Accertamento da indagini finanziarie: dai ricavi presunti vanno sempre sottratti i costi presunti

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Anche in caso di accertamento analitico-induttivo basato sulle indagini finanziarie, occorre riconoscere al contribuente una quota forfettaria di costi, senza pretendere una analitica dimostrazione circa il sostenimento degli stessi. E' questo il principio stabilito dalla Corte di giustizia di secondo grado della Lombardia, sezione 15, sentenza 1766/2023 del 22 maggio, che recepisce quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza 31 gennaio 2023 n. 10.
Invero, già con la pronuncia del 23 febbraio 2023 n. 5586 (e 6874/2023) la Cassazione aveva espressamente fatto marcia indietro, recependo il principio espresso luminosamente dalla Consulta.

In sostanza, è quindi sempre necessario riconoscere una quota percentuale di costi a fronte dei maggiori ricavi determinati in base alle indagini finanziarie, ribaltandosi il precedente orientamento secondo cui il riconoscimento forfetario spettava solo qualora si fosse in presenza di accertamento induttivo puro, ai sensi dell’art. 39 comma 2 del DPR 600/73.

La Consulta, mediante la richiamata sentenza n. 10/2023, aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 32 del DPR 600/73 nella parte in cui prevede che, per ogni possessore di reddito d’impresa, i prelevamenti non giustificati siano espressione, salvo prova contraria, di ricavi non dichiarati.
Nel contempo, quindi, affermava come a fronte della presunzione di ricavo derivante da prelevamenti non giustificati occorra sempre riconoscere una quota forfetaria di costi, potendosi presumere che il contribuente abbia acquistato “in nero” beni destinati alla vendita in nero.

L’orientamento precedente riteneva invece che i costi andassero riconosciuti in maniera forfetaria solo in caso di accertamento induttivo puro e non anche per l’accertamento analitico-induttivo (per tutte, Cass. 17 febbraio 2022 n. 5177, 16 settembre 2020 n. 19293 e 16 gennaio 2019 n. 899), ma tale amenità non ha mai avuto concreto fondamento giuridico, ma solo di prassi.

Fu, infatti, la circolare dell'Agenzia delle Entrate 19.10.2006 n. 32 ad affermare che, sulla base delle metodologie di accertamento concretamente utilizzate:
- nel caso di accertamenti induttivi puri, a fronte dei ricavi o compensi occulti, compete la possibilità di scomputare i costi anch'essi non contabilizzati;
- nel caso di accertamenti analitici ed analitico-presuntivi, la presunzione opererebbe invece quale presunzione semplice, con possibilità, cioè, da parte del contribuente solo della prova analitica contraria.

Diversamente, invece, a ricavi determinati in maniera presuntiva non vi è ora chi non veda come debbano potersi sempre contrapporre anche costi di natura presuntiva che, ovviamente, potrebbero essere anche non essere riconosciuti: ma solo quando, in ragione della natura dell’attività esercitata, si possa presumere (con idonea motivazione) che non siano stati certamente sostenuti.

L’odierno pronunciamento in commento del collegio lombardo ha ritenuto quindi di determinare il maggior reddito attribuibile al contribuente applicando una percentuale di redditività del 40% rispetto ai ricavi determinati in sede di accertamento sulla base dei prelievi dai conti correnti non giustificati, percentuale è stata determinata sulla base di quella di ricarico medio utilizzata ai fini degli studi di settore, nonché di quella impiegata dalle Entrate per attività analoghe oltre che dalle informazioni fornite dal contribuente.

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