FORSE CE LA FA REMO (PERCHE’ E’ DIPENDENTE PUBBLICO), MA ROMOLO POTREBBE NON FARCELA …

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Con l’emendamento 67.15, a firma dei senatori Dell’Olio, Dessì, Gallicchio e Conzatti, la formulazione del comma 4 dell’art. 67 del decreto Cura Italia (approvato dal Senato), pur con una soluzione tecnicamente pasticciata potrebbe chiudere il caso nato dallo specifico rinvio all’art. 12 del DLgs. 159/2015, contenuto nel citato art. 67 del DL 18/2020 (Cura Italia), con il quale tutti i termini di decadenza o di prescrizione, che fanno capo all’attività degli uffici degli enti impositori e che scadono nel corso del 2020, sono automaticamente prorogati a fine 2022.

Abbiamo, quindi, scherzato e tale soluzione (forse) toglierà dall’imbarazzo la stessa Agenzia delle entrate che, con la circ. n. 8/E/2020 (punto 2.1), nel prendere posizione su una delle questioni più criticate del Cura Italia (e denunciata su questo blog nel mio scorso intervento), aveva cercato di convincere che la finalità perseguita dalla norma sarebbe stata solo quella di fare un favore ai contribuenti che in questo modo, nei mesi successivi alla crisi, non avrebbero ricevuto immediatamente notifiche di atti impositivi. Qualche riga dopo, peraltro, si legge anche che senza una simile proroga la scure del Fisco per i pagamenti dovuti dai contribuenti per tali annualità si abbatterebbe in uno spazio di tempo troppo ristretto, provocando rischi di sovrapposizione con eventuali piani di rateazione in corso.

Avete letto bene: i contribuenti avrebbero dovuto essere grati al legislatore se il termine di accertamento dei modelli Redditi, Iva, 770 e Irap 2016 (anno d’imposta 2015), in scadenza a fine anno, fosse slittato a fine 2022 e se, in presenza di omessa dichiarazione, ad essere posticipati al 31/12/2022 fossero stati i medesimi modelli dell’anno d’imposta 2014.
Per fortuna, in sede di conversione verrà steso un velo pietoso su questa vicenda, ma oggi, in mezzo a questo disastro pandemico, mi perdonerete se oltre a liberarmi dal peso sullo stomaco relativo a quell'enormità in tema di accertamento che era stata progettata e che stava per essere perpetrata nei confronti dei contribuenti, mi libererò anche di un altro sassolino. Vorrete scusarmi se stavolta andrò un po' fuori tema rispetto a quello di cui solitamente mi occupo su questo blog e se mi soffermerò su quello che, a mio parere, sicuramente ancora manca nella legislazione dell'emergenza COVID-19. Chi ritiene che tutto quanto era possibile fare sia stato fatto, si fermi qui. Chi non sente che il Governo avrebbe potuto fare qualcosa di diverso, si fermi qui. Chi vive delle garanzie dell'economia pubblica, e ritiene che le proprie fortune si fondino sulle sicurezze proprie ed è incurante delle disgrazie altrui, non prosegua nella lettura.
   
Forse, infatti, il 4 maggio si ripartirà. Si proverà a riaprire qualche altra saracinesca imprenditoriale e professionale. Speriamo che da quel giorno si riaccenda davvero l'economia di questo Paese e non solo per far divertire nuovamente l'Agenzia delle entrate che, è bene ricordarlo, rimarrà in letargo solo fino al 31 maggio e che è rimasta orfana della proroga biennale per prendersela con calma.
Ovviamente, la Germania, l’Austria, la Francia ed altri paesi europei hanno un piano già preciso con date, modalità, scadenze per le riaperture: noi invece non abbiamo nulla di tutto questo.
Finora gli altri non sono stati migliori di noi, ora invece rischiamo di rimanere indietro. Manca, infatti, totalmente un progetto complessivo di riapertura e l’incertezza avvolge quel che succederà nei prossimi giorni e quali attività produttive sbloccare, oppure no.
Grande comprensione chi deve governare questo difficile momento: la pressione sulla presidenza del Consiglio è fortissima e, ovviamente, non è facile distinguere la strumentalità di alcune posizioni imprenditoriali dalle esigenze reali, perché entrambe convivono, ma sul 4 maggio è ancora nebbia fitta.
Dal Nord, la grancassa sta suonando lo spartito de “il 4 maggio riapriamo” e, come dal primo minuto di questa emergenza, il premier insegue con affanno la schizofrenia regionale.
Purtroppo, ha paura. Teme di fare errori perché non ha alcun piano reale, abbozza solo timidi piani, e questo è più pericoloso della stessa ripresa del rialzo dei contagi. Che, inevitabilmente e anche riaprendo una sola saracinesca, ci saranno di sicuro.
Per settimane, il Governo si è comodamente nascosto dietro lo scudo dei comitati tecnico-scientifici per rinviare le decisioni, ma ormai non basta più perché larga parte del Paese chiede di ripartire comunque: ma quale parte di Italia chiede di ripartire?
Chi sono coloro che, pur consapevoli che non siamo davvero pronti sotto il profilo sanitario per ripartire, chiedono di riaprire comunque le attività?
Sono coloro che, in questa confusione organizzata, il Governo ha sostanzialmente dimenticato: sono i milioni di partite Iva e lavoratori dipendenti del settore privato, a cui questo Governo non ha saputo dare risposte concrete.

