Per la Cassazione, l’Agenzia delle Entrate non può cantarsele e suonarsele da sè

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E' da molto tempo che la migliore dottrina polemizza sull'attitudine ed abitudine dell'Agenzia delle entrate a "coprire" asseriti vuoti legislativi con proprie interpretazioni che fissano obblighi od adempimenti non previsti, tramite propri chiarimenti di prassi (con l'ausilio, addirittura, di qualche comunicato stampa).

Un brusco stop ed un preciso confine a dette ingerenze del Fisco è stato recentemente fissato anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha decisamente affermato che l’Agenzia delle Entrate non può introdurre nuovi adempimenti attraverso circolari, perché (come direbbero i francesi: ça va sans dire) esse non sono fonte normativa e, pertanto, non possono in alcun modo disciplinare circostanze non espressamente previste per legge.

A statuire questo principio è stata recentemente la Corte di cassazione con l’ordinanza 25905/2017, che ha censurato l'Agenzia delle Entrate la quale aveva recuperato, con specifico atto, un credito di imposta utilizzato da un contribuente (perché sulla fattura di acquisto del bene non era stata apposta la dicitura “bene acquistato con il credito di imposta di cui all’art. 8 L. 388/2000”). Quella previsione di revoca, per assenza della dicitura, era contenuta solo in una circolare, ma non nella norma disciplinante il credito.

La cosa indignante di questa vicenda, peraltro, è che il giudice di primo grado aveva giustamente ed ovviamente confermato le ragioni dell’impresa, ma, in appello, la decisione è stata riformata in favore dell’amministrazione fiscale.

Che vi sia bisogno impellente di una magistratura tributaria togata nel contenzioso tributario, lo si avverte nitidamente quando balzano agli onori di queste cronache alcuni giudici di merito che fondano le motivazioni delle loro sentenze appiattendosi su pretese erariali meramente fondate sulla previsione della stessa prassi del Fisco (in assenza, o, addirittura, in conflitto con l'esplicita previsione normativa).

In ogni caso, a fronte della predetta insensibilità giudicante, il contribuente ha dovuto presentare un (notoriamente costoso) ricorso per Cassazione lamentando, in estrema sintesi, un’errata applicazione della norma sul credito di imposta, atteso che la mera assenza della dicitura sulle fatture non poteva essere sufficiente per comportare la revoca del beneficio.

La Suprema corte ha, ovviamente, fatto strame di una simile inadeguatezza decisionale, non potendosi, peraltro, ignorare che la revoca dell’agevolazione, solo per l’assenza della detta dicitura sulla relativa fattura di acquisto, avrebbe già potuto essere dichiarata  illegittima in quanto comminata per violazione non già di un adempimento di natura sostanziale, ma di una indicazione meramente formale.

Come detto, invece, le ragioni dell'Agenzia erano esclusivamente fondate sulle previsioni contenute in due circolari (41/2001 e 38/2002), secondo le quali l’inosservanza dell’obbligo comportava la decadenza dal beneficio, ma i giudici di legittimità hanno opposto (semmai ce ne fosse ancora bisogno) che le circolari in materia tributaria non sono fonte del diritto e non possono imporre al contribuente adempimenti non previsti dalla legge. Tanto meno possono, quindi, istituire cause di revoca di un’agevolazione fiscale non espressamente contenute in una norma (Cassazione 22486/2013).

Nel caso di specie, peraltro, è pur vero che l'art. 8 della legge 388/2000 prevede l’emanazione di specifici decreti ministeriali attuativi, necessari per la regolamentazione delle verifiche sulla corretta applicazione della norma agevolativa sui crediti. Tale previsione, però, non fornisce alcun fondamento giuridico che consenta l’introduzione di ipotesi di revoca di diritti del contribuente attraverso una circolare.

In altri termini, nel nostro ordinamento non è ancora ammesso che l'Agenzia delle entrate “se la canti e se la suoni” … quantomeno, ad oggi ciò non è ancora previsto, anche se ormai, in questi oscuri tempi fiscali e come cantava Enrico Ruggeri: "il futuro è solo un’ipotesi"...

Sarebbe, però, davvero umiliante e, per fortuna, sembra ancora lontano, il giorno in cui non solo isolati giudici di merito, ma anche un solo giudice di legittimità dovesse riconoscere quella impropria funzione nomofilattica che, a volte, è pretesa da parte degli  organi del Fisco.

Che, con le sue circolari, è sicuramente una fonte dottrinale apprezzata ed alla quale anche questo blog si inchina in maniera deferente, ma niente di più!

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