Vita da monadi

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La caratteristica che fino ad oggi più di ogni altra ha permesso ai professionisti di sopravvivere e di prosperare è il loro individualismo. La loro fortissima autoreferenzialità gli ha consentito di dominare le difficoltà tecniche, di affrontare imponenti sacrifici personali per raggiungere l’eccellenza e gestire innumerevoli ore di lavoro immolate alla soddisfazione dei clienti.

E d’altra parte sia il sistema scolastico e universitario che il filtro dell’Esame di Stato sono sempre stati guidati dal merito personale, mai dal lavoro di gruppo. Anche i clienti finora hanno premiato l’individuo, mentre ora guardano con sempre maggiore favore alle grandi strutture.

Queste circostanze hanno creato un tessuto professionale in cui il 70 per cento degli studi sono monocratici. In altre parole il darwinismo, la selezione naturale della professione, ha generato delle monadi. Tanti single incalliti, figli unici della professione, tutti convinti di essere superiori alla media, intenti a continue inutili gare di lungologia, incapaci di comunicare tra loro su un piano di rispetto reciproco, e del tutto refrattari a scendere a compromessi. In una parola: assolutamente incapaci di comportarsi da soci.

La frase che più spesso mi sento rispondere quando suggerisco ai professionisti di associarsi tra loro è che la migliore società che si possa fare è quella con soci dispari in numero minore di due.

Il professionista medio italiano preferisce fare come il Piccolo Principe, padrone assoluto del proprio piccolo regno, del proprio pianetino. Anche se questo diventa ogni giorno più insignificante.

Oggi questo atteggiamento mentale è forse il più grosso limite alla prosperità del singolo professionista e allo sviluppo delle professioni in generale.

Salvo eccezioni sempre più rare, l’individualismo esasperato non funziona più perché il sapere professionale si è enormemente complicato, ci sono le specializzazioni, e i clienti vogliono risposte sempre più rapide ed interdisciplinari, come se fossimo delle app a loro disposizione.

Servono quindi specializzazioni ma anche coordinamento tra di esse e questo lo si può avere se si voga tutti dalla stessa parte.

Inoltre, il presidio sui clienti deve essere costante. Non ci si riesce a dividere più tra la gestione dello studio, dei collaboratori, e il lavoro di delivery vero e proprio.

E’ indispensabile interagire costantemente con altri professionisti e far parte di strutture con manager, procedure, tecnologie, personale di supporto.

Per esercitare la professione in strutture organizzate e sistematiche sono necessari rilevanti investimenti, soprattutto informatici ma anche in nuova conoscenza, che il singolo professionista non è in grado di fare. Questi investimenti sono utili anche gestire le occasionali ondate di nuovo lavoro, che sono sempre più alte e irregolari. Per i commercialisti si pensi al tema della gestione fiscale dei bonus 110%, che ha sostanzialmente escluso i piccoli studi.

Il professionista medio crede che sia impossibile aggregarsi efficacemente con altri professionisti perché vede in loro i suoi stessi difetti, ma non fa nulla per superare il problema.

In realtà, sotto la corazza della determinazione, moltissimi professionisti soffrono di una profonda solitudine. Desiderano ardentemente associarsi ma ne hanno contemporaneamente una paura tremenda. Come un cane alle prese con un porcospino. Vuole morderlo, ma teme di pungersi.

Molti hanno rinunciato perché sono scottati da precedenti esperienze, dalle quali evidentemente non hanno imparato nulla. Perché anche se non sono moltissime, ci sono aggregazioni che funzionano e prosperano. Tra le caratteristiche più importanti delle aggregazioni di successo ci sono quella di aver previamente approfondito la conoscenza personale dei soci, di aver affrontato una lunga e approfondita fase di business planning, e di esercitare un costante dialogo e adattamento tra i soci.

E non mi si dica che mancano gli incentivi. Il problema non è fiscale e nemmeno civilistico. È dentro al cervello del professionista. E infatti chi si voleva associare lo ha fatto lo stesso, impippandosene della legislazione sfavorevole. Ed oggi, e non è un caso, gestisce i clienti e gli incarichi migliori.

Ogni professionista che studi e lavori su se stesso può diventare un ottimo socio e può progettare e realizzare l’aggregazione dei suoi sogni. Se dedicherà alle proprie iniziative la stessa attenzione che dedica ai suoi clienti.

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