Sento a questo punto echeggiare una possibile domanda. Quella stessa domanda che il nostro elegante premier ha incredibilmente rivolto in maniera stizzita ad un giornalista in una conferenza stampa istituzionale: “mi dica lei cosa avrebbe fatto al mio posto”.
Certo, professor Conte, in queste difficili settimane nessuno avrebbe potuto fare tanto di diverso, ma c’è una cosa più giusta delle altre che avrebbe potuto fare per convincere meglio gli italiani a dare ascolto a quelle cautele che il mondo scientifico sta cercando di far comprendere per non riaprire il 4 maggio.
Qualcosa avrebbe potuto sicuramente fare per replicare con autorevolezza a quelle che qualcuno ritiene sconsiderate fughe in avanti del Nord: non avrebbe dovuto dividere gli italiani tra “garantiti” e non.
E, con il garbo di cui è notoriamente dotato, invece di attardarsi a sparare petardi contro l’opposizione avrebbe dovuto dire chiaro e tondo agli italiani che milioni di imprenditori hanno dovuto serrare le attività non già per rischio d’impresa o per loro incapacità, ma solo per l’imposizione di un lockdown governativo necessario per garantire la salute di tutti. E quindi?
E quindi, caro professor Conte, avrebbe dovuto mettere ad un livello di circa 600 euro per qualche mese sia la sua retribuzione governativa che quella di tutto l’apparato dei dipendenti e pensionati pubblici, ad eccezione ovviamente degli operatori sanitari e delle forze dell’ordine.
Solo questo le avrebbe consentito di poter alimentare davvero la “potenza di fuoco”, di poter davvero richiamare all’ordine l'opposizione e di poter andare a Bruxelles proprio oggi, 23 aprile, all’Eurogruppo con una ben diversa dignità politica.
Economia di guerra è condivisione delle risorse nazionali, non abuso retorico della comunicazione.

Siamo tutti sulla stessa barca? No, caro elegante premier, oggi siamo tutti nella stessa tempesta, ma c’è chi la sta affrontando con una zattera e chi invece su un transatlantico.
Non abbiamo mascherine, non abbiamo DPI, non abbiamo tamponi ma, per ragioni economiche, dai primi di maggio saremo inevitabilmente e progressivamente costretti ad una carnevalata e, tutti travestiti con guanti e con infette e improbabili mascherine ad uso pluri-giornaliero, dovremo comunque riprendere le attività.
Perché, giustamente, l’economia dei non garantiti non può più attendere e perché il governo non ha saputo conquistare la loro fiducia e, quindi, oggi non può più chiedere al mondo produttivo quella ulteriore prudenza e cautela che invece la scienza ci starebbe chiedendo a gran voce.

Certamente è più facile parlare che governare, ma mi sarebbe tanto piaciuto poter essere per un quarto d’ora il Presidente del Consiglio, per poter guardare in faccia Bonomi e Landini nel momento della comunicazione della mia intenzione di prorogare un lockdown per qualche altra settimana a beneficio della salute nazionale.
Ma, nel contempo, informandoli anche di aver approvato il decreto “Basta la salute” ovvero quel decreto che, per i mesi di maggio, giugno e (forse) luglio, avrebbe attribuito più o meno 600 euro (che a quel punto, peraltro, sarebbero stati per tutti anche un po’ di più) anche a tutti i dipendenti e pensionati pubblici italiani per finanziare, con liquidità davvero immediata, la cassa integrazione in deroga dei dipendenti privati e le garanzie dei pagamenti commerciali delle imprese.

