QUANDO DIVENTI MANAGER, RICORDATI DI SMETTERE DI FARE IL PROFESSIONISTA

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Una delle transizioni più delicate e più neglette è quella del professionista che per la prima volta deve avvalersi di collaboratori o dipendenti.

Spesso, gli stessi punti di forza che hanno portato un professionista al successo come freelance o collaboratore di uno studio strutturato possono diventare il loro freno come manager e possono danneggiare la persona o le persone che gli sono state affidate.

Invero, le competenze individuali del professionista di successo si sviluppano spesso in modo competitivo, anziché cooperativo.

Quando ad un professionista di successo sono affidati uno o più collaboratori o dipendenti, il suo orientamento ai risultati e la forte etica del lavoro dovrebbero essere riorientati dai risultati personali al successo del team. I professionisti che non riescono a compiere questa transizione tendono a diventare leader autoritari o paternalistici. Ovviamente i tentativi di gestione autoritaria e paternalistica sono entrambi destinati a fallire perché si infrangono contro la mentalità permalosa, scettica e fortemente indipendente delle persone che lavorano all’interno degli studi professionali. A fronte di questi insuccessi dovuti a impreparazione, molti professionisti abdicano del tutto alla leadership finendo per adottare un sistema lassista, che a sua volta genera situazioni di anarchia, che si caratterizzano per una certa efficacia, ma spesso per poca efficienza.

Quei professionisti che adottano uno stile autoritario perdono il rapporto empatico con il collaboratore demotivandolo, quelli che invece adottano uno stile paternalistico nel tentativo di preservare ad ogni costo il buon clima interno possono ritrovarsi a svolgere il lavoro di chi dovrebbe aiutarli e continua a lamentarsi di avere troppo da fare e di avere bisogno di una mano.

In molti casi il professionista che viene prescelto dal mercato o dalla propria organizzazione per dirigere altre figure professionali viene promosso per la sua competenza professionale. Questo fa sì che il professionista manager continua a ritenere suo dovere prestarsi al problem solving sia di tipo tecnico professionale che di tipo organizzativo, per tutto il team. Inoltre spesso per timore di sbagliare non ripone fiducia delle persone che gli sono affidate per cui tende ad accentrare e a non delegare le pratiche (o le parti di esse) più rischiose e difficili.

Dal suo punto di vista, il professionista manager è nella posizione migliore per risolvere i problemi in modo rapido ed efficiente, sicuramente meglio di chiunque altro nel suo team.

I manager con approccio "problem solving" pensano di essere più esperte ed efficaci nel prendere decisioni e trovare soluzioni, e probabilmente è vero. Credono in cuor loro di fare ciò che è meglio per le loro organizzazioni, ma non si rendono conto che, non sviluppando l’autonomia del loro staff, finiscono per diventare il punto debole che rallenta l'efficienza del team.

Si sviluppa così una pericolosa dipendenza dalla loro competenza, dalla loro "ultima parola". Quando sono loro a pensare a tutti i problemi, insegnano ai membri del loro team a non pensare con la propria testa.

Inoltre, rallentano inavvertitamente il loro team. Ogni problema, soprattutto quelli "difficili", viene reindirizzato a loro. Che cosa succede se quella settimana il professionista non è in ufficio? O se è pieno di lavoro? Beh, quel problema dovrà aspettare. E aspetta. Il professionista diventa un collo di bottiglia, un inibitore del suo team. Incanala il suo team in un'unica modalità di dipendenza che è difficile da sciogliere.

Le persone che lavorano per questo tipo di professionisti  sono in grado di volare sotto il radar, senza dover mai usare le proprie capacità di pensiero critico e quindi senza dover essere responsabili dei risultati. In altre parole, pongono i neuroni in volo orizzontale e smettono di svilupparsi, e questo distrugge la motivazione, portando al disimpegno, al morale basso, alla scarsa produttività, al peggioramento del clima e al lamento costante. Se un capo “problem solving” si licenzia o viene investito da un autobus, nessuno può subentrare nella gestione del team perché nessuno si è sviluppato a sufficienza. A quel punto si sacrifica un altro bravo professionista che a sua volta per impreparazione non riuscirà a diventare manager in senso compiuto.

La motivazione individuale, che è il motore dell’indipendenza e della responsabilità professionale, richiede tre elementi chiave per prosperare:

Autonomia: Essere auto-diretti piuttosto che micro-gestiti.

Padronanza: Provare, fallire, imparare e migliorare

Scopo: comprendere gli obiettivi del team.

Secondo questo approccio, se vogliamo che i nostri collaboratori sviluppino lo spirito critico e imparino a risolvere da soli i loro problemi, dobbiamo coltivare la loro crescita.

Dobbiamo sfidarli e sostenerli, comunicando gli obiettivi più ampi in modo che possano mirare bene, e poi toglierci di mezzo per permettere loro di capire come risolvere le proprie sfide e di essere orgogliosi del proprio successo e della propria crescita. Alla richiesta di soluzioni occorre spesso fermarsi e anziché "dare la pappa pronta", rispondere con nuove domande. “Come mai hai pensato di rivolgerti a me?”, “Cosa hai provato a pensare?” "Cosa suggeriresti tu?", "Cos'altro si potrebbe fare?", “Cosa temi?” e "Cosa potrebbe andare storto nel tuo piano?".

Se si fanno domande, i membri del team possono arrivare da soli alla risposta. Fate domande e il problema che stanno affrontando diventa più lucido, meno scoraggiante. Fate domande e il vostro collaboratore potrebbe persino trovare una risposta migliore di quella che avreste dato voi.

Dobbiamo anche far sapere loro che non sono soli, che siamo a loro disposizione per sostenerli mentre si spingono fuori dalla loro zona di comfort per migliorare le loro capacità e crescere come professionisti. Affermazioni come "Fammi sapere come posso sostenerti" sono molto utili per dimostrare il nostro sostegno e far sapere ai nostri collaboratori che sono importanti.

Essere meno manager problem solving significa togliere le mani dal volante e permettere ai membri del team di fare piccoli aggiustamenti mentre si traccia la rotta verso gli obiettivi dello studio, comunicando i benefici della piena partecipazione e sostenendo il loro pieno impegno. Solo allora inizieremo a vedere il potenziale di crescita esponenziale dei nostri collaboratori e dipendenti.

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