A me Il digitale mi fa un baffo

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La maggior parte dei commercialisti e dei consulenti del lavoro, per non parlare di avvocati e notai, è ancora convinta che la digitalizzazione non potrà influenzare in modo importante la loro attività.

La credenza di fondo è più o meno questa: Si, è vero, i computer sono più potenti e le amministrazioni pubbliche e di giustizia hanno a disposizione sempre maggiori informazioni, ma Il quadro normativo e di interpretazione è così complicato e dinamico che nemmeno un computer riuscirà mai a stargli dietro.

Certamente in questo paese la certezza del diritto rimane un ossimoro. L’incertezza è così forte da aver tenuto fuori buona parte dei competitor internazionali, ma il trend si sta invertendo.

Limitiamoci in questo blog alle considerazioni che riguardano commercialisti e consulenti del lavoro.

I principali studiosi internazionali della digital disruption quali World Economic Forum, Università di Oxford, ecc… dicono che i lavori più a rischio di sostituzione nei prossimi anni sono il fiscalista e il revisore. Non ci sarà semplificazione, ma le macchine gestiranno anche la complessità.

Per quanto riguarda i commercialisti, la digitalizzazione è già in atto da molti anni.

Con la creazione degli intermediari fiscali, l’Agenzia delle Entrate ha dapprima arruolato i commercialisti delegando loro (gratuitamente) l’input delle dichiarazioni e dei versamenti fiscali, recuperando notevoli energie per i controlli. Il dato contabile restava però nel dominio del contribuente o del professionista che lo aiutava a tenere la contabilità.

Con l’acquisizione massiva dei dati bancari e l’avvento della fatturazione elettronica, l’Agenzia si è ora dotata di tutte le informazioni di prima mano necessarie ad invertire il flusso di informazioni e ad utilizzare i commercialisti non più come data entry ma come correttori di bozze e sistematori gratuiti degli archivi.

Abbiamo già giocato questo ruolo nella fiscalità locale. I comuni dapprima avevano informazioni imprecise sulle imposte locali, oggi invece mandano calcoli sempre più completi e dettagliati. E indovinate chi ha messo a posto gli archivi?

Anche la normativa viene via via piegata a questi fini. Non è un caso che nell’ambito della contabilità semplificata si sia passati ad una determinazione del reddito in base al principio di cassa. La modifica normativa ha l’evidente finalità di assicurare all’Agenzia un facile incrocio tra conto bancario e fatture.

Siamo quindi pronti ad un passaggio da un commercialista che svolge l’input per conto dell’Agenzia delle Entrate ad un commercialista che controlla quanto l’Agenzia prepara automaticamente. Il passaggio successivo sarà quello di una attività tutta gestita dall’Agenzia, salvo problemi di elevatissima complessità per il quale verrà attivato un professionista. Questo significa che a tendere il 90% delle strutture contabili dei nostri studi sarà del tutto ridondante e che solo il 10% dei colleghi si occuperà di gestire i complessi problemi informatico-giuridici che i contribuenti avranno col fisco automatico, soprattutto in caso di malfunzionamento degli automatismi.

Il direttore dell’Agenzia delle Entrate ha peraltro già proposto per le piccole attività economiche un sistema di tassazione interamente basato sui flussi di cassa, con la possibilità per il fisco di prelevare direttamente dalla banca. In questo caso il commercialista sarebbe totalmente disintermediato e al suo posto subentrerebbero gli istituti bancari.

Come se non bastasse, in molti paesi europei (Spagna, Francia, ecc…) è già da tempo in vigore un piano contabile unico a livello nazionale. Questo tipo di strumento, laddove adottato anche in Italia, consentirebbe all’Agenzia di richiedere una situazione normalizzata a fine esercizio e di calcolare lei le imposte sul reddito delle società. Resterebbe al commercialista il solo bilancio civilistico. Per quanto?

Anche i bilanci con il formato XBRL per i conti annuali e la nota integrativa sono sempre più automatici e standardizzati sia nella loro struttura che nei contenuti. E l’Agenzia non avrebbe alcuna difficoltà a dotarsi degli stessi software che oggi in ciascuno studio effettuano in automatico l’allacciamento fiscale al piano dei conti.

Tecnicamente quindi, la maggiore parte del lavoro oggi svolto dagli studi commerciali può essere svolto in maniera quasi del tutto automatica dall’Agenzia delle Entrate.

Alla luce di quanto detto, neanche l’attività di revisione sembra più un gran ripiego. Se sarà possibile elaborare la contabilità in modo sempre più automatizzato, ebbene si arriverà al punto in cui non sarà più conveniente revisionare una contabilità perché  costerà meno rifarla di sana pianta che sottoporla ad audit.

Anche i consulenti del lavoro non dovrebbero sentirsi troppo al sicuro. Il ministero del lavoro ha più volte tentato di raccogliere a livello centrale i dati del Libro unico del lavoro, ma i relativi provvedimenti sono stati fino ad oggi insabbiati. E tuttavia si può tranquillamente immaginare un sistema dove le marcatempo sono direttamente collegate con un’ agenzia pubblica che effettua un calcolo di cedolino provvisorio che poi qualcuno va eventualmente ad aggiustare e rettificare fornendo apposite giustificazioni.

Un primo assaggio del "nuovo corso" i consulenti del lavoro lo hanno avuto con l’avvento dell’assegno unico, in cui il ruolo dell’ente previdenziale aumenta a scapito di quello del soggetto incaricato di redigere la busta paga. Anche sulle buste paga dunque il passaggio dell’elaborazione allo Stato tecnicamente si può fare, ma gli interessi in gioco sono molto più forti per cui probabilmente lo status quo durerà di più rispetto alla gestione dei dati fiscali.

In questo quadro, commercialisti e consulenti del lavoro sono fortunati perché contrariamente a quanto accade per gli avvocati e i notai, possono evolvere rispettivamente in consulenti di direzione e consulenti in risorse umane, risalendo la catena decisionale strategica dell’imprenditore ma mantenendo sostanzialmente come base il proprio parco clienti.

Nuovi player di mercato stanno lavorando per innovare l’interfaccia cliente dei servizi tradizionali come dichiarazione dei redditi e contabilità. E quindi sono sempre più comuni servizi online e informatizzati per la gestione ad esempio dei contribuenti forfetari, delle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche prive di attività, di portali per il calcolo delle buste paga delle colf e così via. E pare che una parte significativa del mercato non abbia bisogno del contatto umano e prediliga queste forme fredde e impersonali che consentono di risparmiare la suola delle scarpe e qualche euro e di avere uno studio virtuale magari disponibile 24 ore su 24.

Ecco perché per uno studio di commercialisti o di consulenti del lavoro non considerare la digitalizzazione e continuare ad appiattirsi soltanto sugli adempimenti è un grave errore. Per gli studi piccoli differenziarsi è durissima, a volte le forze non bastano nemmeno per assolvere l’attività ordinaria. Varrebbe la pena di associarsi anche solo per creare gli spazi affinché uno dei sodali possa acquisire, coltivare e vendere competenze diverse retrocedendole poi a tutti gli altri soci.

Eppure i commercialisti e consulenti del lavoro che si danno da fare per acquisire le nuove competenze e proporle alla clientela sono ancora pochissimi. Se siete davvero dei professionisti e non delle imprese, perché continuate a fare orecchie da mercante? Dopotutto, ai dinosauri non li ha avvisati nessuno che stavano per estinguersi.

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