Il ticket di licenziamento nel 2023 – salgono i costi a carico delle aziende che licenziano

Download PDF

Per finanziare la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (Naspi), l’art. 2, comma 31 ss., L. 28 giugno 2012, n. 92, prevede che, nei casi di interruzione di un rapporto a tempo indeterminato, a carico del datore è posto un contributo di licenziamento la cui misura varia ogni anno, in relazione all’incremento del massimale mensile della Naspi.

Il contributo di ingresso alla NASPI, è soggetto a variazione ogni anno, essendo legato al trattamento di disoccupazione che viene aumentato nella misura del 100% dell’aumento derivante dalla variazione annuale dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (i commi 5, 5-bis e 6 dell’art. 3 del D.lgs n. 148/2015). L’aggiornamento di quest’ultimo, unitamente a quello degli ammortizzatori sociali, è stato reso noto dall’INPS con la circolare n. 14 del 3 febbraio 2023.

Prima di entrare nel merito dei nuovi contributi richiesti ai datori di lavoro è opportuno ricordare alcune regole.

Innanzitutto il ticket licenziamento deve essere corrisposto, in un’unica soluzione (non è prevista la rateizzazione), entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è avvenuto il recesso, ogni qual volta il rapporto di lavoro a tempo indeterminato si risolve attraverso un atto volontario del datore.

Quando è dovuto?

I datori di lavoro vi sono tenuti in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro generi in capo al lavoratore (che ha perso involontariamente la propria occupazione) il teorico diritto alla Naspi (a prescindere dalla sua effettiva fruizione), il versamento è obbligatorio nelle seguenti ipotesi: 

  • licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
  • Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, che ricorre nel caso del recesso disciplinare, e per il quale vanno, comunque, rispettate le procedure di contestazione e di difesa previste dall’art. 7 della L. n. 300/1970;
  • Il licenziamento per giusta causa che va adottato con le garanzie previste dall’art. 7 della L. n. 300/1970;
  • Il licenziamento a seguito di contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato: esso comporta una quantificazione del contributo esclusivamente per i periodi che concorrono al computo dell’anzianità aziendale;
  • Il licenziamento avvenuto durante o al termine del periodo di prova: in tale ipotesi non si paga il contributo se il recesso è avvenuto nei primi 15 giorni, (l’obbligo del versamento scatta allorquando si supera tale soglia);
  • Il licenziamento per superamento del periodo di comporto;
  • Il licenziamento per inidoneità alle mansioni, per il quale occorre seguire specifiche procedure previste sia dalla L. n. 68/1999 che dal D.lgs. n. 81/2008;

Attenzione – è escluso per il licenziamento del personale domestico!!

Il contributo è dovuto anche nel caso in cui il rapporto di lavoro si sia concluso con una risoluzione consensuale, sottoscritta avanti alla commissione provinciale di conciliazione presso l’ITL, all’interno della procedura obbligatoria relativa all’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo prevista dall’art. 7 della L. n. 604/1966 che riguarda le imprese dimensionate oltre le 15 unità ed i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.lgs. n. 23/2015;

Il contributo è dovuto anche nl caso in cui il lavoratore accetti, a seguito della procedura agevolata introdotta dall’art. 6 del D.lgs. n. 23/2015, una proposta economica ad accettazione del provvedimento di licenziamento (interpello Ministero del Lavoro n. 13/2015);

Il contributo è dovuto anche nel caso in cui si realizzi una risoluzione consensuale in sede “protetta”, a seguito di un rifiuto del lavoratore rispetto ad un ordine di trasferimento in una unità produttiva distante oltre 50 Km (o 80 minuti con i mezzi pubblici di trasporto).