Un taglio che, ovviamente, avrebbe previsto una prospettiva di futuro recupero e di rimborso almeno parziale: un po’, per intenderci, come la tassa straordinaria per l’ingresso in Europa di Prodi. E, semmai, un’emissione progressiva di voucher a favore dei dipendenti pubblici da spendere per turismo nazionale o in buoni ristorante, altri servizi, beni di consumo e altri mezzi per stimolare la domanda interna.
E poi, non appena ci fossero state adeguate risorse, progettare un definitivo rimborso di questo contributo di solidarietà dei dipendenti pubblici con crediti di imposta in quote annuali costanti di pari importo, un po’ come accade oggi con le detrazioni del recupero edilizio.

Ovviamente, per intuire l’occasione storica per far uscire l’Italia dai luoghi comuni con i fatti (e senza abusi della stucchevole retorica di “uniti ma distanti” o “io resto a casa”), oltre che complessi testi giuridici o di economia bisognerebbe aver letto anche qualche riga di Giovannino Guareschi.
Solo così, allora, si sarebbe potuta avere una visione diversa per far ripartire l’Italia di questo dopoguerra.
Come in quell’immagine meravigliosa di solidarietà di Peppone (Gino Cervi) e Don Camillo (Fernandel). Che si sorpassano a vicenda in bicicletta e poi si aspettano perché avevano capito, pur da avversari acerrimi, che da soli non sarebbero arrivati da nessuna parte.

Caro professor Conte, per i prossimi secoli avremmo l’occasione storica per impedire a qualsiasi detrattore, o evasore fiscale in cerca di scuse, di poter continuare ad accusare i dipendenti pubblici di insensibile parassitismo, mentre lo Stato acquisirebbe autorevolezza e credibilità futura per pianificare un vero contrasto all’evasione fiscale liberato da qualsiasi alibi.
E potremmo andare in Europa a guardare negli occhi la Merkel con ben altra ragione e fierezza e, a quel punto, con ben altra possibilità di ricordargli chi fu davvero Konrad Adenauer e chi Helmut Kohl di cui è erede politica.
A quel punto, non sarebbe più neanche necessario conoscere il pensiero del premier olandese e potremmo continuare ad ignorarne tranquillamente anche il nome.
Certamente è più facile scrivere che governare, ma io so fare male solo questo. Ma, per alleviare le fatiche governative, ho deciso anche di risparmiare al Governo il problema di scrivere l’articolo unico dell’ipotetico decreto “Basta la salute” che di seguito potrete leggere e, se ne avessero bisogno, li solleverei anche da quella di scrivere il decreto attuativo. Ma non preoccupatevi, non ne avranno bisogno…
W l’Italia…
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DL XX.4.2020 n. XX (G.U. XX.4.2020 n. XX)
Misure di sostegno economico per lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19
Art. 1.
1. A decorrere dal 1º maggio 2020 e fino al termine dello stato di emergenza è istituito un contributo di solidarietà a carico di dipendenti e funzionari retribuiti in rapporto di pubblico impiego, dirigenti pubblici di prima e seconda fascia iscritti alle gestioni previdenziali INPS, e di tutti i percettori di redditi derivante da cariche istituzionali,  parlamentari e, in ogni caso da cariche pubbliche elettive o di nomina nazionale e locale.
2. Sono esclusi dal contributo di cui al comma 1, i dirigenti e gli operatori del comparto medico e infermieristico, dei corpi di pubblica sicurezza, delle forze armate e dei Vigili del fuoco, direttamente impiegati nell’emergenza sanitaria.
3. L'ammontare della misura del contributo è definita secondo i seguenti scaglioni di reddito:
a) x per cento del prelievo per i redditi compresi tra xxx euro e xxx euro lordi annui;
b) x per cento del prelievo per i redditi compresi tra xxx, 1 euro e xxx euro lordi annui;
c) x per cento del prelievo per i redditi superiori a xxx,1 euro lordi annui.
4. Le risorse derivanti dalle disposizioni di cui al presente articolo confluiscono in un fondo denominato "Fondo dell’orgoglio e della solidarietà nazionale" istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze finalizzato a dare ristoro agli imprenditori, professionisti e lavoratori dipendenti privati danneggiati dall’emergenza COVID-19'.
5. Con decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze da adottare entro trenta giorni dalla legge di conversione del presente decreto sono stabilite le modalità di riparto delle risorse di cui al comma 4.»".
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