, per effetto del richiamo contenuto nell’articolo 2506-ter al precedente articolo 2501-sexies.

Nell’ipotesi di cessione di azienda o di partecipazione, invece, il codice civile non prevede alcuna relazione di stima dal momento che non vi sono interessi di terzi da  salvaguardare: resta il fatto che questa, di fatto, è comunque necessaria per stabilire, nell’ambito delle trattative tra le parti, il corrispettivo della cessione, quanto meno come punto di riferimento per le trattative medesime.

Le diverse finalità della perizia di stima

Il legislatore non ha ritenuto di specificare i criteri di valutazione a cui deve attenersi l’esperto, il quale dovrà comunque adeguatamente descrivere e giustificare i criteri adottati nella relazione di stima ma è evidente che, ad esempio, la finalità della perizia nei conferimenti societari richiede una valutazione nell’ottica della prudenza, ad evitare che si annacqui il patrimonio della società conferitaria. Nelle fusioni, invece, la perizia (o meglio le perizie, posto che sono una per ogni società interessata alla fusione) deve garantire un corretto ed equo rapporto di cambio tra i soci della incorporante e quelli della incorporata, mentre nelle scissioni la valutazione di stima delle due società ha l’obiettivo di ripartire correttamente le azioni/quote della scissa e quella della beneficiaria.

Talvolta vi sono perizie a soli fini fiscali, come quella di valutazione delle partecipazioni, con l’obbiettivo di rideterminare il valore fiscale della partecipazione in capo al socio, in via della futura cessione della stessa. Questa ultime due perizie tendono a stabilire il valore di mercato finalizzato alla cessione e, quindi, il linea di principio cercano di massimizzare il valore.

Nella cessione d’azienda e di partecipazioni, la perizia tende ad individuare il valore di mercato del bene periziato e, talvolta, alla mera valutazione peritale si aggiunge, al ricorrere di specifici presupposti, un ulteriore valore definito a seconda dei casi, "premio di maggioranza e sconto di minoranza": va sin d’ora detto che tale importo non scaturisce da criteri di codificati e riconosciuti (almeno nella tecnica aziendalistica) di valutazione, ma è essenzialmente frutto delle trattative tra le parti.

I diversi criteri di valutazione

La dottrina e la pratica di valutazione delle aziende hanno elaborato differenti metodologie di valutazione che possono anche combinarsi tra loro originando i metodi definiti “misti”.

I metodi ai quali si fa riferimento e che qui si richiamano in estrema sintesi si possono classificare come segue:

  1. Metodi patrimoniali, semplice e complesso
  2. Metodi reddituali
  3. Metodi finanziari
  4. Metodi misti

I metodi patrimoniali propongono una stima analitica a valori correnti dei singoli elementi attivi e passivi che compongono il capitale d’azienda. All’interno di questi metodi è possibile, altresì distinguere tra metodi patrimoniali semplici, che assumono come valore di base il capitale netto rettificato scaturente dalla differenza tra elementi attivi ed elementi passivi, e metodi patrimoniali complessi che includono nel capitale netto contabile come sopra determinato, anche il valore dei cosiddetti “invisible assets” non contabilizzati. La determinazione del valore contabile del patrimonio, rappresenta, in ogni caso, un primo ed essenziale “metro” valutativo a cui fare comunque riferimento anche per applicare gli altri metodi di valutazione.

I metodi reddituali e i metodi finanziari determinano il valore dell’azienda in base alle potenzialità che essa manifesta di produrre e che si esprimono attraverso la stima, rispettivamente, dei flussi reddituali o monetari attribuibili all’azienda. In particolare, il valore dell’azienda è ottenuto mediante la capitalizzazione dei redditi normalizzati o dei flussi finanziari (EBITDA) che si sono ottenuti o che si prevede di conseguire nel futuro.

I metodi misti patrimoniali-reddituali, abbinando i criteri di valutazione di tipo patrimoniale a valutazioni basate sulla redditività dell'azienda, consentono di mediare “pregi e difetti” dei precedenti metodi valutativi.

I procedimenti descritti, sono fondati su presupposti teorico-concettuali profondamente diversi, esigono elaborazioni appropriate e conducono a risultati che, talvolta, possono essere anche notevolmente divergenti.

La scelta del metodo di valutazione, costituisce il punto principale della perizia e non deve scaturire da un’astratta selezione del metodo ritenuto migliore, ma deve emergere da un ragionato accostamento del criterio valutativo alla specifica situazione aziendale oggetto della valutazione.

I premi di maggioranza e gli sconti di minoranza

Nel premettere che premi di maggioranza o sconti di minoranza possono essere presenti come mancare del tutto, va sin d’ora sottolineato che gli stessi sono frutto della trattativa tra le parti.

Resta il fatto che la richiesta del premio di maggioranza, tipica delle compravendite  si adopera in certi contesti (che non sono nella maggioranza dei casi riferiti alla fusioni, per quello che ti dirò oltre). Normalmente il premio di maggioranza lo si riconosce all’azionista di minoranza che nel cedere la propria quota consente all’acquirente di raggiungere il controllo della società

Esempio, società Zeus srl:

  • socio A: 40%;
  • socio B: 40%;
  • socio C: 20%).

Se il socio “C” cede ad uno dei due soci la propria quota di partecipazione nella Zeus consentendo allo stesso di ottenere la maggioranza a scapito dell’altro socio è possibile che “C” non si accontenti di ottenere il mero valore di perizia ma chieda un premio di maggioranza. Resta il fatto che il premio di maggioranza, si ribadisce, non ha nulla a che fare con il valore di perizia, ma è esclusivamente frutto della trattativa tra le parti.