Il contributo di ingresso alla Naspi va versato anche nel caso in cui la donna presenti, durante il c.d. “periodo protetto” le proprie dimissioni, convalidate presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro; anche lo sesso papà ha diritto al pagamento del ticket, nel caso in cui sia presenti le proprie dimissioni, con le stesse modalità previste per la mamma, nei casi previsti dall’art. 28 del D.lgs. n. 151/2001 (sostituzione della madre del bambino perché morta, o gravemente malata, o perché quest’ultima ha abbandonato il figlio, o perché risulta unico affidatario). L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con nota n. 9550 del 6 settembre 2022, ha affermato che il contributo NASPI va versato anche nel caso in cui a presentare le dimissioni (dal giorno della fruizione del primo permesso fino al compimento di un anno di età da parte del bambino) sia un lavoratore che ha fruito del congedo obbligatorio di paternità ex art. 27-bis (10 giorni nel periodo compreso tra il settimo mese di gravidanza ed il quinto mese “post-partum”, salvo trattamento di miglior favore previsto dalla contrattazione collettiva);

NB!! L’obbligo di versamento non viene meno nel caso in cui il lavoratore licenziato non abbia i requisiti soggettivi per la fruizione del trattamento di disoccupazione o abbia trovato una nuova occupazione. Di conseguenza l’obbligo di versamento prescinde dall’effettiva fruizione.

Esso è dovuto anche nell’ipotesi in cui un datore l’apprendista non venga confermato al termine del periodo formativo e nel caso in cui il rapporto si estingua per dimissioni del lavoratore apportando come motivazione la giusta causa.

Quando si verifica l’ipotesi delle dimissioni per giusta causa?

Le casistiche sono le seguenti:

  • reiterato mancato pagamento della retribuzione;
  • aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
  • modificazioni peggiorative delle mansioni, tali da pregiudicare la vita professionale del lavoratore;
  • notevoli variazioni nelle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell’azienda;
  • spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra, in assenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, previste dall’art. 2103 codice civile;
  • mobbing, consistente in un insieme di condotte vessatorie e reiterate poste in essere da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore. Dette condotte devono essere prolungate nel tempo e lesive della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso.

Quando non è dovuto?

  • dimissione volontaria del lavoratore;
  • accordo di risoluzione con accompagnamento alla pensione, previsto dal comma 7-ter dell’art. 4 della L. n. 92/2012. La norma prevede la possibilità, nei casi di eccedenza di personale, di stipulare accordi tra i datori di lavoro, che impieghino mediamente più di 15 dipendenti, e le organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello aziendale, al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori più prossimi al trattamento di pensione;
  • accordo di incentivazione all’esodo, disciplinato dall’art. 26, comma 9, lett. b), del D. Lgs. n. 148/2015;
  • risoluzione consensuale avvenuta in sede protetta, ai sensi dell’art. 410 e 411 del c.p.c. (no qualora sia stata effettuata ai sensi dell’art. 7 della L. 604/1996);
  • interruzione del contratto di apprendistato di primo livello (art. 43 del D. Lgs. n. 81/2015), stipulato a decorrere dal 24 settembre 2015. Detta indicazione è stata espressamente prevista dall’art. 32, comma 1, lett. a), del D. Lgs. n. 150/2015;
  • interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato del dipendente già pensionato.
  • interruzioni effettuate dalla società in procedura fallimentare o in amministrazione straordinaria, che abbiano usufruito del trattamento straordinario di integrazione salariale (di cui all’art. 44 del D.L. n. 109/2018) negli anni 2019 e 2020, qualora la società chieda, in sede di presentazione dell’istanza di Cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS), di essere esonerata dal pagamento del contributo Naspi;
  • licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto. Infatti, a norma dell’art. 2, comma 34, lett. a), della L. n. 92/2012, il contributo Naspi non è dovuto qualora l’interruzione del rapporto di lavoro sia derivata da licenziamenti effettuati in conseguenza di cambio appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altro datore di lavoro, in applicazione delle clausole sociali che garantiscano continuità di occupazione;
  • interruzione di rapporto di lavoro nel settore delle costruzioni edili. In questo caso, il legislatore (art. 2, comma 34, lett. b), della L. n. 92/2012) dispone che il ticket licenziamento non è dovuto nel caso di interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere.
  • accordo conciliativo a seguito della risoluzione per fine cantiere. L’esonero dal contributo Naspi è possibile soltanto se la procedura di conciliazione, prevista dall’art. 7 della L. n. 604/66, si conclude prevedendo la risoluzione del rapporto di lavoro a seguito del licenziamento intimato a titolo di fine cantiere.

