Lo straordinario successo degli Underperformers negli studi professionali

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Come spesso succede, un mio caro amico ha dovuto lavorare per mantenersi agli studi. Durante l’università faceva i turni di notte come operaio in una vicina fabbrica di stampaggio metalli. Per svolgere la sua mansione, doveva prendere delle lamiere da un mucchio e inserirle ad una ad una in una pressa per sagomare i pezzi che poi sarebbero stati confezionati e venduti.

Durante un turno, una notte gli prese fame e così, insieme al collega con cui era in squadra, si fecero recapitare una pizza da degli amici (quella volta non esistevano ancora i rider). Quando la pizza arrivò fermarono momentaneamente la pressa. Impegnarono poco meno di mezz’ora per mangiare e riprendere il lavoro.

La mattina dopo, il datore di lavoro, che contava a fine di ogni turno i pezzi prodotti, si accorse immediatamente del calo di produzione e gliene chiese conto. Uscì la storia della pizza e i due lavativi, dopo una sonora strigliata, furono perdonati.

In genere quindi, nelle aziende di produzione la produttività è qualcosa che viene continuamente posta come obiettivo specifico, e viene costantemente misurata e verificata. Ne va della redditività aziendale e quindi della sopravvivenza stessa dell’impresa. Laddove la persona non performi adeguatamente la situazione viene attentamente analizzata per rinvenirne le cause, e al soggetto interessato vengono immediatamente proposte misure di rimedio, di rimozione delle cause o almeno degli effetti, la cui mancata implementazione in tempi di recupero ritenuti ragionevoli può comportare rimproveri, procedimenti disciplinari e financo il licenziamento per cattivo rendimento.

Tra le misure di rimedio spiccano l’addestramento e la formazione che spesso non vertono solo su aspetti tecnici ma anche su aspetti psicologici e di gestione del cambiamento.

Lo scarso rendimento dei dipendenti può infatti essere causato da mancanza di competenze tecniche o di esperienza, ma molto più spesso è dovuto alla paura di sbagliare, mentre un'altra causa frequente è rappresentata dalle incrostazioni, cioè dalle abitudini lavorative precedenti e/o dalle convinzioni limitanti che impediscono al lavoratore di valorizzarsi al meglio.

In questi casi è (o dovrebbe essere) il manager o l’imprenditore che accompagna il lavoratore in un percorso di crescita, svolgendo la propria funzione che oltre ad essere quella di leader del compito è anche, soprattutto e sempre di più quella di leader emotivo.

Sono pochissimi i casi in cui non si riesce ad intervenire, si tratta di solito di quelle situazioni in cui è proprio il metabolismo della persona ad essere particolarmente lento. Un bradipo difficilmente diventerà un fulmine a ciel sereno.

Negli studi professionali invece, anche fatta la tara della diversa esperienza, orario contrattuale e qualità del lavoro assegnato, serenamente si tollera la presenza di persone con produttività molto diverse tra loro. Si pensi agli studi di consulenza del lavoro dove una persona full time equivalente, ceteris paribus, può fare da 200 fino a 600 cedolini mese. O negli studi fiscali dove una contabile può fare da 20.000 a 40.000 e più scritture contabili l’anno. Salvo eccezioni, e a meno che non si tratti di casi eclatanti di manifesta incapacità, i titolari degli studi non sembrano in grado di identificare e gestire eventuali underperformers.

E così, soggetti che in azienda sarebbero già stati allontanati da tempo, continuano a rimanere tranquillamente parcheggiati all’interno degli studi professionali.

La mancata gestione degli underperformers presenta dei costi rilevanti. In primis, se gli underperformers fossero portati a produrre non dico come i primi della classe ma almeno tanto quanto la media dei colleghi, ci sarebbe un incremento notevole di produttività, che andrebbe tutto a vantaggio della redditività dello studio visto che gran parte degli stipendi rappresentano dei costi fissi.

Inoltre, migliorerebbe notevolmente il clima aziendale perché si ridurrebbe la percezione di iniquità che invece alberga nelle persone più meritevoli, che continuano a domandarsi come mai il titolare non si accorge dei parassiti e chi glielo faccia fare di lavorare il doppio o il triplo dei colleghi, seppur a parità di stipendio. Queste situazioni, quando diffuse, possono portare a meccanismi di selezione avversa, con la fuoriuscita dallo studio delle persone più produttive e disponibili e la permanenza di persone mediocri e poco disponibili, fino al vero e proprio mimetismo organizzativo.

Spesso i titolari sono distanti dalla realtà quotidiana e non conoscono minimamente ciò che avviene nei loro studi, per cui sovente premi di produttività vengono dati a pioggia oppure senza prima misurare i carichi di lavoro e quindi alla fine ne fruisce anche chi non ne avrebbe alcun diritto.

Per gestire efficacemente gli underperformers occorre raccogliere dati sulla produttività, e disporre di importanti competenze di comunicazione. Necessita infatti di affrontare con loro in modo efficace conversazioni difficili che per questo in molte realtà vengono costantemente rinviate.

Serve una comunicazione non giudicante altrimenti avremo persone ancora più demotivate e lontane dagli obiettivi e dalle strategie aziendali.

Il rischio è di effettuare tentativi maldestri nei quali le persone si offendono senza ottenere alcun risultato.

Pur manifestando fermezza, occorre credere in loro, dare loro fiducia e supporto nell’abbracciare nuove metodologie di lavoro e nell’abbandonare la rassicurazione dello status quo.

Portare chi è in difficoltà verso l'alto significa aumentare notevolmente il margine, ridurre la probabilità di selezione avversa, aumentare l'equità percepita e rafforzare indirettamente la leadership, aumentando il benessere lavorativo delle persone.

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