INDAGINI FINANZIARIE SOCIETARIE: DALLA CASSAZIONE NON ARRIVA UN REGALO NATALIZIO, MA SOLO GIUSTIZIA

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Le indagini bancarie possono essere estese anche ai conti correnti dei soci purché vi siano chiari ed evidenti indizi che attestino l’eventuale riferibilità dei movimenti all’ente oggetto di verifica. Sono queste le conclusioni a cui è giunta la Corte di Cassazione con la Sent. n.33596, depositata il 18 dicembre 2019, che ha accolto il ricorso della società.

I giudici di legittimità, infatti, hanno chiarito che nell’ipotesi di società di persone l’Ufficio deve dimostrare, anche mediante presunzioni, che le risultanze presenti sui conti correnti bancari intestati al singolo socio personalmente, siano effettivamente riferibili ad operazioni poste in essere dalla società.

Per quanto riguarda la società a responsabilità limitata la suddetta estensione è possibile solamente quando l’Amministrazione finanziaria ha motivo di ritenere che, sulla base degli elementi indiziari raccolti, siano stati impiegati fondi per occultare operazioni commerciali, ovvero per realizzare una vera e propria gestione extra-contabile per l’evasione fiscale.

Secondo i giudici della Corte, solo ciò può comportare un inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, oberato solo a quel punto dalla necessità di dimostrare la non riferibilità degli stessi ad attività societarie, oppure l’estraneità al reddito e la regolarità della tenuta formale della documentazione aziendale.

Sullo specifico punto, innanzitutto, la Corte di legittimità ha rilevato che la norma sicuramente abilita il Fisco alla verifica di conti correnti formalmente intestati a terzi, ma solo ove esso possa ragionevolmente sostenere e presumere che siano connessi e inerenti al reddito imprenditoriale e, ad esempio, tale circostanza sarebbe sicuramente rinvenuta nel rapporto familiare (Cassazione 20118/2018, 3628/2017).

Con riferimento, invece, ai soci di società di persone, la Cassazione ha affermato che l’ufficio può legittimamente utilizzare le risultanze dei conti dei soci, purché tuttavia provi adeguatamente che quei movimenti siano in realtà riferibili a operazioni poste in essere dalla società (Cassazione 11145/2011, 17243/2003), incombendo, quindi, sull'amministrazione, anche tramite presunzioni, l'onere di provare il carattere fittizio dell’intestazione o comunque la sostanziale riferibilità all’ente (Cass. 13819/2003).

Nondimeno, con riferimento alle Srl, i giudici di legittimità hanno correttamente richiamato i principi affermati in alcune decisioni, secondo i quali, in tema di infedeltà della dichiarazione, le indagini bancarie possono riguardare anche i conti e depositi intestati a terzi, inclusi i familiari del socio, quando l’Ufficio ha motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali o una gestione extra-contabile della società (Cassazione 374/2009), ma nella pronuncia viene espressamente anche precisato che solo se c’è la dimostrazione della concreta riferibilità delle movimentazioni bancarie alle operazioni societarie può trovare applicazione la presunzione legale prevista dalla norma, ex art. 32 del Dpr 600/73.

Se così è, allora, l'Ufficio non è libero di poter attrarre arbitrariamente a tassazione i conti dei soci nella sfera societaria, spesso costruendo presunzioni legali in questi casi in maniera illegittimamente para-automatica.

In definitiva, quindi, va confermato che l'indagine finanziaria può estendersi a conti correnti di soggetti terzi, nella misura in cui sia dimostrato che il contribuente accertato ha la disponibilità delle somme, al di là dell'intestazione formale (es. conti cointestati, deleghe ad operare, conti dei coniugi e soci delle società, di persone o di capitali, a ristretta base sociale).

Mentre, però, un primo filone di pensiero a cui aderisce la sentenza in commento ritiene che sia l'Erario a dover dimostrare l'intestazione fittizia del conto, e che, solo assolto tale onere, possa operare il meccanismo presuntivo (Cass. 14.9.2007 n. 19216; Cass. 14.11.2013 n. 17243), in altri casi altre sentenze ritengono che, in caso di conti intestati ai coniugi o ai soci di società, la prova sia immanentemente rinvenibile nella mera circostanza di essere familiare o socio (Cass. 20.7.2012 n. 12624; Cass. 26.9.2012 n. 16345), quasi come se un mero rapporto di contiguità personale possa automaticamente sconfinare di suo in un presupposto indiziario di evasione fiscale.

E' questo, purtroppo, il grado di sensibilità giuridica di parte della giurisprudenza alla quale, peraltro, a volte non presta credito neanche la prassi dell'Agenzia delle Entrate che, in uno storico documento che fornisce istruzioni operative a i suoi uffici (circ. 19.10.2006 n. 32, par 5.2), essa stessa afferma che spetta all'Ufficio dimostrare il carattere fittizio circa l'intestazione del conto, ancorché per presunzioni.

Certamente, allora, non sarebbe un Paese idilliaco quello in cui un giudice assolvesse i suoi doveri di terzietà processuale ponendo a base delle sue sentenze pregiudizi nei confronti del contribuente, andando oltre anche alle stesse pretese dell'accusa. Fortunatamente, però, in questo caso risulta provato che esistono ancora magistrati per i quali una condanna abbisogna di prove e non è possibile ricostruire evasione fiscale per illazioni o automatismi spesso desunti da irradiazioni finanziarie contaminanti, metaforicamente evocandosi scenari di contrasto giudiziario all'evasione con alabarde fiscali e con strumenti più consoni ai cartoni animati degli anni '70 che agli avvisi di accertamento tributario.

Peraltro, nel romanzo fiscale che ci si trova spesso a dover leggere occupandosi di questi temi è ormai ben noto che in Cassazione (e ancor più tra le sentenze di merito), a guardar bene ci sono sentenze che sugli stessi presupposti aleatori possono darti sia ragione che torto, al punto che, come ebbe a dirmi un noto magistrato, c'è da temere il giudice solo quando hai davvero ragione. Noi non sappiamo se il contribuente giudicato con la sentenza in argomento avesse ragione o torto, ma possiamo sicuramente affermare che ha trovato un Collegio disponibile a produrre verità processuale tramite un esercizio della distribuzione dell'onere della prova non supino ad una lotta all'evasione fiscale di tipo pregiudiziale, vale a dire prona a qualsivoglia motivazione anche pretestuosa dell'avviso di accertamento.

In questi oscuri tempi, ove fantomatici 110 miliardi di evasione fiscale sono ormai considerati più certi che Natale arrivi il 25 dicembre e che, conseguentemente, sono considerati solo dei poveri inetti i funzionari che non li scovano e i giudici che non confermano in giudizio contestazioni fiscali anche fantasiose, è già molto...

Buone Feste!

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