Come viene determinato l’importo del ticket di licenziamento?

L’importo dovuto è pari, nei licenziamenti individuali, al 41% del massimale mensile di NASPI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni, senza alcuna distinzione tra rapporti a tempo pieno e rapporti a tempo parziale: per i periodi inferiori all’anno, il ticket va determinato in proporzione al numero dei mesi, il cui computo scatta al superamento dei 15 giorni. L’importo viene aggiornato annualmente e viene comunicato dall’Inps mediante circolare.

L’INPS, con la Circolare n. 14 del 3 febbraio 2023, ha reso noto che il valore massimo mensile dell’indennità di disoccupazione Naspi è pari, per l’anno 2023, ad euro 1.470,99.

Ne deriva che per il 2023, per ogni anno di lavoro subordinato il valore è pari a 603,10 euro dato dal 41% di 1.470,99 euro. Il tetto del contributo è fissato in 1.809,30 euro per i contratti che hanno avuto una durata pari o superiore ai 36 mesi, contro i 1.673,76 previsti per l’anno 2022. La quota mensile da prendere in considerazione, qualora l’anzianità sia inferiore all’anno, è pari a 50,26 euro che è dato da 603,10 rapportato a 12 mesi.

Nel computo dell’anzianità aziendale sono compresi i periodi di lavoro con contratto diverso da quello a tempo indeterminato, se il rapporto è proseguito senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione di cui all’art.2 comma 30 della L. n. 92/2012 (ovvero del contributo addizionale).

Una cifra considerevole, che aumenta ancor di più in presenza di licenziamento collettivo, infatti per i licenziamenti collettivi cambia la percentuale, rispetto al trattamento di NASPI, con la quale va effettuato il calcolo del ticket. Essa è dell’82% rispetto al massimale mensile anziché del 41% come visto sopra.

Di conseguenza, per ogni anno di lavoro il valore del ticket è pari a 1.206,21 euro (valore mensile 100,51), mentre per i lavoratori che presentano una anzianità pari o superiore a 36 mesi il contributo da versare è pari a 3.618,63 euro. Questi importi, però, riguardano soltanto l’ipotesi in cui la procedura collettiva di riduzione di personale ex articoli 4, 5 e 24 della L. n. 223/1991 si sia conclusa con un accordo sindacale: se ciò non dovesse avvenire la misura del contributo è moltiplicata per 3 per ogni lavoratore interessato.

Cosa succede se il datore di lavoro si rifiuta di pagare il ticket di licenziamento?

Il ticket ha valenza contributiva, per cui il datore di lavoro risponde all’ordinaria disciplina sanzionatoria prevista in materia di contribuzione obbligatoria a carico del datore di lavoro. (con conseguenti problematiche sul DURC)…

Ticket e giurisprudenza

Risulta sicuramente interessante segnalare ai lettori due importanti sentenze sul tema trattato.

In particolare, con Sentenza n. 160 del 10 novembre 2020 il Tribunale di Udine ha statuito che il datore di lavoro ha diritto al rimborso del c.d. ticket licenziamento da parte del lavoratore che consapevolmente ha indotto l’azienda a licenziarlo per giusta causa al fine di fruire della misura di sostegno al reddito NASPI.  Infatti, il Tribunale ha revocato il decreto ingiuntivo opposto e ha accertato il credito della società nei confronti del lavoratore per la parte relativa ai costi sostenuti dall’azienda per risolvere il contratto di lavoro. In particolare il Tribunale ha rilevato che “…Non è questa la sede per indagare la ragione o lo scopo di tale decisione del dipendente ma ciò che conta è ricondurre con chiarezza la dichiarazione di volontà in capo al soggetto dal quale essa effettivamente provenne. Da quanto detto consegue che le spese sostenute da (..) per dare involontariamente corso alla decisione di recesso assunta dal lavoratore non possono che essere addossate a quest’ultimo e, nello specifico, il (..) sarà tenuto a corrispondere alla ricorrente le somme da questa spese a titolo di cd. ticket licenziamento”. Il Tribunale di Udine ha rilevato altresì che “Il cd. ticket per il licenziamento è infatti un onere che la (..) ha dovuto sopportare esclusivamente perché il (..) anziché dimettersi, senza costi per l’azienda, l’ha deliberatamente posta nella necessità di risolvere il rapporto di lavoro”. Secondo l’interpretazione del Giudice la volontà di cessare il rapporto è da ricondurre di fatto esclusivamente al lavoratore che assentandosi ingiustificatamente dal posto di lavoro ha deliberatamente indotto la società a recedere dal contratto di lavoro mediante un licenziamento per giusta causa e allo scopo precipuo di accedere alla NASPI.

