Sanatoria edilizia e nozione di impresa di costruzione ai fini Iva

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In questa sede è interessante riprendere quanto indicato nella risposta ad istanza di interpello n. 611 del 21 dicembre 2020, in cui l’Agenzia delle Entrate ha affrontato una fattispecie abbastanza frequente nel settore edilizio. Più in dettaglio, nell’istanza è stata rappresentata la situazione di un’impresa cedente che, anche al fine di poter effettuare la vendita dell’immobile (costruito molti anni prima), aveva posto in essere una procedura di sanatoria edilizia finalizzata alla regolarizzazione di alcuni abusi edilizi effettuati in fase di costruzione (l’abuso era riferito ad un immobile strumentale e, come si legge nell’istanza, “ai volumi tecnici dei corpi scala e ascensori sul terrazzo di copertura” dell’immobile stesso).

Per sanare il descritto abuso, la società si era avvalsa dell’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del DPR n. 380/2001 (Testo Unico in materia urbanistica), finalizzato al rilascio di un permesso di costruire in sanatoria per gli interventi realizzati sia per i casi di difformità totale dal permesso originario che in presenza di difformità parziali o con variazioni essenziali dallo stesso. L’accertamento di conformità ha l’obiettivo di ottenere la sanatoria solo formale delle opere abusive in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo abilitativo, oppure in sua difformità, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l’area su cui sorgono sia con riferimento al momento della loro realizzazione originaria che a quello della presentazione dell’istanza di conformità (cosiddetta doppia conformità).

All’atto pratico, la società istante ha presentato una SCIA alternativa al permesso di costruire in cui la relazione tecnica di asseverazione l’intervento in sanatoria ha qualificato lo stesso come “ristrutturazione edilizia” di cui all’art. 3 co. 1, lett. d), del DPR n. 380/2001. Pertanto, a seguito di tale “permesso” la società istante non ha proceduto ad eseguire alcun intervento sostanziale sull’immobile da cedere, con la conseguenza che chiede all’Agenzia se tale circostanza possa comunque attribuire alla medesima la qualifica o meno di “impresa ristrutturatrice”. E’ del tutto evidente che se la risposta fosse affermativa, come visto in precedenza la cessione dell’immobile entro cinque anni dall’ultimazione dei lavori avviene con applicazione obbligatoria dell’Iva.

Nella risposta l’Agenzia delle entrate muove dal presupposto che con la presentazione della SCIA non è stato realizzato alcun intervento di ripristino, poichè la procedura di sanatoria non ha autorizzato un nuovo intervento sull’edificio, ma si è limitata a prendere atto degli interventi a suo tempo realizzati attestandone la conformità urbanistica ed edilizia.

Tale procedura, pertanto, non ha comportato la materiale esecuzione dei lavori di ristrutturazione, e gli unici oneri sostenuti, oltre a quelli connessi alla presentazione della pratica, sono stati il pagamento degli oneri concessori e la correlata sanzione.

L’Agenzia delle entrate ricorda che, ai sensi dell’art. 10, n. 8-ter), del DPR n. 633/72, la qualifica di impresa di “ristrutturazione” richiede l’effettiva esecuzione dei lavori (o almeno l’inizio degli stessi), indicati nel provvedimento amministrativo ottenuto. Sul punto, la stessa C.M. n. 12/E/2007 (confermata nella successiva R.M. n. 91/E/2007), con riferimento ad un immobile in corso di ristrutturazione, ha precisato che ai fini dell’assoggettamento della cessione ad Iva occorre che i lavori di ristrutturazione siano effettivamente iniziati, non essendo sufficiente la mera richiesta ed ottenimento delle autorizzazioni amministrative per la loro esecuzione.

Pertanto, conclude l’Agenzia delle entrate nella sua risposta, ai fini dell’assoggettamento ad Iva non assume alcun rilievo la circostanza che il cedente, periodo di osservazione (il quinquennio successivo alla fine dei lavori), risulti titolare (formalmente) di un titolo abilitativo avente ad oggetto un intervento edilizio astrattamente idoneo a qualificare la società cedente come “impresa costruttrice o di ripristino”, essendo necessaria anche la contestuale esecuzione dell’intervento.

In base al ragionamento esposto nella risposta n. 611, la mera presentazione di una SCIA in sanatoria (ma alla stessa conclusione di perverrebbe per il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria), senza l’esecuzione di alcun effettivo lavoro, comporta che il soggetto cedente non possa qualificarsi come impresa di ristrutturazione, e la relativa cessione dell’immobile deve avvenire in regime di esenzione Iva, fermo restando che la stessa possa applicarsi ma solo a seguito di opzione da esercitarsi nell’atto.

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