W le grandi imprese – morte alla piccole

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Si assiste da un po’ di tempo ad uno strano fenomeno che caratterizza la fiscalità delle imprese.

Il legislatore costruisce disposizioni ad uso e consumo delle grandi società con palesi discriminazioni nei confronti delle piccole e medie. E’ evidente che si tratta di azioni mirate da parte di lobby.

Uno degli esempi è dato dal decreto cd. “semplificazioni” del 2022 (articolo 8, comma 1, lettera b) e comma 1-bis), del decreto-legge 21 giugno 2022, n. 73,) i quali hanno previsto, per le sole società di capitali, che nel caso in cui la società commetta degli errori in contabilità, basta correggerli non appena ci si accorge, e non si pagano né sanzioni (neanche quelle ravvedute), né interessi.

Già di per se la disposizione che esclude imprese individuali e società di persone è gravemente discriminatoria. Senonché il legislatore, resosi conto di aver fatto in passo più lungo della gamba, invece di abrogare la norma, ha ristretto la sua applicazione alle sole società con bilancio sottoposto a revisione. Con ciò salvaguardando coloro i quali la norma l’hanno pretesa. Come se, essendo il bilancio soggetto a revisione, l’errore è commesso in buona fede e non è affetto da intento fraudolento. Come dire che se il bilancio è certificato l’errore è un autentico “errore di sbaglio”, mentre se il bilancio non è revisionato allora l’errore non merita alcuna pietà.

La legge delega per la riforma fiscale prosegue nel solco, laddove afferma tra i principi che dovranno essere introdotti quello dell’avvicinamento della base imponibile al risultato di bilancio, nonché la revisione della disciplina dei costi parzialmente deducibili delle imprese. Circa l’avvicinamento della base imponibile al risultato d’esercizio s’immagini cosa può voler dire, ad esempio, contabilizzare ammortamenti superiori a quelli stabiliti dal DM 31.12.1988 e poterli comunque dedurre anche oltre i limiti tabellari. Oppure dedurre gli interessi di mora di competenza ancorché non ancora pagati. Sono solo alcuni esempi che sono presi dalla relazione illustrativa delle Delega. Nell’ambito dei fringe benefit ai dipendenti è noto che questi concorrono a formare il loro reddito in misura parziale e corrispondentemente il datore di lavoro deduce i relativi costi per un importo non superiore al reddito tassato al dipendente.  Ora la riforma prevede una rivisitazione delle disciplina: questa può andare in due direzioni opposte:

  1. i fringe benefit ai dipendenti vengono tassati in misura maggiore di quella attuale;
  2. il datore di lavoro deduce le spese sostenute per i fringe benefit concessi ai dipendenti in misura superiore a quella (scarsa) attuale.

Al momento non è dato sapere.

Ebbene, se la prima soluzione è possibile (poveri dipendenti), certamente verrebbe applicata a tutte le imprese a prescindere dal limite dimensionale. Per un ovvio principio di uniformità. Se anche la seconda dovesse risultare attuata, ci dispiacerebbe se fosse riservata alle sole imprese con bilancio revisionato.  Senonché la delega è chiara sul punto: alcune norme (chiaramente di favore) si applicheranno solo alle società soggette a revisione del bilancio.

Mi direte: un chiaro stimolo per crescere.

Giusto! E allora fatevi prescrivere un po’ di ormoni e poi mettetevi in fila in farmacia!

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