Al di fuori dell’esempio sopra proposto, si chiede, ad esempio, il premio di maggioranza, se il socio cede una parte della propria quota perdendo il controllo e non gli è consentito (mancando patti parasociali in tal senso) di nominare un membro del Cda; il premio compensa il minor controllo della gestione. Se diversamente, anche per effetto di patti parasociali, si definiscono criteri di condivisione nella gestione, come ad esempio il  diritto di nomina di alcuni membri del Cda, una politica di distribuzione di dividendi codificata e condivisa, ovvero il preventivo assenso e approvazione di piani aziendali, il premio di maggioranza non si applica.

Talvolta, tuttavia, anche nell’ipotesi di raggiungimento del solo controllo di fatto (senza avere quindi la maggioranza assoluta al diritto di volto in assemblea) può giustificarsi un premio di maggioranza. Si tratta di ipotesi in cui chi possiede una quota inferiore al 51% mantiene tuttavia di fatto il controllo della società, in considerazione di particolari situazioni (scarsa partecipazione dei soci alle assemblee, oppure presenza di soci minori di cordata che garantiscono tramite aggregazione assembleare il controllo di fatto sulle scelte gestionali, ecc.).

Ciò detto è bene precisare che se, ad esempio un soggetto possiede il 30% del capitale sociale ed acquista da altro socio il 50% del capitale sociale, non su tutto il 50% oggetto di acquisto si applica il premio di maggioranza ma solo sul 21% che consente di raggiungere il controllo.

Come detto questi premi sono sostanzialmente frutto di trattative. Con questo non si vuol dire che non ci siano elementi aziendali che possano influenzare dette differenze di valore, bensì semplicemente che il tutto dipende principalmente da considerazioni soggettive dell’acquirente che, in relazione ai propri programmi, è disponibile a pagare il prezzo aggiuntivo.  S’immagini, ad esempio, una società dotata di notevole liquidità: il soggetto che riesce ad ottenere il controllo potrebbe subito dopo distribuirsi le predette somme, sotto forma di dividendo o di distribuzione di riserve di capitale (ove esistenti) rientrando, quanto meno in parte, dell’investimento effettuato.

E’ veramente complesso anche dal punto di vista meramente statistico dare una idea della misura del premio di maggioranza che può andare dal 10% al 30%, ma in taluni casi anche oltre, laddove chi cede ha la consapevolezza che la controparte, tramite l’acquisto delle azioni o quote, otterrà sinergie e vantaggi che vanno oltre le mere aspettative reddituali della società oggetto di cessione,  potendo ad esempio capitalizzare l'acquisto in altri propri connessi rami di business (si pensi a gruppi societari strutturati), ovvero sfruttare al meglio le caratteristiche (commerciali, produttive, etc.) della società target integrandola nel proprio ambito imprenditoriale.

Quando non si applicano i premi e gli sconti

La maggior parte della dottrina e della prassi aziendale, ritiene che il premio di maggioranza non possa essere previsto nelle ipotesi di fusioni e di valutazione della quota di recesso del socio. Ed infatti, nella determinazione del valore, ai fini del rapporto di cambio da fusione, il valore del pacchetto di maggioranza e di quello di minoranza “pesano” allo stesso modo e, anzi, una discriminazione in tal senso tra la compagine societaria motiverebbe un giudizio di non congruità da parte degli esperti ai sensi dell’articolo 2501-sexies c.c.

Tra le tanti analisi sul punto, si segnala quella del Professor Buongiorno, Università Bocconi, Milano e Università Cà Foscari Venezia, il quale osserva che il premio di maggioranza non viene generalmente riconosciuto nella operazioni di fusione, talchè nell’indagine relativa alla fusioni tra società quotate nel periodo 1999-2010, ha rilevato che non è stato mai riconosciuto. Ancora, nel progetto di fusione Telecom – Olivetti, la JP Morgan nella propria valutazione fa presente che “in coerenza con l’orientamento prevalente di dottrina e prassi in tema di valutazioni di fusione, le stime sono state effettuate prescindendo da premi di controllo/sconti di minoranza.”.

Una parte, minoritaria della dottrina, ritiene che nelle fusioni il premio di maggioranza (che si aggiunge alla mera valutazione delle due società interessate alla operazione) sarebbe concepibile solo se, tramite la fusione, la società che ottiene la maggioranza ne ha un beneficio (essa solo, e a scapito dell’altra società) in termini di mercato, strategie, sinergie, etc. E non dunque, semplicemente perché ottiene il potere decisionale in base alla maggioranza dei diritti di voto.

Dunque, le valutazioni che nascono dall’esigenza di tutelare le minoranze, per opinione condivisa dalla dottrina e dalla prassi, non dovrebbero includere l’applicazione di premi e sconti, venendo altrimenti a confliggere con la finalità principale. Analoghe considerazioni valgono per la valutazione delle quote nell’ipotesi di recesso del socio, che comporta a quest’ultimo il diritto di ottenere la liquidazione della quota da parte della società. L’art.2437-ter c.c. dispone al riguardo che “il valore di liquidazione delle azioni è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali”. Posto che il recesso il linea di principio lo esercita il socio che dissenta dalle decisioni della maggioranza, il che implica che sia un socio di minoranza, non sembra possibile che si possa per questo prevedere uno sconto (ossia una riduzione di valore) rispetto al valore di mera perizia.

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