Un’altra sentenza da segnalare, sempre dello stesso Tribunale, che – sebbene non riguardi il ticket – è comunque attinente al caso appena trattato è la Sentenza n. 20 del 27 maggio 2022. In particolare, il Tribunale di Udine ritorna sulla questione delle assenze dal lavoro senza motivazione. Qualora nel comportamento delle parti si possa ravvisare la reciproca volontà di non dare più seguito al rapporto di lavoro, tale assenza ingiustificata è equiparata alle dimissioni e/o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e il lavoratore non può fruire della NASPI. Il Tribunale ha ritenuto provato che la lavoratrice intendeva porre fine al rapporto di lavoro, e che la società non fosse interessata a proseguire il rapporto di lavoro. Secondo il Tribunale di Udine “pur in difetto di una corretta formalizzazione delle dimissioni, è agevole ravvisare nel comportamento concretamente tenuto dalle parti, l’una nei confronti dell’altra, la sintomatica manifestazione di una reciproca e convergente volontà – pur se sorretta da motivi diversi – di non dare più seguito al contratto di lavoro (…) determinandone così la risoluzione per fatti concludenti (…) l’inerzia protratta nel tempo non è certo idonea, se isolatamente considerata, a manifestare una volontà abdicativa, dovendo tale inerzia inserirsi in un contesto idoneo ad ingenerare un valido affidamento (…) nel caso de quo, tuttavia, vi sono diversi elementi fattuali che dimostrano l’univoca sussistenza della volontà dimissiva in capo alla lavoratrice”.

Si torna quindi ad un tema molto conosciuto nelle aziende e negli studi: la risoluzione del rapporto di lavoro per fatti concludenti. Non è certamente raro trovarsi al cospetto di lavoratori che non si presentino al lavoro, con il preciso scopo di subire un licenziamento per poi percepire la Naspi (questo ai danni del datore di lavoro che è costretto a pagare il contributo di licenziamento, non potendo recuperare il preavviso mancato – anzi talvolta dovendolo corrispondere! – e rischiare pure un contenzioso sul recesso). Come noto, l’attuale normativa prevede che le dimissioni si possano formalizzare solamente tramite modalità telematiche. Ciò contrasta con la possibilità di configurare una risoluzione del rapporto di lavoro tramite comportamenti concludenti. Tuttavia, per il Tribunale di Udine: “Le suddette conclusioni sono da considerarsi tuttora validamente sostenibili, nonostante la modifica legislativa sopraggiunta nel 2015 (…) recentemente, come e è noto, il legislatore ha di nuovo aggiornato al suddetta materia, prevedendo che, a partire dal 12.03.2016, le dimissioni volontarie (…) debbano essere effettuate “a pena di inefficacia”, con modalità esclusivamente telematiche. (…) Tuttavia, come sottolineato dalla più attenta dottrina, essendo rimasta immutata la facoltà di libero recesso prevista dall’art. 2118 cod, civ, le dimissioni possono continuare a configurarsi come valide, almeno in ipotesi specifiche, anche per effetti di presupposti diversi da quelli della avvenuta formalizzazione telematica imposta con la novella del 2015 (…)”.

Che ne dite: ci trasferiamo tutti a Udine? 😊

Download PDF

Nessun commento ancora


Lascia un commento

E' necessario autenticarsi per pubblicare un commento